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putin erdogan c sputnik aleksey nikolskyidi Giulietto Chiesa
Prima di tutto una considerazione generale: il fatto che stiamo assistendo a una vera e propria girandola di colpi di scena, di cambio di posizioni, e di schieramenti, sembra indicare una violenta accelerazione della crisi mondiale in atto.

Quelli del repentino voltafaccia di Erdogan  (alla vigilia, si può dire, del colpo di stato che voleva detronizzarlo) sono solo gli ultimi colpi di coda in ordine di tempo.  Poco prima era stata la clamorosa volta del Brexit, che ha avviato il motore dello sgretolamento europeo.

Per quanto riguarda la "svolta verso est" del leader turco, non si deve dimenticare che, praticamente negli stessi giorni in cui si scusò con Putin per l'abbattimento del Sukhoi  nei cieli siriani, andava in conclusione un'altra sua manovra: quella del ristabilimento delle relazioni diplomatiche con Israele. Il cui significato è ancora da esplorare attentamente.

Ma il suo viaggio a San Pietroburgo, l'incontro con Putin, successivo al fallito colpo di stato, il brusco raffreddamento delle relazioni con l'Europa (che, di fatto, avrebbe preferito che certi  militari turchi sostituissero Erdogan), e la tensione con gli Stati Uniti (all'origine probabile del golpe)  hanno fatto pensare a molti che sia in atto un vero e proprio rovesciamento di alleanze.ùLe cose non stanno a questo punto. Come massimo si può dire "non ancora". Un'alleanza vera e propria tra Mosca e Ankara richiede ancora molti ponti da ricostruire. Basti pensare alla questione curda che, soprattutto, angoscia Reyyp Erdogan. Essa è aperta a diverse soluzioni, ancora tutte da esaminare. Appare chiaro che Ankara ha messo in secondo piano l'opzione militare e che si sta ritirando dalla guerra contro Bashar el Assad.  Questo è uno dei prezzi su cui, presumibilmente Putin e Erdogan si sono già messi d'accordo.

E non tutte le mosse di Erdogan — specie una, che riguarda il rapporto tra le religioni — vanno nel senso che piace a Vladimir Putin. Tra queste c'è stata la decisione (non molto commentata in Europa) di riaprire formalmente al culto musulmano la Cattedrale di Santa Sofia. Consentire la lettura del Corano durante il Ramadan in Santa Sofia, ha una valenza politica molto alta. A tal punto da stimolare una dichiarazione ufficiale di rigetto da parte del Ministero degli Esteri greco. La stessa reazione è probabile venga da parte del Patriarcato di Mosca, che non può non interpretare la scelta come un passo avanti verso la trasformazione di Santa Sofia in moschea, sovvertendo la lontana decisione di Kemal Ataturk — fondatore della moderna Turchia — che, nel 1935 decise di trasformare Santa Sofia in museo e di non più adibirla a luogo di culto di una qualsiasi religione.  Senza tenere conto che la Turchia ratificò, nel 1983,  la decisione che collocò Santa Sofia tra  siti di interesse mondiale e, dunque, da tenere sotto  una speciale gestione internazionale.

È evidente che il leader turco, liberatosi del negoziato in corso con l'Europa, porterà avanti il suo progetto di islamizzazione della Turchia, con tutte le conseguenze che ne potranno derivare su diversi fronti politico-diplomatici. L'ingresso nell'Unione Europea è dimenticato. Così com'è evidente che questo aspetto non preoccupa più di tanto Israele e Netanyhau.

E con la Russia che succede? L'Occidente guarda inquieto, già pronto — come avrebbe scritto Niccolò Machiavelli — "a dar per iniquo colui che fino al dì avante gli era stato fedele amico".  E, in effetti, pensare a una alleanza tra la Russia e un membro della Nato, per giunta collocato in uno snodo cruciale del confronto tra est e ovest, sembra una cosa impossibile. Certo è che Putin ha lavorato a tutto campo. Secondo la versione fornita da Hurriyet, quotidiano semi ufficiale, tra maggio e giugno ci fu un intensissimo lavoro "sotto il tappeto", di cui furono protagonisti il generale Hulusi Akar, capo di stato maggiore generale,  l'imprenditore Cavit Ciaglar (da parte turca) e Ramazan Abdulatipov, governatore del Daghestan, e Yurij Ushakov, uno dei più stretti consiglieri di Putin (da parte russa).

In sostanza Akar fece sapere a Erdogan che la Russia avrebbe accettato le scuse della Turchia per l'abbattimento del 24 dicembre 2015. La lunga trattativa sotterranea ruotò attorno alla formulazione di quelle scuse ed ebbe come mallevadore principale il presidente kazako Nursultan Nazarbaev. Il documento finale fu concordato a Tashkent (in occasione del summit della Cooperazione di Shanghai) e accettato da Putin in persona. Per poi essere reso noto, da ambo le parti, il 27 giugno. A quel momento, a quanto pare, nessuna delle due parti prevedeva il golpe del 15 luglio, appena due settimane dopo.

Ma, subito dopo, ci fu una dichiarazione di Nazarbaev, che esprimeva la sua solidarietà a Erdogan, seguita da quella di Putin. Il quadro era già profondamente cambiato.  La Nato è ancora in Turchia, e non si vede come e cosa possa fare Erdogan a uscirne, supposto che lo voglia. Mentre Putin, a Baku, ha lasciato capire che Ankara potrebbe, se volesse, entrare a far parte del nuovo "corridoio nord-sud", insieme a Russia, Iran, Azerbajgian. Le alleanze non si fanno per simpatia, o per convinzioni ideologiche, ma in base ai rapporti di forza. Questa storia, insieme alle altre, dice semplicemente che i rapporti di forza stanno cambiando.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © Sputnik. Aleksey Nikolskyi

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