di Giulietto Chiesa
La rottura delle relazioni diplomatiche tra l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto e il Bahrein (cui si è aggiunta la Libia), da un lato, e il Qatar, dall’altro, segna una svolta radicale nella situazione medio-orientale
Non sono esclusi sviluppi politico-militari di grande rilievo. Squadriglie di caccia dell'Aviazione qatariota sarebbero in volo permanente nei cieli di Doha, mentre i paesi della coalizione avversa hanno annunciato l'interruzione di tutti i rapporti, inclusi i collegamenti aerei, marittimi e bancari, con il regno del "capriccioso" emiro Tamim ben Hamad Al Thani. Le frontiere saranno chiuse e i funzionari delle ambasciate torneranno nelle rispettive capitali in un breve lasso di tempo. La catena tv Al Jazeera, voce del Qatar, è stata interdetta dovunque.
Cosa sia successo non è di facile decifrazione. L'occasione dello scontro, a prima vista, è stata una dichiarazione del ministro degli esteri qatariota, Mohamad Abdulrahman Al Thani che è stata considerata offensiva verso l'Arabia Saudita e, soprattutto, troppo amichevole nei confronti dell'Iran. Mohamad Abdulrahman aveva twittato una replica piuttosto aspra alle campagne di discredito - "particolarmente attive" in partenza dall'Arabia Saudita e che trovavano spazio sulla stampa americana - citando maliziosamente le parole dell'Imam Ali, che è il "primo Imam" dei musulmani sciiti: "C'è un rimedio per ogni ferita, con l'eccezione della mancanza di etica, perché per questa non c'è rimedio alcuno".
Il governo del Qatar ha subito smentito, adducendo come scusa un attacco di imprecisati hackers che sarebbero riusciti a penetrare nel sito ufficiale e, da quello inviare in rete una falsa dichiarazione. Ma la fulminea risposta dei quattro cugini arabo-sunniti non ha rinunciato al pretesto, vero o falso che fosse. Evidentemente i motivi della rottura sono più profondi. Dopo il viaggio di Trump a Riyad e la sua benedizione alla nuova coalizione arabo-sunnita contro lo sciita Iran, l'Arabia Saudita ritiene di avere ora mano libera nel dettare la nuova legge del Golfo. E il Qatar è il reprobo numero uno, il primo da mettere al suo posto.
L'accusa contro il Qatar, di "sostenere il terrorismo" - per quanto abbastanza comica visto che proviene dal paese che più di tutti ha finanziato e organizzato le forze del cosiddetto Stato Islamico - cerca di nascondere l'evidenza dell'esistenza, come minimo, di diversi terrorismi. Nei fatti il Qatar è stato, in questi anni di vertiginosa crescita della sua potenza finanziaria, uno dei finanziatori di una componente del "salafismo" diversa dai wahhabiti sauditi. Ed è a questa componente che fanno riferimento sia i Fratelli Musulmani, sia alcune componenti dei tagliagole mercenari di Al-Nusra e Al Qaeda, sia il partito Hamas in Palestina.
Questo spiega la presenza dell'Egitto di Abdel Fattah Al Sisi nella coalizione anti-Qatar e dalla parte di Riyad (che, tra l'altro gli garantisce petrolio a prezzi di vantaggio). Mentre il Bahrein - che ha al suo interno una forte presenza sciita - ha accusato Doha di "interferire negli affari interni e di sostenere gli estremisti nello Yemen". Il segretario di Stato americano, Rex Tillerson, ha detto di non ritenere che la decisione di Riyadh e soci avrà "alcun impatto significativo" sia nella regione che globalmente. Ma è evidente, di primo acchito che, al contrario, gli effetti saranno molto gravi, con ripercussioni su molti scacchieri.
Gl'interessi in gioco, per altro, sono giganteschi e vanno al di là sia della polemica attorno a chi è "più terrorista", sia attorno a quella millenaria che divide i sunniti dagli sciiti. Il gas è sullo sfondo. Per il Qatar è la fonte principale delle sue ricchezze, che attualmente esporta attraverso navi cisterna. Ma l'immenso giacimento di metano che è stato individuato al centro del Golfo Persico - per metà nelle acque territoriali dell'Iran - rappresenta decenni di sfruttamento e sconfinate fortune. È noto che una delle ragioni della costituzione della "Nato Araba" caldeggiata da Donald Trump è quella di garantirsi il controllo di quel gas. E non è un mistero che una delle cause che hanno fatto scoppiare la guerra contro la Siria fu la decisione di Bashar al-Assad di non consentire il passaggio sul suo territorio del gasdotto che, via Arabia Saudita, sarebbe arrivato nel Mediterraneo. I calcoli di Riyadh prevedono ora, dopo la sconfitta dell'ISIS in Siria, una variante via Giordania e Israele. Ma i calcoli di Doha potrebbero essere, chissà?, quelli di seguire il percorso Iran-Turchia- Mediterraneo, cioè una cooperazione con il nemico giurato dell'Arabia Saudita e di Israele. Ecco perché Tillerson fa mostra di non essere preoccupato, mentre dovrebbe invece esserlo. A meno che Washington non metta il dito sul grilletto e sia già decisa a affondare l'emiro Tamim.
Tratto da: sputniknews.com
Foto © Sputnik. Vitaliy Belousov