di Giulietto Chiesa
C'è uno scontro interno alla classe dirigente USA sull'intera strategia imperiale: attraversa il tema dell'11/9, della guerra e dei sauditi
Mi scrive un lettore:
«Le sarei grato se potesse, con la sua maggiore esperienza, aiutarmi a comprendere tale situazione: un'Arabia Saudita al servizio degli interessi USA che fornisce le basi per l'11/9 ma poi viene accusata e citata in giudizio, ma Obama ostacola tale possibilità mentre il senato insiste, mentre nel frattempo vengono fornite a sauditi armi per conquistare lo Yemen e per girarle a Daesh nella conquista della Siria...
Sono un po' confuso io o l'impero americano è in piena crisi schizofrenica?
La ringrazio in anticipo.
Alfredo Carannante»
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Gentile Carannante,
l'Arabia Saudita è da gran tempo, dalla sua nascita, al servizio degli Stati Uniti d'America. Creata e protetta dai colonialisti ha potuto sopravvivere grazie a uno scambio strategico: fornendo petrolio ai prezzi definiti dall'Impero in cambio della protezione fisica della monarchia e dei suoi manutengoli da parte degli Stati Uniti. In più acquistando i certificati di credito del Tesoro americano e depositando i proventi nelle banche americane e lasciando i lingotti d'oro in casa americana, cioè a Fort Knox.
Questa è la premessa indispensabile.
Da qui si ricava che i servizi segreti USA presero fin dall'inizio il controllo totale dei servizi segreti e dell'esercito saudita. E lo hanno mantenuto fino ad oggi.
Il governo saudita fa dunque ciò che gli comandano i padroni di turno a Washington. Nel 2001 sale al potere George Bush Junior, figlio del grande amico dei Saud, ex capo della CIA, George Bush Senior. Lo Junior è in mano ai neo-con americani di Paul Wolfowitz e Dick Cheney. Che organizzano l'11 Settembre. Gli servono soldi e capri espiatori per costruire la favola della minaccia islamica. E l'Arabia saudita glieli offre. Questo stava scritto nelle famose 28 pagine che Bush Junior ordinò fossero segregate. Cioè, per essere ancora più precisi, il governo saudita e i suoi servizi segreti, d'accordo con la Cia, offrono la necessaria copertura per sparare la favola dei cosiddetti 19 dirottatori guidati da Osama bin Laden. Naturalmente prendono parte all'operazione, e la guidano, importanti spezzoni dei servizi segreti israeliani e pachistani. Anche di questo ci sono le prove.
Ma a Washington è in atto uno scontro violentissimo sotto il tappeto. Una parte dei democratici vuole mettere in difficoltà i neo-con e insiste per la pubblicazione delle 28 pagine (che in realtà sono un segreto di pulcinella, rimasto segreto solo perché i grandi media sono in mano ai neo-con). E riapre il caso, oggi, a quindici anni di distanza.
L'Arabia Saudita (che, nel frattempo, si fida sempre meno degli USA), agisce per conto proprio in Siria, creando guai che gli USA di Obama non vorrebbero dover fronteggiare. L'operazione Daesh è fatta di comune intesa tra Cia (settori della), Pentagono (settori del) e servizi segreti e monarchie del Golfo, in testa ovviamente Arabia Saudita e Qatar, che sono pieni di dollari.
Sfortunatamente per loro la Russia interviene e sconfigge Daesh con i suoi bombardamenti. A questo punto Obama vorrebbe fare marcia indietro. Ma non ci riesce perché non ha il controllo né dei suoi, né degli altri. Quando ri-scoppia il caso delle 28 pagine, l'Arabia Saudita (che teme per le sue tasche, perché potrebbe essere chiamata in giudizio dai parenti delle vittime, e poiché ha nelle banche americane qualche trilione di dollari che potrebbero essere bloccati dai tribunali americani) minaccia rappresaglie del tipo: se andate avanti su questa strada, chiunque siate, noi ritiriamo 700 miliardi di dollari dalle vostre banche, così, tanto per cominciare. Ma, se questo avvenisse, il colpo al dollaro sarebbe devastante.
Dunque l'America di Obama si spaventa. Obama mette il veto.
Ma il Senato USA, con un voto di 99 a favore e uno contro, cancella il veto presidenziale (che significa che votano contro il presidente uscente anche tutti i senatori democratici meno uno) e consente ai tribunali americani di portare in giudizio il governo saudita (sostanzialmente per concorso in strage). Ricordo qui, di passaggio, che le 28 pagine, anche da sole, distruggono la tesi ufficiale dell'11 settembre, che assegnava la responsabilità ai c.d. 19 dirottatori e a Osama bin Laden. La distrugge perché dimostra che altre forze - che non venivano nemmeno nominate dall'inchiesta ufficiale - presero parte all'attentato terroristico dell' 11 settembre 2001.
Ma, per rispondere all'ultima parte della sua domanda: come si spiega l'appoggio dato da Obama all'Arabia Saudita nel fornirle svariate decine di miliardi in armamenti sofisticati per condurre la guerra contro lo Yemen? La spiegazione è chiara: non è Obama che arma i sauditi e li sostiene. Sono i neo-con del Pentagono, della Cia, e del complesso militare-industriale che guidano la danza. Il povero Obama, che non li può fermare, traccheggia. Finge di opporsi, ma poi ratifica le loro decisioni.
Ha paura lui stesso di quello che fanno e che lui è costretto a firmare. Manda Kerry a negoziare coi russi, ma poi si trova di fronte al fatto compiuto che aerei americani, o protetti dagli americani, vanno a bombardare l'esercito di Bashar al-Assad e uccidono anche ufficiali russi. Mentre i media occidentali scatenano una campagna contro i russi, accusandoli di tutto, quando è evidente che Daesh e al-Nusra ricevono armi dall'Arabia Saudita, e mentre la Turchia agisce per proprio conto, come le pare e dove le pare. E la Turchia è un membro della Nato.
È chiaro che a Washington ci sono forze che vogliono continuare la guerra e innalzare il livello dello scontro con la Russia. Ma queste forze non coincidono con l'attuale Amministrazione. Da questo groviglio emerge la posizione apparentemente schizofrenica degli USA. In realtà questa posizione, come ho già detto, corrisponde a una divisione interna agli USA e concerne l'intera strategia americana. Per cui è importante, d'ora in avanti, non ragionare di "una posizione americana" (che non c'è), ma tenere presente che è in corso uno scontro interno alla classe dirigente americana.
L'esito delle elezioni consentirà di definire una tappa di questo scontro. Ma non potrà dirimere la divisione perché né gli uni né gli altri hanno una idea adeguata della crisi che incombe e che porterà alla ridefinizione dei rapporti di forza nel mondo intero.
O - purtroppo, ma bisogna dirlo - alla guerra globale.
Tratto da: megachip.globalist.it