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"No, non ho dato l'ordine di uccidere il piccolo Giuseppe Di Matteo". Sono queste le parole del boss stragista Matteo Messina Denaro, in risposta alle domande del gip di Palermo Alfredo Montalto, nel corso di un interrogatorio di garanzia che si è tenuto giorni scorsi.
Il capomafia di Castelvetrano è accusato di tentata estorsione ma, così come aveva fatto in carcere quando disse di "non aver mai ucciso donne e bambini" e "di non essere la persona che viene descritta", ha voluto prendere le distanze da quel crimine efferato. La notizia è stata riportata dal sito LiveSicilia.
Messina Denaro avrebbe scaricato su Giovanni Brusca (ex boss di San Giuseppe Jato ed oggi collaboratore di giustizia) ogni colpa, per la morte del bambino strangolato e sciolto nell'acido per vendetta nei confronti del padre, Mario Santo, che aveva iniziato a collaborare con la giustizia.
Diversamente avrebbe lasciato intendere che avrebbe avuto responsabilità solo del rapimento.
Certo è che i processi e le sentenze certificano la crudeltà e le responsabilità di Messina Denaro.
La morte del piccolo Di Matteo è uno dei delitti più orribili rimasti incisi nella memoria collettiva.
Venne rapito il 14 novembre del 1993 all’età di 12 anni da un commando di mafiosi travestiti da poliziotti (Messina Denaro era tra questi), mentre lasciava il maneggio dove era andato a cavallo, sua grande passione.


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La "casa degli orrori" di Brusca dove fu ucciso il piccolo Di Matteo © Shobha/Contrasto



Gli dissero che lo avrebbero portato dal padre, che dopo la decisione di collaborare era stato trasferito in una località protetta.
Nell'attesa di un ripensamento, che non ci fu, Giuseppe venne trasferito da una prigione all'altra nelle province di Palermo, Trapani, Agrigento.
La prima masseria nella quale fu portato, incappucciato e chiuso nel bagagliaio di un'auto, si trovava a Campobello di Mazara, proprio il Paese dove Messina Denaro ha trascorso negli ultimi anni la latitanza.
Era l'inizio di un calvario durato oltre due anni. Si concluse dopo 779 giorni in un casolare-bunker nelle campagne di San Giuseppe Jato quando, l'11 gennaio 1996, fu brutalmente strangolato e sciolto nell'acido.
Nelle parole di Messina Denaro c'è una parte di vero quando dichiara che a dare l'ordine di uccidere il bambino, così come dimostrato nei processi e dalle dichiarazioni dei collaboratori, fu Giovanni Brusca. E' lo stesso ex boss di San Giuseppe Jato ad averlo confessato così come hanno dichiarato anche gli esecutori materiali di quel delitto, Enzo Brusca, Vincenzo Chiodo e Giuseppe Monticciolo (anche loro collaboratori di giustizia).
Messina Denaro vorrebbe "lavarsi le mani", sporche di sangue di quel delitto, ma non può. Lui è stato condannato definitivamente dalla Cassazione assieme allo stesso Giovanni Brusca, a Leoluca Bagarella, a Giuseppe Graviano, Salvatore Benigno, Francesco Giuliano e Luigi Giacalone.
Da capomandamento e pari grado di Brusca, avrebbe potuto formalmente opporsi a quell'ordine dato, non lo ha fatto. Anzi contribuì attivamente proprio al rapimento, al sequestro e alla tortura del bambino.


di matteo giuseppe casa orrori shobha

© Shobha/Contrasto


Il suo non è altro che un tentativo di giustificarsi in una difesa contraddittoria e assurda a tutti gli effetti.
Del resto anche quando ha affermato di non aver mai toccato donne e bambini mente in maniera spudorata.
Perché è stato anche condannato in via definitiva per aver strangolato la giovane di Alcamo Antonella Bonomo, incinta, compagna del capomafia Vincenzo Milazzo.
E' sempre stato condannato in via definitiva per aver ispirato le cosiddette stragi del "Continente" del 1993. Tra questi c’è via dei Georgofili a Firenze, dove morirono il vigile urbano Fabrizio Nencioni, sua moglie Angela e le loro due figlie, Nadia e Caterina, di nove anni e cinquanta giorni. Ed ancora è stato condannato in primo grado per le stragi del 1992.
Qualche anno fa, nel 2017, alcuni suoi sodali, intercettati e fermati nell'operazione "Anno zero", commentavano proprio il sequestro e la morte del piccolo Di Matteo. Riferendosi al Padrino, allora ancora latitante, dicevano: "Non ha fatto bene? Ha fatto bene!". "Se la stirpe è quella... suo padre perché ha cantato?". "Ha rovinato mezza Palermo quello, allora perfetto". Certo, rispondeva l'altro interlocutore, "il bambino è giusto che non si tocca, però settecento giorni sono due anni ... tu perché non ritrattavi tutte cose? Se tenevi a tuo figlio, allora sei tu che non ci tenevi". "Una persona la puoi ammazzare una volta, ma la puoi far soffrire un mare di volte", continuava ancora il primo.
Insomma, Matteo Messina Denaro mente sapendo di mentire ed è stato a tutti gli effetti un "mandante" dell'omicidio del piccolo Di Matteo.


di matteo giuseppe casa orrori shobha

© Shobha/Contrasto



Se vuole davvero “ripulirsi” la coscienza che dica tutto quello che sa su stragi di Stato e delitti eccellenti.
Lui, come ha raccontato il collaboratore di giustizia Nino Giuffré, possiede i segreti nascosti nei documenti di Riina.
Potrebbe dire (collaborando con la magistratura e raccontando tutta la verità) perché, nel gennaio 1992, fu richiamato da Roma, dove si trovava per uccidere insieme ai Graviano Giovanni Falcone e l’allora ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli.
Lui potrebbe raccontare chi, come svelò il pentito Salvatore Cancemi, “prese per la manina” Totò Riina in quell'anno, facendogli cambiare idea sulle modalità di esecuzione per uccidere il magistrato.
Sempre Matteo Messina Denaro potrebbe svelare la verità sul progetto di attentato contro il magistrato Nino Di Matteo, secondo gli inquirenti ancora in corso.
Ai mafiosi di Palermo, nella missiva che aveva inviato nel dicembre 2012, così come raccontato dal pentito Vito Galatolo, uccidere il magistrato era una richiesta che proveniva da altri mandanti perché Di Matteo “si era spinto troppo oltre”.
Potrebbe anche dire il nome dell'esplosivista che avrebbe messo a disposizione per compiere il delitto.
Il boss di Castelvetrano è gravemente malato. Lui sa di non avere molto tempo. Ovviamente auspichiamo che gli siano messe a disposizione le migliori cure.
Ma se vuole guarire davvero nell'animo e riacquistare dignità non ha altre strade se non una: collaborare con la giustizia, senza se e senza ma.

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