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Lettera aperta dopo i fatti del 23 maggio

Caro Procuratore Grasso, sono passati tanti anni, è stato anche Presidente del Senato, ma per me lei resta sempre un Procuratore della Repubblica.
Lo sa, nel corso del tempo abbiamo vissuto dei momenti importanti di confronto, abbiamo condiviso battaglie, partecipato assieme a convegni parlando dell'importanza della lotta alle mafie ed alla corruzione, contro i colletti bianchi. Abbiamo anche avuto contrasti, nel rispetto dei nostri ruoli (io come giornalista e lei come magistrato), su certe metodologie che venivano portate avanti quando lei è stato Procuratore capo a Palermo o Procuratore nazionale antimafia, ma mai sopra le righe.
Ho sempre avuto un grande rispetto per la sua (tua) persona consapevole di quel legame di amicizia che ebbe con Giovanni Falcone, ma anche per la sua storia personale.
Per lei che è stato giudice a latere al maxiprocesso contro Cosa nostra, per lei che lavorò a stretto contatto con Falcone al Ministero degli Affari Penali a Roma.
Ricordo quando, in occasione di un'intervista, mi raccontò la storia dell'accendino che il Giudice Falcone le regalò quando decise di smettere di fumare pregandola di restituirglielo qualora avesse ricominciato.
Quell'accendino che lei porta nella tasca della giacca come personale simbolo in suo ricordo e che anche in questi giorni ha mostrato in televisione e anche davanti agli studenti.
Ebbene, dopo averla seguita per oltre vent'anni, oggi posso dire di essere non solo deluso, ma triste ed arrabbiato per il suo omertoso silenzio rispetto ai fatti avvenuti nell'ultimo 23 maggio, dove gli studenti sono stati picchiati e presi a manganellate da un'azione fascista che voleva impedire loro di partecipare al minuto di silenzio davanti all'Albero Falcone e di contestare la metodologia nefasta della Fondazione Falcone che accetta di ospitare su quel palco anche figure politiche che sono state elette anche grazie al sostegno di quegli indegni, condannati per mafia, che hanno avuto rapporti proprio con chi ha voluto e ucciso Giovanni Falcone.
Inutile ricordarle i nomi di Totò Cuffaro e di Marcello Dell'Utri che si sono spesi lo scorso anno proprio per far eleggere l'attuale sindaco di Palermo Lagalla ed il Presidente della Regione Schifani.
Sedere a fianco ai nemici del suo amico è il vero schiaffo alla memoria dei nostri martiri (Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro) e non il voler manifestare il proprio dissenso rispetto a tutto ciò.
E non mi risponda demagogicamente che Giovanni Falcone aveva il rispetto delle istituzioni al punto che aveva accettato l'incarico all'ufficio Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia, sedendo accanto al ministro Martelli (che era chiacchierato già allora), all'interno del Governo del senatore Giulio Andreotti (che aveva rapporti con la mafia).
E' noto che Falcone ha utilizzato l'incarico in quel Governo di fatto spingendo Martelli a varare quelle norme antimafia che ancora oggi sono pietre miliari nel contrasto alle criminalità organizzate.
Essere seduti accanto a certi personaggi come lei oggi, che è in pensione e che non ha ruoli istituzionali, ha tutto un altro significato.
Tornando ai fatti del 23 maggio voglio tranquillizzarla, rispetto ai timori rappresentati dall'ordinanza “fascista” disposta a neanche 24 ore dal corteo.
Certamente nessuno avrebbe disturbato il momento più sacro della commemorazione, quello delle 17.58, ora della strage di Capaci. Ma, si sarebbe fatto sentire forte quel grido, "Fuori la mafia dallo Stato", che ha risuonato nell'intera via al termine del suono della tromba, immediatamente dopo gli applausi. Un messaggio che dovrebbe far riflettere tutti. E che invece fa tremare ancora oggi.
Lei era presente in via Notarbartolo. Non si trovava accanto ai suoi colleghi, de Lucia e Melillo, che almeno hanno preferito non sedersi accanto ai Lagalla e agli Schifani di turno. Lei era sul palco. Ha partecipato attivamente nella lettura dei nomi dei caduti di Capaci, così come quelli di Paolo Borsellino, dei poliziotti della scorta morti in via d'Amelio, e delle vittime delle stragi del 1993, di cui ricorre il trentennale.
E tutto ciò è avvenuto mentre, fino a pochi attimi prima, giovani studenti e liberi cittadini venivano picchiati.
Anche ammettendo che possa non aver visto ciò che stava avvenendo a meno di cinquecento metri da quel palco non possiamo accettare il suo silenzio dopo tutti questi giorni.
Eppure avrà visto i giornali. Avrà visto le immagini. Qualcuno le avrà almeno raccontato di quell'azione vergognosa operata da parte delle forze di polizia. Avrà anche saputo che ci saranno delle interrogazioni parlamentari in merito.
Di ciò che è avvenuto non sono stato solo testimone oculare, ma anche un soggetto attivo dal momento che ero tra i manifestanti che hanno rotto quei cordoni disposti per impedire l'arrivo all'Albero Falcone.
Ebbene è giunto il momento che lei rompa questo silenzio assordante proprio perché lei è uno dei testimoni che parla con i giovani e racconta la storia di Giovanni Falcone.
Oggi, di fronte a quanto avvenuto, quell'accendino di Falcone, che custodisce con così tanto orgoglio, cosa direbbe?
Non potendo parlare, resterebbe spento, perché così si tradisce la memoria di Falcone.
Nella speranza di una sua risposta, pubblica o privata che sia, ci permetta di dissentire all'omertoso silenzio che ci addolora e che fa male soprattutto alle giovani generazioni. 

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