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Il magistrato a 'Piazza Pulita': "Questo è un momento molto particolare nel rapporto Mafia-Stato”

La cattura di Matteo Messina Denaro, il caso Cospito e i retroscena delle stragi del 1992-93. Sono stati questi gli argomenti affrontati ieri dal sostituto procuratore nazionale antimafia e già consigliere togato del Csm Nino Di Matteo durante la trasmissione 'Piazza Pulita' condotta dal giornalista Corrado Formigli.
Tre temi apparentemente diversi ma, in verità, accomunati da quella trama occulta su cui è incisa la storia giudiziaria e politica di questo Paese. Un Paese in cui, come dicono le sentenze, si è consumata una trattativa tra alcuni esponenti dello Stato e la fazione provenzaniana di Cosa Nostra; dove si protraggono latitanze dorate come quella di Matteo Messina Denaro e dove vi è il rischio che boss stragisti, ad oggi, possano uscire dalle patrie galere.
Ma nonostante questo alcuni 'giornaloni', dopo l'arresto della primula rossa di Castelvetrano, si sono affrettati ad intonare il requiem finale sulla questione mafia, decretando a gran voce la fine di Cosa Nostra.
Eppure basta osservare gli esitfi dei processi recenti (come la condanna in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa dell'ex senatore di Forza Italia Antonio D'Ali) o delle indagini sulla rete del superlatitante (come l’arresto del medico Tamburello), per accorgersi che Cosa Nostra non è morta, anzi, è ancora pienamente operativa e sta ancora cercando di perseguire il suo antico obbiettivo: l'abolizione del 41 bis, protagonista indiscusso della scena politica e giudiziaria delle ultime settimane. Salvatore Baiardo, favoreggiatore dei fratelli Graviano, il 5 novembre del 2022, aveva detto che Giuseppe Graviano aspira a uscire dal carcere e che questo si sarebbe potuto verificare perché da lì a poco Matteo Messina Denaro sarebbe stato arrestato:  "C'è anche un nuovo governo e chi lo sa che non arrivi un regalino - aveva detto Baiardo - E chissà che magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per fare un arresto clamoroso?".


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Le domande che emergono sono due: qual è il regalino per Graviano di cui parla Baiardo? E come ha fatto ad aver fornito indicazioni così precise?
Secondo Nino Di Matteo si è trattato di un arresto "in qualche modo annunciato anche nella tempistica da quel favoreggiatore di Giuseppe e Filippo Graviano".
Certamente, come ha specificato il magistrato, "il 16 gennaio è stata una giornata molto importante per il paese. Dobbiamo gioire per il fatto che un latitante condannato per sette stragi sia stato finalmente assicurato alla giustizia. Però è anche doveroso sottolineare due considerazioni: la prima è che è oggettivamente vergognoso che per 30 anni un soggetto di questo tipo sia stato latitante; la seconda considerazione riguarda tante anomalie che ci sono in questa cattura, soprattutto nel comportamento di Matteo Messina Denaro negli ultimi anni. Sono assolutamente d'accordo con quello che ha detto il collega Paolo Guido sul silenzio assordante ('della comunità di Campobello di Mazara', ndr). Però a mio avviso non è sufficiente sottolineare questo. Nel senso che se Matteo Messina Denaro è stato latitante, come è stato latitante per trent'anni ed è stato latitante almeno negli ultimi anni a casa sua, la responsabilità non può essere soltanto quella della 'borghesia mafiosa' che l'ha protetto o dell'omertà dei cittadini di Campobello. È ovvio che una latitanza di questo tipo e così a lungo protratta non può che avere avuto coperture istituzionali anche alte. Le indagini - ha detto - dovranno essere molto approfondite per poterlo eventualmente dimostrare".
Ma le "anomalie sono tante - ha continuato il magistrato - è stato arrestato a casa sua, e casa sua da 15 anni a questa parte, parlo di 15 anni perché mi riferisco al periodo immediatamente successivo all'arresto di Provenzano, quindi al 2006, era presidiata quella zona dalle forze dell'ordine, era piena di microspie, qualcuno diceva, per esagerare, che venivano intercettate pure le pietre. Eppure Messina Denaro è stato a casa sua, si è avvalso di documenti di un altro soggetto in Campobello di Mazara, tra l'altro a sua volta parente di mafiosi, che continuava a stare a Campobello di Mazara, e ha frequentato bar, ospedali privati, cliniche private, ospedali pubblici, concessionari d'auto. Ha frequentato, apprendiamo, anche importanti  ristoranti a Mondello e questa è un'anomalia incredibile.


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Ha utilizzato telefonini e scambiato il proprio numero di telefono con soggetti che conosceva di vista. Si è fatto scattare fotografie che ha messo in chat. Sono tutti comportamenti assolutamente anomali che ci devono far riflettere. Ci dovranno essere delle indagini che dovranno fare chiarezza sul punto
" ha spiegato Di Matteo.
C'è stata quindi una regia?
"Sono ipotesi che non vanno prioristicamente scartate se non ci vogliamo abbandonare ai facili trionfalismi e sono ipotesi che mi auguro, anzi ne sono certo, la magistratura indagherà a fondo".
Indagini a cui si dovrà prestare particolare attenzione e su cui occorrerà investire notevoli risorse.

Pericolo di ritorno al periodo stragista
"Questo è un momento molto particolare nel rapporto Mafia-Stato" ha detto Nino Di Matteo durante la trasmissione: "C'è un'intera generazione di stragisti, lo posso dire perché sono stati condannati definitivamente, oggi tutti tra i 50 e 65 anni, che sono stati arrestati proprio nell'immediato post stragi - quindi '92-'93-'94 - e che oggi se l'interpretazione e la legislazione sull'ergastolo ostativo fosse conforme al dettato della Corte Europea dei diritti dell'uomo e in parte della nostra Corte Costituzionale, potrebbero aspirare ai benefici. Cioè oggi ci sono dei soggetti che hanno fatto le stragi, che le hanno fatte anche per abolire l'ergastolo e ammorbidire il 41 bis, e che paradossalmente potrebbero uscire. Oggi si sta giocando una partita molto importante, perché io non credo che questa generazione di mafiosi stragisti sia rassegnata a morire in carcere. Ed è un momento molto delicato perché anche con il decreto che ha riguardato l'ergastolo ostativo, uno dei primi atti del governo attualmente in carica, si è data una risposta che ha deluso queste aspettative. Anche se queste aspettative continuano a essere importanti e questi mafiosi continuano a nutrirle. Ecco perché ho parlato di un momento delicato, perché se questi non si rassegnano come non si rassegneranno, dobbiamo vedere in che direzione partirà la contromossa": si potrebbe tornare al dialogo a suon di bombe, ad "un violento attacco allo Stato", oppure, se "si sentono delusi, a questo punto definitivamente delusi, iniziano a collaborare realmente ed effettivamente con lo Stato".


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Sicuramente ci sarà chi bollerà queste ricostruzioni come 'fantasie complottistiche'. Ma è necessario ricordare che per alcuni erano "dietrologie e fantasie complottistiche" anche "quelle sulla copertura della latitanza di Bernardo Provenzano: 43 anni. E adesso ci sono sentenze che spiegano come per alcuni anni una parte importante delle forze di polizia, un reparto di eccellenza dei carabinieri ha protetto la latitanza di Bernardo Provenzano perché in quel momento, cito le parole della sentenza, 'indicibili ragioni di interesse nazionale' facevano sì che si ritenesse che Bernardo Provenzano doveva restare libero per contrastare un'altra area della mafia, quella cosiddetta stragista. Si dice nella sentenza (d'Appello del Trattativa Stato-Mafia, ndr), ci si è alleati con  un nemico per sconfiggerne uno ancora più pericoloso".
Ricordiamo che nella sentenza di Appello sono stati assolti quegli ufficiali dei carabinieri, Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno 'perché il fatto non costituisce reato', così come è stato assolto l'ex senatore di Forza Italia Marcello Dell'Utri ‘per non aver commesso il fatto'.
Gli unici colpevoli della minaccia al corpo politico dello Stato, dunque, sono i capi mafia Leoluca Bagarella e Antonino Cinà.
Tuttavia, come specificato da Di Matteo, "i fatti che noi intendevamo provare sono stati ritenuti provati: a partire della mancata perquisizione del covo di Riina, che non fu frutto di un equivoco ma di una volontà dei Ros di lanciare un segnale di distensione nei confronti dell'ala trattattivista. La trattativa ci fu e non evitò altro sangue ma, lo dice la sentenza, rafforzò in Riina l'idea e il convincimento che le stragi convenissero e pagassero. Quindi i fatti sono stati ritenuti provati, vedremo adesso se in Cassazione l'attribuzione dei singoli fatti anche a livello di dolo ai singoli imputati verrà dimostrata o meno".


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I servizi segreti o lo Stato possono trattare con la mafia se ce ne fosse bisogno?
"In uno stato di diritto - ha detto il magistrato - se c'è una ragione di Stato che giustifica determinate deroghe alla legge, quella ragione di Stato deve essere dichiarata con un'assunzione politica di responsabilità che qui non c'è stata. Le ragioni di Stato occulte sono contro il concetto di libertà, di democrazia. L'avere, come scritto in quella sentenza, trattato con la mafia di Provenzano per arginare la mafia di Riina è gravissimo. È gravissimo perché Provenzano in quel periodo, lo dimostrano altre sentenze, a sua volta ordinava omicidi".

Gli enigmi irrisolti degli anni delle stragi
La mafia nel 1992 si mosse "con un intento politico. Si erano rotti i rapporti con i vecchi referenti politici, soprattutto con l'esito infausto del maxiprocesso. Totò Riina diceva ai suoi quando organizzavano queste stragi che 'bisogna fare la guerra per poi fare la pace. Ci verranno a cercare e quelli che ci verranno a cercare saranno i nostri nuovi referenti in futuro'. Al di là di questo non dobbiamo dimenticare che quel momento è un momento particolare che segna un po' la fine della prima Repubblica.
Che a livello internazionale è di poco successivo alla caduta del muro di Berlino. È un momento di grandi movimenti e se si conosce la storia di Cosa Nostra dobbiamo capire che Cosa Nostra è stata sempre particolarmente abile nella strategia di creare il rapporto con la politica e con il potere, è questa la vera forza di Cosa Nostra. Non è cambiato nulla secondo me rispetto a 160 anni fa quando per la prima volta si ebbe consapevolezza del fenomeno mafioso in Sicilia. La forza e la capacità di tenere rapporti con la politica
".


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"In base alla conoscenza che mi deriva da indagini e processi ci sono due uomini che sono in grado di svelare davvero dal punto di vista mafioso i retroscena delle stragi, e cioè i contatti che Cosa Nostra ha probabilmente avuto con ambienti estranei in funzione delle stragi, sono Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano. In quel periodo - ha continuato il magistrato - erano già latitanti. Hanno trascorso insieme parte della loro latitanza anche al nord Italia. In quel periodo sono stati tra coloro i quali sono venuti certamente a conoscenza di snodi fondamentali tuttora irrisolti. Per esempio Matteo Messina Denaro era già pronto ad uccidere il giudice Falcone a Roma, venne richiamato da Salvatore Riina per organizzare una strage molto più difficile da realizzare a Palermo facendo saltare in aria l'autostrada all'altezza di Capaci. Matteo Messina Denaro è quello che riferisce a Spatuzza e ad altri che vanno materialmente a mettere le bombe a Firenze a Roma e a Milano i bersagli da colpire. Io non credo che tutto questo possa essere opera di un soggetto come Matteo Messina Denaro. Mi chiedo se sia stato a sua volta oggetto di suggerimenti altrui".
È chiaro un dato: "Più si va avanti con le indagini e con i processi, e più da quei processi e dalle carte pubbliche - che pochi conoscono e molti altri vogliono non conoscere - viene fuori come sempre come più probabile l'ipotesi che o a livello di mandanti o a livello di coautori e co-organizzatori hanno operato ambienti estranei a Cosa Nostra. Sono stragi di mafia, ma con ogni probabilità non solo di mafia".

Il Caso Cospito
Durante la trasmissione il magistrato palermitano ha anche parlato del caso di Alfredo Cospito, l'anarchico condannato a 10 anni e 8 mesi per aver gambizzato nel 2012 l'amministratore delegato di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, atto rivendicato dalla sigla Nucleo Olga Fai-Fri, Federazione anarchica informale-Fronte rivoluzionario internazionale.


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Di Matteo, rispondendo alle domande di Formigli ha raccontato di una "relazione di servizio di un agente del Gom in servizio al carcere di Opera, quella relazione di servizio (anno 2013, ndr) che quell'agente mandò al DAP attestava che Riina, tornando in cella dopo aver partecipato a distanza ad una udienza del processo trattativa, disse: 'Non sono stato io a cercare lo Stato ma lo Stato a cercare me'. Quell'agente fece la relazione, la relazione venne mandata al DAP che la mandò alla Procura di Palermo. La procura di Palermo, sulla base di quella relazione chiese e ottenne una intercettazione ambientale delle conversazioni che Riina intratteneva nell'ora di socialità, all'aperto, con un altro detenuto, che si rivelò una investigazione molto proficua. Questo per dire che, a mio avviso, l'utilizzo che è stato fatto in Parlamento, quindi in maniera pubblica, delle relazioni di servizio, del contenuto di quella relazione di servizio, ha potuto compromettere degli approfondimenti investigativi che sarebbero stati possibilmente molto utili per capire se c'è una saldatura tra la mafia e l'interesse di Cospito o degli anarchici. Probabilmente questo approfondimento investigativo è stato compromesso da una divulgazione. Conta poco il fatto se era segreta o a limitata divulgazione. È stata compromessa in qualche modo l'efficacia dell'investigazione".

La lotta alla mafia
Il tema della lotta alla mafia è un tema che molti avrebbero preferito fosse finito nel dimenticatoio, gettato nell'oblio e cancellato dalla memoria. La nuova edizione aggiornata de “Il Patto Sporco e il silenzio” (edito da Chiarelettere), redatto dallo scrittore e giornalista Saverio Lodato, tiene aperto quello scenario che non potrà mai vedere l'esclusione dell'opinione pubblica con il suo sacrosanto e legittimo diritto di sapere e conoscere.


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Ad oggi la classe dirigente ha nel mirino persino la stessa normativa antimafia con provvedimenti che rischiano di minare le colonne portanti delle iniziative pensate e volute da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
La storia è sempre la stessa.
Il dibattito odierno è incentrato soprattutto sul sistema carcerario (soprattutto per il Caso Cospito) ma la "lotta alla mafia non è fatta soltanto di 41 bis e leggi carcerarie. La lotta alla mafia si nutre di quelli che sono i grandi temi della giustizia e su questo" quando "io sento parlare di riforma delle intercettazioni, quando sento dire che il ministro Nordio, lo aveva detto, auspica che le intercettazioni non fossero più ritenute un elemento di prova, quando sento dire che ancora oggi si discute di limitarle per i reati diversi da quelli di mafia e terrorismo sono preoccupato. Perché non si tiene conto del fatto che i reati di corruzione sono sempre più strettamente connessi alle attività mafiose. Ci sono decine di vicende mafiose importanti che sono venute fuori da intercettazioni, da ascolti che riguardavano altri reati: rapine, bancarotte fraudolente, truffe e quant'altro".
Il paradosso è che nonostante fior fiore di magistrati, avvocati, giornalisti, membri delle forze dell'ordine e della società civile abbiano anzitempo spiegato dove e come agire per risolvere il problema 'mafia', nessuna delle loro indicazioni è stata portata all'attenzione del dibattito politico: La mancanza di oltre 1600 magistrati? La salvaguardia della legislazione antimafia? Il potenziamento delle norme anticorruzione? Il contenimento della degradazione delle correnti nella magistratura? L'espulsione dal Dap di chi non è stato in grado di gestire le carceri? La mancanza di agenti? La continuazione di certi maxi-processi come quello del ponte Morandi?
Sono questi i temi che un futuro ministro della giustizia dovrebbe contemplare.
Ma di queste cose i Nordio di turno preferiscono non parlare.

Per rivedere l'intervista del magistrato: clicca qui!

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