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Dopo Mafia-appalti illazioni su una mancata cattura di Matteo Messina Denaro nel 2006

Da due giorni consecutivi “Il Riformista”, per restare sul tema che da due settimane ha scosso l'opinione pubblica italiana (la cattura, dopo trent'anni di latitanza, di Matteo Messina Denaro) ha avviato una personale campagna di stampa con un doppio obiettivo. Da una parte difendere la carriera, tutt'altro che priva di ombre, del generale dell'Arma, Mario Mori e del colonnello Giuseppe De Donno, dall'altra attaccare in maniera indecente l'ex Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, oggi senatore eletto con il Movimento Cinque Stelle.
Una campagna basata su falsificazioni macroscopiche, già messa in atto ogni qual volta parlano dell'inchiesta mafia-appalti.
Stavolta la via scelta è l'inchiesta che riguardò l’ex sindaco di Castelvetrano, Antonino Vaccarino, (morto nel 2021) che in passato aveva intrattenuto un rapporto epistolare con l'ex superlatitante per conto dei servizi segreti tramite nomi in codice (lui si faceva chiamare "Svetonio", Messina Denaro "Alessio").
La rappresentazione de “Il Riformista” si basa su asserite informazioni di esponenti dei servizi segreti che prudentemente si celano dietro l’anonimato.
Si sostiene che i magistrati Scarpinato e Pignatone avrebbero fatto fallire una operazione che avrebbe potuto condurre alla cattura di Matteo Messina Denaro, non nel 2023, come è avvenuto lo scorso 16 gennaio, ma già nel 2006. Come? Rendendo nota, con il suo arresto, l’identità di Vaccarino che operava come infiltrato del Sisde dell'indomabile Mario Mori.
All'ignobile accusa di aver fermato la possibile indagine sul boss trapanese ha replicato lo stesso Scarpinato con una precisa nota che cita fatti ed atti ufficiali come la richiesta di archiviazione di Vaccarino, la sentenza del Gup di Palermo del novembre 2011, l'ordinanza di custodia cautelare dell'ottobre 2010 “Messina Denaro+1” e l'atto di fermo del marzo 2010 dell'operazione anche nota come “Golem II”.
“L'11 aprile del 2006 - ricorda l'ex pg di Palermo - venne arrestato Bernardo Provenzano, nel suo casolare furono sequestrati numerosi 'pizzini' scambiati tra il boss ed alcuni tra i maggiori esponenti di Cosa nostra. Poiché l'identità dei destinatari dei messaggi e dei tramiti era nascosta dietro codici numerici e nomi di copertura, iniziammo una lunga e complessa ricerca delle reali identità”.
Anche grazie a quegli elementi, nel tempo, furono catturati pericolosi boss come Antonino Rotolo, Antonino Cinà, Salvatore e Sandro Lo Piccolo, Filippo Guttadauro (soggetto già condannato per associazione mafiosa e fratello del boss Giuseppe Guttadauro, anch'egli detenuto).
Scarpinato evidenzia come proprio Filippo Guttadauro era un soggetto che, “fino all'11 aprile 2006, aveva svolto le funzioni di tramite per le comunicazioni tra il cognato Messina Denaro Matteo e lo stesso Provenzano, con il quale Guttadauro Filippo era peraltro in corrispondenza epistolare diretta e personale per la trattazione di diversi affari (v. ordinanza di custodia cautelare in carcere del GIP presso il Tribunale di Palermo in data 20 luglio 2006)”.
Quindi l'ex Pg di Palermo spiega come “Messina Denaro risultò essere l'autore di alcuni messaggi, firmati 'suo nipote Alessio' in cui, informando Provenzano, faceva riferimento ad un soggetto, indicato come 'VAC' o 'VC', che stava gestendo lucrosi affari per conto di Cosa Nostra. La Polizia Giudiziaria scoprì che si trattava di Antonio Vaccarino: pregiudicato per reati di mafia, già assessore e sindaco di Castelvetrano, membro della massoneria di Castelvetrano 'Francesco Ferrier', aderente al Grande Oriente d'Italia di Palazzo  Giustiniani fino a ricoprire i gradi di 'maestro'".
"Vaccarino - ricorda ancora Scarpinato - venne ovviamente iscritto nel registro degli indagati (con il cosiddetto mod.21), sottoposto a intercettazioni e interrogato. Dalle intercettazioni emersero contatti con utenze del Sisde. A questo punto  palesandosi  la necessità di comprendere la natura dei contatti tra il Vaccarino e il Sisde, si incaricavano le forze di polizia di approfondire l’indagine in questa direzione. Scoprimmo che Vaccarino aveva intrapreso su istruzioni dello stesso Sisde una corrispondenza epistolare con Messina Denaro e che questi, dopo la scoperta del covo di Provenzano e il rinvenimento dei messaggi da lui inviati con il nome 'Alessio', e l’arresto di Filippo Guttadauro, uno dei suoi messaggeri, aveva deciso di  interrompere ogni comunicazione anche con il Vaccarino.  Quest’ultimo  nel corso dei suoi interrogatori confermava la versione  fornita dal Sisde”. “A quel punto, io e i colleghi Pignatone e Lari chiedemmo per lui l'archiviazione. La ricostruzione fondata su documenti ufficiali dimostra dunque che la responsabilità del disvelamento del ruolo svolto da Vaccarino va attribuita esclusivamente al Sisde, che non informò la Procura di Palermo dell'operazione in corso, persino dopo che era stato scoperto il covo di Provenzano ed era in pieno svolgimento l'indagine per identificare i soggetti menzionati nei pizzini sequestrati”.
“Con quella omissione - conclude Scarpinato - i Servizi lasciarono che, come era inevitabile, Vaccarino finisse sotto indagine giudiziaria ed emergesse l'attenzione della magistratura nei suoi confronti. Attività che, a differenza dell’attività dei servizi, si svolge con rigorose e inderogabili procedure il cui esito è una sentenza o una richiesta di archiviazione sottoposta al vaglio del giudice”.
Un totale stravolgimento dei fatti.
Del resto cosa ci si può aspettare da chi, scientemente, pur ricordando le sentenze di assoluzione nei processi per la mancata perquisizione del covo o il processo d'appello sulla trattativa Stato-mafia, omette tutte le critiche che i giudici di quei processi hanno fatto sull'operato del Ros di Mori?
Secondo “Il Riformista” è normale tessere “un'ibrida alleanza” con la cosiddetta “componente moderata e sempre più insofferente della linea dura imposta da Riina”?
Evidentemente sì.
Quel “modus operandi” di mancate informazioni alla magistratura il generale Mori le ha poste in essere sia quando era appartenente ai servizi di sicurezza, che quando era generale del Ros.
Rispetto a molte vicende la sentenza d'appello sulla trattativa Stato-mafia (che per l'appunto ha assolto Mori) offre una chiave di lettura inquietante sulla mancata perquisizione del covo di Riina e sul mancato blitz a Mezzojuso, nel 1995, dove si nascondeva proprio Provenzano.
Secondo i giudici sono “sconcertanti" le omissioni che seguirono proprio la cattura del boss Riina e la mancata perquisizione del covo del boss corleonese viene definito un atto "simbolico".
Serviva a lanciare un "segnale di buona volontà e di disponibilità a proseguire sulla via del dialogo".
Certo, manca la prova "che fosse intervenuto un previo accordo con Provenzano" per la consegna di Riina in cambio della mancata perquisizione del covo, ma è un fatto che così si è dato "tempo ai mafiosi di ripulirlo d’ogni traccia". Una vicenda che "desta profonde perplessità mai chiarite".
Nella stessa misura, secondo i giudici, va interpretata la scelta di "preservare la libertà di Provenzano", cioè di non arrestarlo, negli anni successivi. Anche se c'erano elementi per indagare.
Di tutto questo, però, su “Il Riformista” neanche un rigo.
Evidentemente devono aver dato fastidio le considerazioni di quei magistrati che come Roberto Scarpinato, Nino Di Matteo (che come abbiamo scritto altre volte assieme a pochi altri pm “ostinati” come Giuseppe Lombardo, Sebastiano Ardita, Nicola Gratteri, Luca Tescaroli, Antonio Ingroia (oggi avvocato) ecc... credono sia ancora possibile infrangere questo velo di Maya), stanno mettendo in evidenza quanto sia deleteria l'affermazione che con l’arresto di Matteo Messina Denaro la mafia sia stata sconfitta. Un'affermazione pericolosa che, sottotraccia, nasconde l'idea di fare consolidare nella pubblica opinione la narrativa di una mafia che non è più pericolosa, che l'emergenza con cui certe leggi erano state proposte non è più sussistente, creando le premesse per lo smantellamento di leggi speciali come l'ergastolo ed il 41 bis.
Trent'anni dopo le stragi siamo tornati alla delegittimazione continua. Come ai tempi di Falcone e Borsellino. E nel mirino ci sono proprio quei magistrati che hanno avuto l'ardire di contrastare il Sistema criminale e che cercano insistentemente la verità sui mandanti esterni delle stragi. Verità scomode. Per questo fanno paura.

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