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I lettori potrebbero scandalizzarsi nel leggere il direttore di ANTIMAFIADuemila che definisce “mafia” lo Stato di Israele. Ma tengo a precisare subito che la mia accusa non è riferita al popolo israeliano, ai tanti democratici e intellettuali dello Stato ebraico che - grazie al mio cognome di origine ebraica - chiamo fratelli e sorelle. La mia accusa, infatti, è rivolta al governo israeliano: dal presidente Benjamin Netanyahu in giù, e ai vertici delle forze armate. Cioè i mandanti e gli esecutori del genocidio in corso da tre mesi nella striscia di Gaza.
La mia provocazione nasce dopo aver appreso la volontà politica - nemmeno così occulta - dell’esecutivo israeliano e dell’esercito di trasferire forzatamente all’estero i 2.5 milioni di sfollati palestinesi che finora sono sopravvissuti alle bombe israeliane nella Striscia di Gaza. Una deportazione in piena regola. “La Repubblica” riprende un articolo del “Times of Israel” che cita una fonte anonima all’interno del Consiglio di Guerra secondo la quale il governo sarebbe già in trattativa con vari paesi, alcuni dei quali per giunta notoriamente instabili. E’ il caso del Congo, che avrebbe già dato il suo assenso per essere la nuova casa dei palestinesi. La striscia di Gaza, invece, una volta svuotata dei suoi abitanti, per il governo dovrebbe diventare territorio israeliano. In Israele l’hanno già ribattezzata in “Nova” e diversi colossi dell’edilizia israeliana hanno iniziato ad abbozzare progetti di costruzione con ville e quartieri di lusso per quando finirà la guerra (non prima del 2025 secondo l’esercito).
Massacri, pulizia etnica e insediamento. Questo è il modus operandi di Israele dalla sua nascita, in totale armonia con tutti le potenze coloniali della storia. Si ricordi, per fare un esempio, il destino dei pellerossa in America con la nascita degli Stati Uniti. Ai palestinesi, stando al governo Netanyahu, deve spettare la stessa sorte: la diaspora. Una nuova diaspora, ad essere precisi, dopo quella del 1948 (la famosa “nakba”). Lo stesso David Ben Gurion, padre fondatore di Israele, nonché primo presidente israeliano, nel 1938 disse di non vedere “nulla di immorale” nel trasferimento forzato dei palestinesi. Sono passati 85 anni, il DNA dei leader israeliani non è cambiato.
Per raggiungere questo scopo che i sionisti dicono essere “messianico” perché credono che Dio abbia promesso loro - e solo a loro - la Terra Santa, l’attuale governo israeliano è disposto a tutto. A poco servono le parole - perché finora solo di parole si tratta - di condanna degli alleati Europa e Stati Uniti. Israele incarna alla perfezione, da qui un altro rimando al titolo sulla mafia di questo editoriale, la frase pronunciata dal capo di Cosa nostra Totò Riina a Leoluca Bagarella: “A strada è di cu s'a pigghia!”. Tradotto: “La strada è di chi se la piglia!”. Parafrasato: la mafia è disposta ad ogni cosa per dominare, anche annientare chi gli si para davanti al cammino.
Le parole di Riina e la sua strategia “tritacarne” le ritroviamo nelle parole e nella dottrina del governo fascista di Israele. Un governo per giunta illegittimo perché il suo capo, Netanyahu, è sotto processo per corruzione e in un Paese normale non potrebbe nemmeno pensare di guidare un esecutivo. In questo senso speriamo che il popolo israeliano alzi la testa e chieda il ritorno alla democrazia e l’avvio di un percorso di pace con la restituzione dei territori ai palestinesi e la creazione di uno Stato indipendente della Palestina.
Tornando alla questione “mafia”, dovremmo spostare il focus sul recentissimo attentato in Libano in cui è stato ucciso con un drone il numero due dell’ufficio politico di Hamas, Saleh Al Arouri. Un attentato vile, come tragicamente vili sono gli attentati mafiosi, eseguito dal Mossad. Il servizio segreto israeliano, tra i più famigerati al mondo, proprio come le organizzazioni mafiose, una volta che iscrive qualcuno nella lista nera, quel qualcuno deve essere neutralizzato, non importa dove questo si trovi. Nel caso di Al Arouri, nella capitale di un paese sovrano. Grande affronto ad Hezbollah.
Ad ogni modo, questa guerra ibrida non è nuova per Israele. Il mondo ha conosciuto la strategia delle “esecuzioni mirate” del Mossad già nel dopoguerra con la caccia ai capi nazisti in fuga nel continente. Si tratta di delitti extragiudiziali, contrari al diritto internazionale e costellati più da delusioni che da successi, come ha ricordato Domenico Quirico su La Stampa. Lo stesso avvenne contro i capi dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) negli anni ’70 e ’80 o contro gli uomini di “Settembre Nero”, l’organizzazione palestinese responsabile della strage alle Olimpiadi di Monaco. Questa segreta e controversa caccia all’uomo spesso ha portato all’eliminazione di innocenti in giro per il mondo, soprattutto in Europa. E’ il caso, per citarne uno, del cameriere marocchino Ahmed Bushiki, freddato dal Mossad in Norvegia nel 1973. Gli 007 israeliani, sguinzagliati dall’ex presidente Golda Meir al Comitato X, lo avevano scambiato per Ali Hassan Salameh, il capo di settembre nero in Europa. L’errore costò a Israele una crisi diplomatica e l’onta internazionale. Innocenti - tre per l’esattezza - sono morti anche a Beirut insieme ad Al Arouri. Ma agli occhi di Israele sono solo vittime collaterali. Un costo accettabile per un bene superiore, quello della neutralizzazione dei super cattivi. Il discorso è valso - e vale ancora - per la mafia: quanti cittadini e quanti bambini sono stati trucidati “per errore” durante gli agguati dei commando mafiosi contro giudici, magistrati e giornalisti?
Seppur su un piano di valori e in un contesto completamente differente, le modalità delle esecuzioni della mafia e di Israele sono le stesse: rapide e violente. I moventi pure: l’eliminazione della minaccia (ora i pm incorruttibili, ora i miliziani palestinesi, non importa a quale prezzo).
E anche i “concorrenti esterni”, in un certo senso, hanno lo stesso colore. La mafia, spesso, se non agiva su mandato di qualche colletto bianco, si muoveva comunque per favorire anche gli interessi di questi ultimi.
Quanti uomini e quante donne dello Stato sono stati ammazzati per convergenze di interessi, per il tacito assenso di qualche potente? La storia siciliana degli ultimi duecento anni insegna. Qualcosa di simile sta avvenendo nella Striscia di Gaza per mano dello Stato di Israele. Anche in questo caso abbiamo la presenza di concorrenti esterni.
E quei “concorrenti esterni” siamo noi. Noi occidentali che, con il nostro silenzio-assenso, permettiamo l’esistenza di un campo di concentramento quale è Gaza, l’occupazione della Palestina, l’applicazione di un assedio criminale e i bombardamenti su campi profughi, ospedali, scuole, università e sedi ong.
I “concorrenti esterni” siamo noi che ci dimentichiamo che Israele possiede oltre 200 testate atomiche. I “concorrenti esterni” siamo noi che potremmo spingere per un’indagine seria al tribunale dell’Aja contro Netanyahu e il suo entourage per crimini contro l’umanità ma non abbiamo il coraggio di farlo nonostante le caterve di prove e la sfilza di presupposti.
I “concorrenti esterni” siamo noi occidentali che permettiamo questo sterminio di Stato quando potremo fermarlo in un baleno con l’utilizzo di sanzioni, come abbiamo fatto (senza batter ciglio) contro la Russia di Vladimir Putin ancor prima che invadesse l’Ucraina.
I responsabili, però, sono anche molti paesi arabi, soprattutto le petromonarchie (Emirati Arabi, Qatar, Kuwait, Arabia Saudita, Oman e Bahrain), che non hanno mosso un dito per il genocidio dei propri fratelli arabi che vivono a Gaza, né per gli omicidi mirati di Israele nel resto del mondo arabo.
L’Europa, se solo ci fosse la volontà politica, potrebbe mandare al macero tutti i finanziamenti militari, gli accordi di cooperazione commerciale e tecnologica con Israele. Potrebbe, e dovrebbe, avviare un embargo uguale o peggiore a quello di Cuba.
Un embargo che però, in questo caso, avrebbe ragione di esistere.
Così facendo, gli israeliani - che vivono sotto l’egida del Dio denaro come tremila anni fa il popolo ebraico viveva erigendo il Vitello d’oro preferendolo a Mosè e ai comandamenti di Dio sul Monte Sinai - defenestrerebbero Netanyahu. Il punto, però, è che Europa e Stati Uniti, dai quali Israele dipende in tutto e per tutto (dalla fine della seconda guerra mondiale Washington ha elargito a Israele 260 miliardi di dollari), non hanno la volontà di fare questo passo.
Si sostiene Israele perché buona parte delle banche e degli istituti di credito mondiali sono sionisti o guidate da sionisti. Eppure le potenze economiche di Europa e Stati Uniti, da sole, possono sopravvivere anche senza questi istituti. Quindi se l’Occidente decide di voltare lo sguardo alle sofferenze del popolo palestinese e allunga la mano allo Stato di Israele è perché all’Occidente, a noi, piace così. Ecco perché ai lettori parlo di mafia di Israele e di concorrenti esterni occidentali.

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