A Roma presentato "Il patto sporco e il silenzio", scritto con Lodato. Intervenuti anche Ranucci, Purgatori, Resta e gli attori Zingaretti e Savino
Un evento contro "nascondimenti" e "mistificazioni" dei fatti. Un evento per abbattere il "muro di gomma del silenzio". E' con questo spirito che ieri, al Teatro Garbatella di Roma, si è tenuta la presentazione del libro "Il patto sporco e il silenzio" (ed. Chiarelettere), scritto a quattro mani dal sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo e dal giornalista Saverio Lodato.
Assieme ai due autori sono intervenuti i giornalisti Sigfrido Ranucci (conduttore di Report, su Rai 3, e autore con Nicola Biondo del libro "Il Patto") e Andrea Purgatori (conduttore di Atlantide, su La7). Ad intervallare gli interventi, moderati dalla giornalista televisiva Silvia Resta, le letture di due grandissimi attori come Lunetta Savino e Luca Zingaretti, e gli interventi musicali del sassofonista Nicola Alesini per uno spettacolo che ha fatto registrare il pienone.
"Qui è presente uno spaccato bello della nostra società - ha affermato proprio Silvia Resta presentando gli ospiti - c'è la magistratura che non si inginocchia davanti ai potenti, il giornalismo, quello buono che cerca la verità per raccontarla ai cittadini".
Questa sera, ha continuato, "qui non c'è soltanto la presentazione di un libro" ma "è un momento di incontro e di dibattito e di resistenza civile". Resistenza a cosa?
"All'omertà di stato, quel silenzio che è calato sul tema della Trattativa Stato - Mafia, su quel patto incestuoso che è avvenuto nei primi anni '90". Un patto portato a battesimo con le bombe del biennio stragista.
Un ruolo chiave, ovviamente, lo ha l'informazione. Un tema su cui si è concentrato proprio Nino Di Matteo nel suo intervento, evidenziando l'importanza del giornalismo d'inchiesta “che aiuta la democrazia, forma le coscienze dei cittadini, previene la corruzione, smaschera le collusioni e le deviazioni istituzionali”.
Di Matteo ha dunque evidenziato i punti salienti delle motivazioni della sentenza d'appello del processo trattativa Stato-mafia, che ha condannato i mafiosi ed assolto, a differenza del primo grado, gli uomini dello Stato. Un processo che ha accertato fatti importanti i quali “disegnano un contesto da far tremare i polsi”.
“Nella sentenza – ha ricordato il magistrato - c’è scritto che venne instaurato un dialogo a distanza con l’ala moderata di Cosa nostra per cercare di contrastare la fazione degli 'irriducibili'. Nella sentenza si legge che questo fu il frutto di un tentativo di allearsi con un nemico per sconfiggerne uno più pericoloso. Io penso che prima ancora che giuridicamente, non ritengo eticamente accettabile tutto ciò: allearsi con un nemico, Bernardo Provenzano, per sconfiggerne uno più pericoloso”. Di Matteo ha quindi messo in fila i fatti accertati nel processo a cominciare dal dialogo che gli alti ufficiali dei carabinieri intrapresero con Vito Ciancimino, fino ad arrivare alla mancata perquisizione del covo di Riina, in via Bernini, o il mancato blitz a Mezzojuso.
Successivamente ha fatto riferimento al recente arresto di Matteo Messina Denaro: “Non si può pensare che le coperture alla latitanza di Messina Denaro siano state fornite solo da familiari o da qualche medico o infermiere compiacente. È un tema che va assolutamente approfondito anche in relazione ai tanti comportamenti sorprendenti di Matteo Messina Denaro degli ultimi anni, che si possono spiegare a mio avviso solo con un’alternativa: o lui contava e confidava su un livello di protezione talmente alto da indurlo a pensare che nessuno lo poteva arrestare oppure si è fatto arrestare”. “Credo - ha aggiunto - che sia molto importante capire quello che è successo e non qualificare questi dubbi come frutto del solito complottismo, perché fantasie complottiste erano state definite anche quelle relative alle vicende della mancata perquisizione del covo di Riina e della latitanza di Provenzano. Fantasie complottiste che oggi sono riconosciute come provate in una sentenza della Corte d’Appello”.
Il Governo sotto ricatto?
Di Matteo, ha anche sottolineato quelle dichiarazioni che Salvatore Baiardo, noto favoreggiatore dei fratelli Graviano, ha rilasciato in diretta televisiva qualche mese fa. “Io credo che l’errore più grande sarebbe quello di minimizzare e archiviare la questione come frutto di un millantatore – ha ribadito - Io credo che invece oggi alla luce di quanto avvenuto e delle oggettive anomalie dell’arresto è ancora più necessario approfondire la questione. Anche perché non è pensabile che Baiardo abbia fatto quelle dichiarazioni senza ottenere quantomeno il preventivo consenso dei fratelli Graviano. E anche perché proprio alla luce di questa considerazione quelle dichiarazioni assumono il significato di un segnale di ricatto lanciato allo Stato. Perché se consideriamo quello che è avvenuto negli ultimi anni dobbiamo dire che è da tempo ormai che prima Giuseppe Graviano in persona, con le dichiarazioni rivelate nel processo di Reggio Calabria, e ora indirettamente Baiardo fanno intendere di potere rivelare e anche di dimostrare qualcosa di molto grave e preciso sui loro rapporti con l’onorevole Berlusconi”.
“Questo - ha proseguito Di Matteo - è un vero e proprio ricatto, nemmeno troppo celato. È ancora più preoccupante, perché Berlusconi è parte importante della maggioranza di governo e quindi il ricatto nei suoi confronti rischia di coinvolgere il Governo. Ma d’altra parte, anche se il Paese non lo deve ricordare, non possiamo dimenticare quanto emerge dalla sentenza definitiva di condanna di Marcello Dell’Utri a proposito dei risalenti e molto duraturi rapporti di Silvio Berlusconi con le allora più potenti famiglie mafiose di Cosa nostra. Quei fatti rappresentano una spada di Damocle sulla testa di un importante esponente politico, di un leader di una fazione politica, ma è una spada di Damocle che la politica tutta preferisce ignorare”.
Infine Di Matteo ha parlato di un altro argomento d'attualità come le continue riforme della giustizia proposte dagli ultimi due governi: “La riforma Cartabia e le riforme preannunciate dal ministro Nordio vanno nella stessa direzione, che non è quella di rendere più veloce la giustizia, ma è quella di renderla sempre più debole e con le armi spuntate nei confronti delle manifestazioni criminali tipiche dei colletti bianchi. La riforma Cartabia ha aperto il varco: le riforme di Nordio darebbero la spallata finale al sistema, con grave pregiudizio non solo per le vittime dei reati, ma per tutti i cittadini che ancora si aspettano verità e giustizia dalla magistratura”.
“Ministro Cartabia e ministro Nordio. Governo Draghi e Governo Meloni. Per me si muovono nella stessa direzione – ha detto Di Matteo - E la direzione è quella di ridimensionare l’indipendenza della magistratura per potere controllare direttamente o indirettamente il suo operato. Un sistema di potere che ha la grave responsabilità di non applicare i principi costituzionali, oggi intende blindarsi, vuole essere affrancato ora e in futuro da ogni possibile controllo della magistratura e magari anche dei giornalisti d’inchiesta. Vuole una magistratura collaterale, debole con i forti, asservita e governata dalle stesse logiche e dinamiche opportunistiche del potere politico ed economico”. Quindi ha concluso: “La riforma Cartabia e le riforme che il nuovo governo ha in cantiere disegnano una magistratura dominata dal carrierismo, dall’attenzione soltanto ai numeri e alle statistiche, da un atteggiamento burocratico che la tenga lontana dalle grandi inchieste sulla criminalità del potere. Una magistratura che si lasci definitivamente alle spalle la stagione delle grandi inchieste su mafia e politica, la stagione dei maxi processi, delle indagini sulle stragi e sui mandanti delle stragi. Io credo che opporsi con tutte le nostre forze a questa vera e propria restaurazione costituisca per noi un dovere e una battaglia di libertà e democrazia”.
Saverio Lodato: “Non è mai esistita una mafia sporca e uno Stato pulito”
“Noi siamo qui perché pretendiamo ancora di avere le risposte a quegli interrogativi che da decenni non ci vengono dati”. E’ questo il messaggio, l’appello, lanciato con enfasi dal giornalista e scrittore Saverio Lodato, autore del libro “Il Patto Sporco e il silenzio” (ed. Chiarelettere) scritto insieme al magistrato Nino Di Matteo, e presentato ieri sera al Teatro Garbatella di Roma. Lodato ha risposto a tutte quelle malelingue che denigrano l’impegno civico di tanti che, dopo 30-40-50 anni da fatti indicibili di mafia, non si arrendano nel pretendere di sapere la verità su episodi drammatici di questo Paese senza arrendersi ai depistaggi, alle mezze verità o alle verità di comodo. “Noi siamo qui perché vorremmo avere il piacere di leggere con i nostri occhi l’agenda rossa di Paolo Borsellino”, ha affermato. “Vorremmo leggere i nomi, le date e gli appunti che Borsellino scrisse nelle settimane successive alla strage di Capaci in cui aveva raccolto i resti di Giovanni Falcone. Borsellino aveva scritto gli spunti delle sue indagini sulla morte di Falcone”. “Il giorno della strage l’agenda era contenuta dentro una borsa (nell’auto del giudice coinvolta dall’esplosione, ndr) che si vede passare di mano tra uomini di Stato in quello scenario arroventato, dove le fiamme non erano ancora spente”, ha aggiunto sul punto. In questo passaggio di mano era finito anche il giudice Giuseppe Ayala che però non ricorda bene la dinamica della presa in consegna della borsa, fornendo diverse versioni sull’accaduto.
“Ci auguriamo che torni la memoria al giudice Giuseppe Ayala che ha ricordato di aver avuto per un attimo in mano la borsa contenente con ogni probabilità quell’agenda ma che, travolto dallo choc del momento, non ricorda a chi quella borsa venne consegnata”, ha detto Lodato. E ancora. “Noi siamo qui - ha affermato l’autore - perché pretendiamo di conoscere chi suggerì ai mafiosi, ai pecorai, l’organizzazione di stragi nel Continente, dopo quelle di Capaci e via d’Amelio, in quei luoghi altamente simbolici e densi di cultura che uomini come loro non sapevano nemmeno esistessero”. “Noi siamo qui - ha aggiunto Lodato nel suo discorso al publico in sala - perché sappiamo che c’è qualcuno che sa davvero chi era presente nella fornace dove c’erano gli apprendisti stregoni che stavano creando il “pentito mostro” Vincenzo Scarantino. Quello che poi, a detta del giudice Antonio Balsamo, attuale Presidente del Tribunale di Palermo, fu l’autore del più grande depistaggio della storia della repubblica italiana. Noi sappiamo che quel pentito venne creato in laboratorio con lo scopo di non rendere tangibile la presenza dello Stato in una strage che fu di mafia ma che ebbe input e il coinvolgimento di uomini dell’apparato statale. Siamo qui perché non abbiamo mai creduto alla favoletta raccontata dal Generale Mori e dal capitano De Donno sulle cause che resero impossibile il controllo del covo di Totò Riina in via Bernini, un minuto dopo che fu arrestato.
Perché non abbiamo mai creduto alla tavoletta che reparti specializzati dell’Arma dei Carabinieri non cogliessero l’occasione ghiotta di andare a vedere cosa Riina custodiva a casa sua. Sono balle alle quali non abbiamo creduto mai”, ha affermato. “E lo abbiamo scritto in tempi non sospetti - ha continuato lo scrittore - quando però anche quei testi e quegli scritti vennero considerati come boiate pazzesche, come poi sarebbe stata considerata una boiata pazzesca il ragionamento sulla trattativa Stato-mafia”. Proprio in questi giorni, il capitano De Donno, il generale dei carabinieri Mori, li possiamo ascoltare, ha ricordato l’autore del libro, “grazie alla trasmissione di Massimo Giletti in cui dicono che c’è stato un grande equivoco: ‘noi non abbiamo mai detto che quello in via Bernini era il covo di Totò Riina’. Lì c’era la famiglia, ma il covo era da un’altra parte. Non abbiamo mai saputo dov’era il covo di Riina. Affermazioni singolari da parte di uomini che per 30 anni hanno visto l’Italia raccontare la loro verità delle prime ore che quello era il covo di Totò Riina e che sono stati assolti per processi specifici per la mancata perquisizione del covo di Riina”. Quindi, ha ribadito Lodato, “ci sono tante ragioni che ci impongono di ritornare periodicamente a rincontrarci”.
Quindi il giornalista ha parlato dell’arresto del superlatitante Matteo Messina Denaro.
“Noi vogliamo sapere le cose che sa Matteo Messina Denaro. A noi ci piacerebbe sapere dove aveva i covi 5, 7, 12, 18 anni fa”, ha spiegato. “Vorremmo conoscere come ha fatto per trent’anni l’uomo simbolo dello stragismo mafioso a vivere assolutamente indisturbato”. “Ecco perché - ha detto Lodato avviandosi alla conclusione - a quelli che dicono ‘voi ripetete sempre le stesse cose e parlate sempre di aria fritta e rarefatta’ noi diciamo ‘no, calma, perché quando parliamo di trattativa Stato-mafia e del silenzio abbiamo presente un parziale elenco di nomi’: Dalla Chiesa, Pio La Torre, Mattarella, Michele Reina, Cassarà, Zucchetto, Montana, Basile, D’Aleo, Livatino, Saetta, Ciaccio Montalto, de Mauro, Fava, Alfano, Spampinato, Rostagno, Impastato. E quanti, quanti ancora. Ma davvero - si è chiesto Lodato - noi riteniamo che questi signori pagarono con la vita per responsabilità esclusivamente di un gruppo di pastori che mettevano il vestito di fustagno e suonavano scacciapensieri? No, non ce la raccontate più questa favoletta. Sin da quando è nata, con il primo delitto eccellente di Palermo di Emanuele Notarbartolo, direttore del Banco di Sicilia, la mafia aveva nel suo Dna i rapporti con la politica, con gli onorevoli, con i sindaci, con i direttori di banche, con i finanzieri e con i poteri occulti.
Non c’è mai stata una mafia separata dallo Stato”. “Davvero crediamo che i diari di Dalla Chiesa, Falcone, l’agenda rossa di Borsellino, tutte cose che contenevano tracce scritte e sparite per incanto, siano stati sequestrati in tempo reale dagli stessi commandos militari che in quel momento aprivano il fuoco contro le personalità dello Stato? No, c’erano altri che facevano altri che facevano il lavoro sporco. C’era chi ammazzava e chi sottraeva le carte perché i misteri dovevano restare misteri. Se ci voltiamo indietro degli ultimi cinquant’anni ci troviamo una caterva di caterva di cadaveri e misteri. Perché in Italia c’è sempre un odio così alto nei confronti della magistratura e nei confronti delle forze di polizia che svolgono indagini e c’è invece un occhio di riguardo per i potenti che finiscono sotto processo? Questa è la dimostrazione del fatto - ha concluso Saverio Lodato - che non esiste e non è mai esistita una mafia sporca e uno Stato pulito perché mafia e Stato hanno lavorato spesso in sinergia nella scelta degli obiettivi e negli obiettivi da abbattere”.
Ranucci: da “Il Patto” a "Il patto sporco" ecco l’altra faccia della trattativa
È stata poi la volta del giornalista Sigfrido Ranucci, conduttore di Report su Rai3 e autore con Nicola Biondo del libro "Il Patto” (Ed. Chiarelettere). Ed è proprio il suo libro-inchiesta l’oggetto attorno al quale si è sviluppato il suo intervento. Una pubblicazione in cui, tramite le rivelazioni del boss Luigi Ilardo - ex reggente di Caltanissetta nonché confidente dei carabinieri e mancato collaboratore di giustizia (venne ucciso prima di ufficializzare la sua collaborazione il 10 maggio 1996) -, gli autori hanno ricostruito l’accordo segreto tra Stato e mafia dalle stragi del 1992. “Oggi è importante presentare ‘Il Patto’ con il libro di Nino Di Matteo e Saverio Lodato, perché è l’altra faccia della medaglia della trattativa. Luigi Ilardo è stato infiltrato nel 1993 ed ha raccontato in tempo reale una parte della trattativa al colonnello dei carabinieri Michele Riccio. Non possiamo parlare di un’unica trattativa ma di più trattative in varie fasi. Aveva iniziato a raccontare al colonnello Riccio la nuova strategia della mafia: la sommersione”, ha detto Ranucci.
Le dichiarazioni di Luigi Ilardo avrebbero, con molta probabilità, stravolto le sorti della lotta alla mafia in Italia. “Aveva portato vicino alla cattura di Bernardo Provenzano (latitante, ndr) a Mezzojuso 10 anni prima del vero arresto - ha continuato il giornalista -. Aveva riferito del ruolo servizi segreti, della massoneria, della mafia e della destra eversiva in molti attentati e omicidi eccellenti a partire dall’omicidio dell’ex sindaco di Palermo Insalano ucciso nel 1988. Ilardo aveva soprattutto indicato quali erano i referenti politici del patto tra Cosa nostra e parti della politica e dello Stato. Per la Sicilia orientale aveva indicato il nome di Antonino La Russa, che è il padre dell’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa. E poi il ruolo di Salvatore Ligresti (imprenditore protagonista del boom economico italiano e di numerosi scandali, ndr), anche lui di Paternò, come La Russa; i suoi rapporti con Provenzano e quelli tra il boss di Cosa nostra e il gruppo Ferruzzi di Gardini che, secondo Ilardo, era nella disponibilità di Bernardo Provenzano”.
Tra le altre cose il confidente dei carabinieri Luigi Ilardo “raccontò anche dell’entrata di Cosa nostra nella massoneria, perché uno dei protagonisti, Giovanni Chisena, era iscritto alla massoneria. Si tratta di uomo che girava con il lascia passare del Ministro dell’Interno che era stato visto da Ilardo con una valigetta a metà anni ’70 con dell’esplosivo dentro, proveniente dalla base militare di Augusta e finalizzato a degli attentati. E aveva confidato più volte che la massoneria e questi rapporti incestuosi con parti deviati dello Stato avevano consentito la sua latitanza. Luigi Ilardo conosceva bene Chisena perché era il fidanzato della sorella del boss”. Ranucci ha voluto inoltre ricordare un altro punto di riferimento della mafia di Caltanissetta: Raimondo Maira. “Un soggetto dell’udc (già sindaco di Caltanissetta, ndr) indicato precedentemente anche dal collaboratore di giustizia Leonardo Messina, un altro collaboratore di giustizia come vicino a Cosa nostra per aver comprato voti di Piddu Madonia. Maira era anche finito in un’indagine della Criminalpol che aveva sospettato che il suo cellulare fosse stato utilizzato per contattare alcuni protagonisti della strage di Capaci. Maira lo ritroveremo poi nel governo lombardo e soprattutto come uno dei responsabili della commissione antimafia: forse l’uomo giusto al posto giusto…”.
Ilardo parlò anche del ruolo di Luigi Savona, “un altro maestro che fonderà diverse logge massoniche in Sicilia”.
Avrebbe raccontato e ufficializzato questo e molto altro Luigi Ilardo, se non fosse stato ucciso il 10 maggio 1996 “da un commando che successivamente si scoprirà essere agli ordini di Maurizio Zuccaro: imprenditore capo di un clan locale che si è scoperto - a proposito di 41bis - fare l’ergastolo a casa a causa di anoressia”. Avrebbe potuto dare una chiave di volta unica circa il “ruolo dei servizi segreti e di quella parte dello Stato che avrebbero avuto un ruolo importante nelle stragi di mafia”, ha aggiunto il giornalista prima di avviarsi alla conclusione. Ranucci, infine, ha concluso parafrasando una frase di Gorge Orwell riferita al “Partito” contenuto in “1984” il quale mirava al controllo assoluto sul tempo: “Chi controlla le informazioni oggi controlla le informazioni del passato. Chi controlla le informazioni del passato controlla le informazioni del futuro”.
Purgatori: “Dietro le stragi sempre le stesse mani di uomini delle istituzioni”
Ovviamente chi ha cercato di approfondire questa pista non ha avuto vita facile.
“Perché - si è chiesto il conduttore di La7 - soprattutto, quando nel 2006 il capo della Squadra Mobile di Trapani, che si chiama Montalbano, decide di fare una perquisizione" nel centro Scontrino e "scopre che ci sono diverse logge massoniche" - di cui una si chiamava Iside e in cui dentro "c'erano politici, magistrati e rappresentanti delle forze dell'Ordine" e "sequestra i nomi di questi massoni - viene sanzionato con una sanzione disciplinare e poi obbligato al trasferimento?"
"Questa cosa mi ha molto colpito" ha proseguito Purgatori elencando le sue inchieste nel trapanese. Nel tempo ha ricordato di aver "cercato di ricostruire l'omicidio del giudice Ciaccio Montalto, di Mauro Rostagno e Peppino Impastato. Tutti e tre all'inizio sono stati sporcati da tentativi di depistaggio".
Dunque la storia di Matteo Messina Denaro è uno "snodo fondamentale" così come la sentenza d'appello del Trattativa, un processo "che viene sempre attaccato come se fosse un'invenzione della magistratura".
"Guardate - ha concluso il giornalista - che in tutte le stragi che noi abbiamo vissuto" da Piazza Fontana in poi, ci sono state sempre "le stesse mani" ed erano "mani di uomini delle istituzioni".
Lunetta Savino e Luca Zingaretti leggono "Chi sono Loro? E chi siamo Noi?" di Saverio Lodato
Tratto dal libro "Il Patto sporco e il silenzio"
"Chi sono loro? E chi siamo noi?"
E' la domanda che gli attori Lunetta Savino e Luca Zingaretti si sono posti leggendo alcune pagine del libro "Il Patto sporco e il silenzio" (ed. Chiarelettere) scritto da Nino Di Matteo e Saverio Lodato. L'articolo è quello scritto da Saverio Lodato nel 2015 in cui si legge: "A noi piacciono i magistrati antimafia quando sono vivi. Quando vengono messi in condizione di svolgere al meglio il loro lavoro. Quando vengono incoraggiati, incitati, sostenuti ad andare avanti.
Quando le massime autorità del paese li indicano ai cittadini come esempio di virtù civica e risorsa alla quale attingere per la costruzione di un'Italia migliore. A noi piacciono i magistrati antimafia quando non vengono percepiti come un fardello fastidioso dal quale tenersi alla larga. O, peggio ancora, quando vengono additati come un male oscuro da ostacolare, intralciare, combattere e infangare".
"A Loro, invece, piacciono i magistrati antimafia solo quando sono morti. Quando le loro vite sono ridotte a lapidi".
"Ma chi sono Loro?"
"Loro - ha continuato Zingaretti - sono quelli che sanno solo far finta di niente, che sanno girare a meraviglia la testa dall'altra parte. Che non sapranno mai dire evangelicamente: sì, sì, no, no. Che stanno eternamente alla finestra per fiutare da che parte soffia il vento. Che non vogliono ricordare. Che non vogliono ricavare lezione dal passato e dalla storia di quanto accade. Che pretendono di narcotizzare gli interrogativi, la volontà di cambiamento, lo sdegno, la rabbia di quei cittadini che non ci stanno. Sono Loro. È di loro che stiamo parlando.
Sono sempre Loro".
"Quelli per i quali, se proprio la mafia s'ha da combattere, si combattesse pure, ma guai a volersi metter in testa di volerla sconfiggere per sempre. Perché se in Italia c'è da un secolo e mezzo, non riescono a capacitarsi che a qualcuno sia venuta la bizzarra idea di collocarla in un museo ora che siamo nel terzo millennio.
Sono Loro.
Quelli che simpatizzano con corrotti e collusi, politici pregiudicati, indagati, condannati che siano, affaristi e faccendieri, boss, picciotti, latitanti, colpevoli che magari vengono assolti in un'aula di tribunale, al grido di battaglia 'così fan tutti!'.
Perché così e più comodo e rassicurante per quel letargo delle coscienze che semplifica la vita".
"E giunto il momento - ha detto Zingaretti - che le massime cariche dello Stato battano un colpo. E dicano, senza reticenze, senza giri di parole, di fronte a milioni di italiani, se stanno con Loro.
"O stanno con noi", ha concluso Lunetta Savino.
Lunetta Savino legge “Nino Di Matteo che da solo scalò la montagna” di Saverio Lodato
Tratto dal libro "Il Patto sporco e il silenzio"
Il secondo intervento artistico della serata è un'altra lettura, stavolta con protagonista la voce splendida di Lunetta Savino. Nel testo di Saverio Lodato, scritto nel 2017, ripercorre alcune vicende che hanno riguardato da vicino il magistrato Nino Di Matteo. Lui che "Ha scalato la montagna, da solo, nonostante l'infinità di nemici in agguato. Ha stretto i denti per anni, indifferente alle canee vocianti che lo dipingevano protagonista e forcaiolo, visionario e processualmente inconcludente, persecutore incontentabile di politici d'alto lignaggio, colletti bianchi immacolati, alti funzionari dello Stato e blasonati rappresentanti delle forze dell'Ordine e della Patria, addirittura presidenti della Repubblica, che per definizione nessuno dovrebbe scomodare".
Inconcludente, persecutorie incontentabile di politici d'alto lignaggio, colletti bianchi immacolati, alti funzionari dello Stato e blasonati rappresentati delle forze dell'Ordine e della Patria, addirittura presidente della repubblica, che per definizione nessuno dovrebbe scomodare l'Uomo Simbolo di un processo che Jon s'aveva da fare: quello in corso a Palermo sulla Trattativa Stato - Mafia".
Nino Di Matteo che "non ha fatto una piega. Neanche quando il rullo dei tamburi mafiosi che annunciavano morte e progetti di strage è diventato assordante. Neanche quando si moltiplicano le intercettazioni telefoniche e ambientateli e le rivelazioni dei pentiti che indicavano concretamente l'enorme quantitativo di tritolo mesi a disposizione delle cosche per farla finita, una buona volta, proprio con Nino Di Matteo". Nino Di Matteo che "non si è mai piegato di fronte alla ingiustizie subite in più occasioni dal Consiglio superiore della magistratura".
La notizia della nomina alla Procura nazionale antimafia, in quell'anno, viene commentata così da il giornalista Lodato. E come legge Lunetta Savino quello fu un "riconoscimento pieno da parte dello stesso Csm. Riconoscimento unanime. Infarcito di complimenti e lodi per il lavoro di questo magistrato che da solo ha dovuto scalare la montagna. Non gli è stato regalato niente. Gli è stato riconosciuto il dovuto. Con molto molto ritardo. Si apprende dai giornali che Di Matteo, pur nominato alla Super-procura, manterrà il suo incarico di pm nel processo di Palermo". "Se non insorgeranno ostacoli - ha concluso l'attrice - la migliore opinione pubblica del nostro paese potrà essere fiera di aver sostenuto, nonostante il silenzio infingardo delle istituzioni, un magistrato che non ha fatto una piega.
E non si è mai piegato".
16 marzo 2017
Luca Zingaretti legge "Abracadabra. E il gioco è fatto”
Dalla prefazione di Saverio Lodato - Il patto sporco e il silenzio
Rispetto all'edizione precedente del libro vi è una nuova e ampia introduzione di Saverio Lodato che analizza gli elementi di novità scaturiti dalla sentenza d'appello del processo trattativa Stato-mafia. E proprio una parte di questo testo è stata letta a chiusura dell'evento da un magistrale Luca Zingaretti. Un testo che analizza il tentativo di normalizzare temi ed argomenti come mafia ed antimafia con l'obiettivo di "cancellare la memoria. Fare tabula rasa per sempre. Iniziare a costruire il nuovo Grande Racconto.
E soprattutto indagare, mettendoli alla gogna, i magistrati migliori. Mentre una parte della magistratura, da sempre porta alle sirene della politica, con lo scandalo Csm ci metteva la sua, prestando il fianco ai regolamenti di conti che venivano da lontano".
Quelle fondamenta per il cosiddetto "Nuovo Mondo" erano semplici e Lodato, nello scritto letto da Zingaretti, fa l'elenco: "fare a pezzi valori e principi; segare per sempre i rami più robusti della coscienza civile; e collocare definitivamente a riposo i mausolei di periferia, i busti di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e dei cento e cento che, come loro, avevano stupidamente pagato con la vita". E poi la domanda: "Ma come si costruisce un Nuovo Mondo? Da dove cominciare?
Da una semplice formuletta che, con il tempo, si sarebbe diffusa come una gramigna. Mai dire mafia. Ecco l'abracadabra che sarebbe magicamente servito alla bisogna.
Mai ammettere che, se sisma uno fra i paesi più indebitati al mondo, ciò lo dobbiamo, non solo ma anche, alla presenza agguerrita di mafia e mafie che hanno impoverito l'Italia per decenni e decenni.
Siamo entrati nella modernità con la mafia custodita nel bagaglio a mano.
Non abbiamo saputo sconfiggerla e ci siamo abituati a conviverci.
Hai voglia a dire che la mafia è scomparsa, che la mafia non commette più delitti eccellenti e stragi. Che Totò Riina e Bernardo Provenzano sono passati a miglior vita".
Altro spunto: "Mai dire mafia è diventata quasi una parola d'ordine di regime. Ora però dobbiamo intenderci bene. Cosa significa mai dire mafia? Procediamo a caso.
Significa prima minare, e poi stravolgere, la legislazione sull'ergastolo ostativo. Quello che Giovanni Falcone considerava come uno dei deterrenti principali per contrastare le affiliazioni alle mafie. Significa stabilire il principio, per esempio, che lo Stato non è più interessato al pentimento del boss mafioso per restituirgli in cambio la libertà.
Stabilire, di conseguenza, che lo Stato non vuole sapere altro; rendendo, di contro, i collaboratori di giustizia ingenui grilli parlanti non più incentivati, non più considerati, non più utilizzati processualmente. Significa rinunciare allo strumento della confisca dei beni sporchi di sangue, anche quando le indagini hanno dimostrato che sono illeciti, se il processo penale, a causa dei tempi troppo lunghi, si è insabbiato. Significa annacquare, in nome di principi umanitari, il carcere duro. Magari con tanto di love house, perché anche la lotta alla mafia richiede un pizzico di leggerezza dell'essere. Perché no?"
Quindi il gran finale: "I Cuffaro, i Dell'Utri, i Berlusconi e gli Schifani hanno iniziato vite nuove, politicamente parlando, al riparo del grande mutismo diffuso sulla parola mafia. E ci sono arrivati, in modo rocambolesco, attraverso condanne, archiviazioni, prescrizioni; anche assoluzioni, sebbene gravate da quadretti poco edificanti su frequentazioni con esponenti mafiosi o persone chiacchierate, non perseguibili penalmente, però incompatibili per chi ambisce ad amministrare la cosa pubblica; processi aperti e non ancora definitivi".
Foto © Paolo Bassani/Deb Photo
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La rubrica di Saverio Lodato
Dossier Processo Trattativa Stato-Mafia
Hanno parlato del libro Il Patto Sporco
Andrea PURGATORI - “Dietro le stragi sempre le stesse mani di uomini delle istituzioni”
Sigfrido RANUCCI - Da “Il Patto” a "Il patto sporco" ecco l’altra faccia della trattativa
Lunetta SAVINO legge “Nino Di Matteo che da solo scalò la montagna” di Saverio Lodato
Lunetta SAVINO e Luca ZINGARETTI leggono "Chi sono Loro? E chi siamo Noi?" di Saverio Lodato
Luca ZINGARETTI legge "Abracadabra. E il gioco è fatto" di Saverio Lodato
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Giovanna MAGGIANI CHELLI - ''Il Patto Sporco'' e la ricerca della verità sulle stragi
Loris MAZZETTI - Il processo Trattativa e quel senso di ''omertà di Stato''
Dacia MARAINI - ''I pericoli di una mafia che non spara''
Alfia MILAZZO - Lodato: ''La sentenza trattativa? Un'ottima base per cercare la verità non solo su via D'Amelio ma su tutte''
Claudia NAPPI - Di Matteo: ''Si vada oltre la vicenda Scarantino senza diffondere falsità''
Carlotta NATOLI - Il Patto Sporco. Un libro per Ri-Cor-Dare: donare un nuovo cuore
PIF - Nino Di Matteo: ''Siamo circondati dal silenzio e dal divieto di parlare dell'intelligenza tra Stato e mafia''
Andrea PURGATORI - Saverio Lodato: Giovanni Falcone mi chiamò per raccontarmi delle Menti Raffinatissime
RADIO POPOLARE - La lezione antimafia di Nino Di Matteo
Silvia RESTA - ''Il Patto Sporco'', il racconto proibito dell'Italia di oggi
Paolo RIBET - ''Giustizia, Politica, Informazione'', Davigo e Lodato a Torino vanno oltre il Patto Sporco
Lunetta SAVINO - Di Matteo: ''In questo Paese una voglia insana di archiviare per sempre ve-rità su stragi e trattativa''
Carlo SMURAGLIA - Al Teatro Biondo di Palermo la presentazione del libro ''Il Patto Sporco'' di Nino Di Matteo e Saverio Lodato
Armando SORRENTINO - I miei figli hanno sempre vissuto con il padre sotto scorta
Andrea SPALINGER - Ha scoperto il patto sporco tra Mafia e Stato. Ma in Italia non se ne parla
Corrado STAJANO - ''Il Patto Sporco'' nelle parole di Stajano
Luca TESCAROLI - ''Il Patto Sporco'' e la ricerca della verità sulle stragi
TGR Sicilia - Nino Di Matteo e Saverio Lodato presentano ''Il Patto Sporco'' al TGR Sicilia
TG2 - ''Il Patto Sporco'' al Tg2
Marco TRAVAGLIO - Nino Di Matteo: ''Siamo circondati dal silenzio e dal divieto di parlare dell'intelligenza tra Stato e mafia''
Mario VALENTINO - Nino Di Matteo ritira a Bari il premio Gens Nova Onlus
Anna VINCI - Il Patto Sporco, un libro che viene da lontano
Francesco VITALE - La faccia sporca dello Stato che vogliono fare scomparire