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di Giulietto Chiesa - 26 febbraio 2011
Al posto di Hu ci sarà Xi. Toccherà a Xi gestire la fase in cui la Cina diverrà, a tutti gli effetti, il numero uno mondiale. La partita, sulla scacchiera del potere cinese, è arrivata alla sua penultima mossa. L’ultima non porterà sorprese.


Lo scorso ottobre il Consiglio Militare Centrale della Repubblica Popolare Cinese ha fatto avanzare il signor Xi Jinping al posto di vice-presidente. Nessuno, tra quelli che seguono da vicino queste faccende, è rimasto stupito. Xi Jinping era stato da poco nominato vice-presidente di un altro, più importante organismo: il Consiglio Militare del Comitato Centrale del Partito Comunista Cinese. Prima il partito e poi lo Stato. Xi Jinping è ora al secondo posto in antrambi i due massimi organismi militari del paese. Questo passo doppio “militare” è il coronamento di un analogo, e cruciale, passo doppio già realizzato nelle strutture “politiche” della Cina. Xi è infatti il Primo Segretario della Segreteria del Comitato Centrale del PCC e membro permanente del Politburò. Sopra di lui, dunque, c’è solo Hu Jintao. E, nello stesso tempo Xi è già vice-presidente della Repubblica Popolare Cinese. Anche qui, sopra di lui c’è solo Hu Jintao. La prossima e ultima mossa vedrà Xi Jinping passare al primo posto su tutte e quattro le scacchiere. Il tutto avverrà in due tappe: la prima alla fine del 2012, quando il XVIII Congresso del PCC accoglierà le dimissioni di Hu Jintao. La seconda nel marzo 2013, quando il Congresso dei Deputati del Popolo eleggerà il nuovo Presidente dello Stato, e tutto il potere sarà stato, in tal modo, trasferito.

Solo il diluvio universale, o l’avverarsi della profezia Maya, potrà cambiare queste decisioni. Potere dittatoriale di un uomo? Davvero ben strana dittatura, sarebbe. È l’esatta prosecuzione dello stato di cose presente, che vide l’avvento di Hu Jintao: un meccanismo perfetto (fino a questo momento, dalla scomparsa di Deng Xiaoping) con il quale il vertice supremo del Partito Comunista si assicura collegialmente il trasferimento del potere. Continuità e consenso interno. Xi Jinping sarà la propaggine più visibile di questo organismo collettivo. Niente più e niente meno. La procedura è cristallina, senza trucchi. Non c’è nemmeno il tentativo di fornirle un qualche maquillage.

 

Inutile fare confronti con le commedie che si recitano negli analoghi passaggi di mano delle democrazie occidentali dove, come sappiamo per esperienza, non è il merito o l’intelligenza che porta alla vittoria, ma l’abilità di procurarsi il denaro che la garantisce. Cioè l’abilità di vendersi al miglior offerente.

Quindi la domanda giusta da porsi è questa: come ha fatto Xi Jinping ad arrivare dove è arrivato?

 

xi-jinping

Potrei sbagliare ma ho l’impressione che la dote principale per effettuare il percorso sia quella di tenere il giusto mezzo. E non è detto che questo giusto mezzo sia sinonimo di mediocrità, o di conformismo. In Cina, per lo meno. Xi Jinping, per quello che se ne sa, non è uomo banale. La sua biografia ha momenti brillanti, mostra capacità di innovazione, scelte lungimiranti e rischiose. Non ha dormito di certo e gli allori se li è procurati.

 

Certo il cambio generazionale sarà netto. Non solo per la differenza d’età. Xi Jinping ha 58 anni. Non risulta che parli russo. Jian Zemin, che precedette Hu Jintao, ancora lo parlava. Aveva lavorato a Mosca nella famosa fabbrica di automobili intestata a Stalin. Adesso Mosca è lontana, altra storia, sebbene il giovanotto provenga da illustri lombi rivoluzionari, essendo il figlio di Xi Zhongxun, veterano del partito e, a suo tempo, addirittura vice-premier. Papà rimase però impigliato nei gorghi della Rivoluzione Culturale e finì confinato nella lontana provincia di Henan. Dunque si può presumere che il figlio non abbia potuto godere di una infanzia particolarmente dorata.

Quelli che già hanno steso i primi rapporti biografici della giovinezza del nuovo leader segnalano che il luogo della sua origine, la provincia dello Shaanxi, è ancora oggi una delle più povere della Cina. Figuriamoci nel 1953!

Ma le cose devono essersi messe assai meglio con la riabilitazione del padre. Infatti ritroviamo Xi Jinping studente della prestigiosa università Xinhua, la stessa dove ha studiato Hu Jintao, facoltà di chimica organica. Il giovane Jinping sta dunque movendo i primi passi nella categoria dei cosiddetti “ingegneri”, qualcosa di assai simile al sistema di selezione dei quadri che era stato elaborato in Unione Sovietica durante lo stalinismo e per tutta la fase brezhneviana del cosiddetto “socialismo reale”. Cioè dirigenti politici in pectore che, per divenire tali, dovevano avere competenze tecnico-scientifiche di livello medio e superiore, in grado di farli passare attraverso esperienze di fabbrica, o di gestione politico-amministrativa di strutture produttive. I binari erano quelli. Su altri binari non si poteva salire nella scala politico burocratica. In genere i quadri con quelle caratteristiche dovevano poi passare in periferia, per farsi le ossa in condizioni particolarmente difficili. In Cina, a quanto pare, si seguono ancora queste procedure.

Ma si vede fin dall’inizio che Xi Jinping punta lontano e in alto. Se non lui, da solo, di certo chi lo guidava e consigliava. Infatti è lui stesso che si propone per fare un’esperienza nella provincia del nord di Hebei. Dal nord viene poi spostato al sud, per diventare vice-sindaco della città di Xiamen, dove si stava sperimentando con successo la creazione di una delle zone economiche speciali. Ultima delle esperienze periferiche sarà la nomina a governatore della provincia di Zhejiang. Con questo bagaglio sulle spalle, che a detta dei biografi gli valse la fama di implacabile combattente contro la corruzione, ma anche di accorto sostenitore dell’economia di mercato, Xi Jinping può ora muovere verso il centro e il vertice.

Tuttavia non è una marcia solitaria. Niente a che vedere con i miti occidentali del’uomo che si è fatto da sé. Un leader cinese, per definizione, non può e non deve “essersi fatto da sé”. S’intravvede infatti un’ascesa guidata sapientemente in nome dell’interesse collettivo dell’aristocrazia politica del Partito. L’ascensore si muove verso l’alto lungo corsie oliate dalla sapienza dei saggi che già abitano ai piani alti della torre in cui Xi Jinping ha già l’appartamento arredato. Non per niente qualcuno lo ha già definito come un “perfetto progetto cinese già realizzato”.

Per essere perfetto, appunto, deve essere centrista. Nessuna posizione estrema può essere ammessa in un contesto di tale complessità com’è la Cina in questa fase. Ed è per questo che l’agiografia preventiva del personaggio non lascia mai trapelare alcunchè che non sia “zhong”, mediano. Dunque niente di “filo-dogmatico” (cioè di troppo statalista). Niente di “filo-liberale” (nel senso di eccessiva propensione verso il libero mercato.

E nessuna propensione o sbandamento verso l’esterno. Di signifiativo, in questo senso, c’è stata una recente visita a Mosca; progettata come gesto molto misurato verso il più imprtante partner asiatico della futura Cina mondiale. Gli altri viaggi all’estero della fase preparatoria, in Corea del Nord, Mongolia, Arabia Saudita, Qatar, Venezuela (2009) possono essere considerati come allenamenti per il futuro.

Quando andò in Messico, sempre nel 2009, si distinse per una battuta che ha fatto il giro degli istituti di ricerca sinologica di mezzo mondo: “Primo: la Cina – disse Xi – non esporta la rivoluzione. Secondo: La Cina non esporta fame e povertà. Terzo:la Cina non esporta seccature. Cosa volete di più?”

Peng-Liyuanpeng_maggioreUnica concessione allo spettacolo, cui l’Occidente inclina ormai per inveterata abitudine, anche a costo di farsi ingannare dai suoi desideri, è la futura first lady cinese, Peng Liyuan, seconda moglie, cantante lirica di rara bellezza e grande fama. Il che non le impedisce di essere, al contempo, maggiore generale dell’Esercito Popolare di Liberazione.

Dunque non è detto che questo ritrattino familiare sia stato composto soltanto per uso e consumo dell’Occidente. Magari serve di più a introdurre un tratto di inedita modernità nella decisamente austera politica interna cinese (almeno di quella ufficiale che è dato conoscere ai comuni mortali).

L’ascesa preventiva di Xi Jinping, così ben calcolata, può essere interpretata in due modi opposti: o il segno di una quasi patologica preoccupazione del vertice per possibili sconvolgimenti sociali, e quindi come necessità di presentare al paese una compattezza assoluta dell’Aeropago (essendo chiaro che l’esperienza della Tien Anmen del 1989 non è stata dimenticata); oppure come il segno di una formidabile capacità di controllo fondata su un vasto consenso popolare. È un fatto, tuttavia, che tutte le prognosi occidentali di una prossima, sempre imminente, crisi interna, prodotta dalle gigantesche trasformazioni sociali e di classe, non si sono avverate.

Il motore del consenso, perfettamente visibile, è il formarsi di una classe media delle dimensioni di 100 milioni di persone, e l’accesso ai consumi di masse immense di popolo che, in un passato recente, mai avrebbero potuto neppure immaginare un tale presente. E, alle loro spalle, altre centinaia di milioni di contadini, che stanno per diventare operai, e per i quali il consumo di beni nuovi è già visibile come un prossimo futuro. Cose quasi inimmaginabili sono accadute nel corso di una sola generazione, come il dato di 325 milioni di persone che si sono trasferite dalla campagna alle città. Come la previsione, in corso di inveramento, che nel 2025 la Cina avrà otto megalopoli con popolazione superiore ai 10 milioni di abitanti: Pechino, Shanghai, Chengdu, Chongqing, Guangzhou, Shenzhen, Tianjin, Wuhan.

Ma, mentre per noi occidentali, il futuro è, al tempo stesso - in questa brusca svolta della storia umana - accumulo di angosce e accelerazione verso un cambio pieno di incertezze, per il “Paese di Mezzo” il futuro non può che avere un cuore antico. Il cambio di leadership deve essere corale, collettivo, concordato, “armonioso”, secondo le regole sincretiche di un marxismo corretto di confucianesimo.

Adesso per gli 80 milioni di membri del partito comunista cinese il compito non è più quello di agire nell’interesse dei contadini, degli operai e dei soldati, ma quello di rappresentare, anche all’ interno del partito, ciò che in lingua cinese si esprime con la formula “lao bai xin”, cioè i “cento nobili cognomi”. In altri termini l’obiettivo è il partito di tutto il popolo. Xi, come Hu, sono due dei 100 nobili cognomi, e non potrebbe essere diversamente.

E, in nome della stessa “armonia”, questa volta per non lasciar prevalere la gerontocrazia e dare spazio alla nuova generazione di “eupatridi”, non toccherà solo a Hu Jintao lasciare la sua poltrona.

Con lui se ne andranno in pensione, ordinatamente, programmaticamente, tutti i membri del Comitato Permanente del Politburò che hanno raggiunto l’età di 70 anni.

Se c’è una cosa che non si può fare a Pechino è scommettere sulla successione al potere.

Tratto da:
megachip.info

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