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Come rivelato da 'La Stampa' nell'autunno 2022 fu il magistrato Nino Di Matteo, allora componente del Csm, a convincere il conduttore televisivo a rivolgersi alla Procura di Firenze.
Giletti, si legge, si era recato al Csm e l’allora consigliere togato Di Matteo, avendo ritenuto il suo racconto credibile, lo aveva avvertito della estrema delicatezza della questione e della necessità di portarla a conoscenza della Procura che indaga sulle stragi del 1993.
Nino Di Matteo, in seguito all'evento, evidenziando ancora una volta con encomiabile etica e rigore istituzionale la sua condotta, tempestivamente informò il procuratore aggiunto Luca Tescaroli.
Il 'caso Giletti', ricordiamo, è scoppiato con la defenestrazione improvvisa del conduttore da La7 assieme all’intera squadra di 'Non è l’Arena' avvenuta il 13 aprile 2023.
In un primo momento c'è chi aveva parlato di una scelta dovuta alle voci del possibile passaggio del conduttore in Rai. Col passare delle ore, però, è apparso evidente che la scelta sia stata dettata da ben altro.
Non è un mistero che la squadra di 'Non è l'Arena' aveva in programma la produzione di approfondimenti importanti su Marcello Dell'Utri e il senatore Antonio D'Alì (entrambi già condannati per concorso esterno in associazione mafiosa nonché uomini di spicco della storia di un partito come Forza Italia che ancora oggi si trova al Governo) e poi ancora su casi scomodi come la morte dell'urologo siciliano Attilio Manca.
Come riportato da più organi di informazione Giletti è stato sentito dai magistrati della Procura di Firenze (i procuratori aggiunti Luca Tescaroli e Luca Turco titolari dell'inchiesta sui mandanti esterni delle stragi) in due occasioni: il 16 dicembre 2022 e lo scorso 23 febbraio.
Il giornalista è stato convocato proprio dopo la puntata dell'intervista a Salvatore Baiardo - già condannato per favoreggiamento semplice nel 1997 ai due boss di Cosa Nostra Filippo e Giuseppe Graviano - in quanto volevano sapere se quest'ultimo “avesse la disponibilità di materiale relativo ai fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, inerente agli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri”.


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Il magistrato Nino Di Matteo © Paolo Bassani


Ed è a quel punto che Giletti aveva raccontato che Baiardo gli mostrò una foto dove sicuramente era ritratto Berlusconi con altre persone che, a detta dello stesso gelataio di Omegna, sarebbero il boss Giuseppe Graviano ed il generale dei carabinieri Francesco Delfino (generale dell’Arma passato anche dai Servizi segreti).
Una foto che, qualora fosse esistente, non sarebbe solo uno scoop giornalistico, ma un'importante prova dei rapporti tra Berlusconi e il boss Graviano prima dell’arresto di quest’ultimo.
Il magistrato Tescaroli aveva poi chiesto l'arresto per l'ex gelataio di Omegna ma il 26 maggio scorso il GIP Antonella Zatini aveva rigettato la richiesta.
Le accuse rivolte all'ex gelataio di Omegna dai pm fiorentini e dal sostituto Lorenzo Gestri sono quelle di favoreggiamento a Silvio Berlusconi (deceduto) e Marcello Dell'Utri con l'aggravante dell'agevolazione dell'organizzazione mafiosa Cosa Nostra che, per gli inquirenti è interessata a "non compromettere" le loro figure.
Si tratta di accuse gravissime che sono sempre state bollate dagli interessati come ingiustificate illazioni.
I pm hanno accusato Baiardo anche di calunnia ai danni di Massimo Giletti e di aver fornito false indicazioni sulle reali ragioni dell'incontro avuto il 14 febbraio 2011 con Paolo Berlusconi, fratello dell’ex premier.
Dopo la decisone del Gip la Procura ha fatto ricorso e il tribunale del riesame ha rinviato a settembre la decisione.
Ciò che è certo è che Baiardo è un uomo ambiguo che ha preso le distanze da Giletti.
Resta comunque il dato che il segnale che si evince con la "rimozione" in tronco da parte di La7 di Giletti e della sua squadra è una vicenda che fa male a tutta l'informazione libera.
Parliamo di un giornalista che ha dato indubbiamente un ampio spazio a temi ed argomenti scomodi: come la latitanza di Matteo Messina Denaro, dei rapporti con i centri di potere occulto e di tanti processi e vicende che riguardano la mafia.
In passato aveva dimostrato coraggio nell'affrontare anche vicende scabrose come la fuoriuscita dal carcere dei boss nei tempi della pandemia o la mancata nomina del magistrato Nino Di Matteo al Dap. Tutti argomenti invisi a certi apparati di potere.
Un potere che da tempi remoti, persino antecedenti all'epoca dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ha persistito nel suo sforzo di emarginare e minare la credibilità di coloro che ancora oggi perseverano nel loro impegno per svelare le intricate connessioni tra la mafia, le istituzioni e le influenti sfere economiche.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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