Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

Il magistrato catanese: "La caduta dell'ostatività è la caduta della rigidità della pena"

Mentre il nuovo esecutivo si appresta a smantellare del tutto gli strumenti di vigilanza sulla corruzione e sui reati contro la pubblica amministrazione nel nome del Nordio-pensiero, il Consiglio Superiore della Magistratura ha approvato ieri ad ampia maggioranza, con soli due voti contrari, quello del consigliere togato Nino Di Matteo e del laico in quota lega Stefano Cavanna, il parere sul cosiddetto 'decreto Rave', in particolare sulla parte inerente all'ergastolo ostativo.
Si chiude così il cerchio tracciato da Marta Cartabia nella scorsa legislatura: in sintesi la nuova normativa permette anche ai soggetti che non hanno collaborato con la giustizia di accedere ai benefici penitenziari. Ma, come già evidenziato dal Senatore Roberto Scarpinato, 'si tratta anche di una legge che disincentiva fortemente la collaborazione dei condannati per reati ostativi, disabilitando così uno degli strumenti più efficaci nel contrasto alle mafie'. Tale impianto crea anche una evidente disparità di trattamento tra i detenuti e i cosiddetti 'irriducibili'.
Infatti grazie a questa legge i condannati che collaborano e quelli che non collaborano potranno accedere ai benefici penitenziari dei permessi premi e del lavoro all’esterno pressoché con la stessa tempistica. Più o meno dopo sette anni dall’inizio della custodia cautelare per chi collabora e dopo otto anni e sei mesi per chi non collabora.
E poi ancora: l'attuale normativa espone in maniera estrema la magistratura di sorveglianza, chiamata a decidere senza una copertura normativa se concedere o meno i permessi premio ai boss.
Le conseguenze sono facili da prevedere: i giudici della sorveglianza rischiano di diventare oggetto di minacce e intimidazioni o condizionamenti da parte della mafia per quanto riguarda le sue decisioni.
Il Csm, in forza del suo ruolo di garante dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura, avrebbe potuto dare un grande segnale e includere questi punti critici nel parere, ma il testo licenziato da Palazzo dei Marescialli ha solo lambito, se non eluso del tutto, alcuni dei problemi descritti.
Con rammarico il Consiglio ha perso un'altra grande occasione. E lo ha fatto nonostante le numerose segnalazioni degli 'addetti ai lavori' schierati in prima linea contro la mafia e il crimine organizzato come Nino Di Matteo, Sebastiano Ardita, Giuseppe Lombardo, Roberto Scarpinato, Nicola Gratteri, Luca Tescaroli, seguiti da pochi altri.


dimatteo nino debph

Il consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo © Deb Photo


Il vincolo associativo
Il vincolo associativo con la mafia si può recidere “soltanto con la morte o con la collaborazione con la giustizia" come hanno dimostrato decenni di indagini, sentenze e processi. "Non è una conclusione politica, non è un teorema - ha detto Di Matteo - ma la conseguenza di regole precise di quelle organizzazioni mafiose".
Una di queste regole è la "disponibilità assoluta di ogni appartenente alle esigenze dell’organizzazione", una "disponibilità che prevale sulla volontà del singolo associato". Chi è mafioso "è mafioso 24 ore su 24 e 365 giorni all'anno. È mafioso quando è libero ed è mafioso quando è detenuto. La storia ci ha insegnato e ci ha descritto situazioni in cui all'interno di Cosa Nostra, e non solo di Cosa Nostra, i padri su richiesta dei loro capi hanno ucciso i propri figli".
Per "rompere il vincolo non è sufficiente che l'associato, e quindi anche il detenuto associato si senta fuori dall'organizzazione, ma è necessario che anche gli altri associati lo percepiscano come definitivamente inaffidabile. È soltanto in questa veste che non può più essere coinvolto in una ulteriore attività mafiosa".
Il legislatore, dal canto suo, ha strutturato un articolato sistema di accertamenti che, secondo il Csm, 'presta il fianco all’insorgere di non irrilevanti difficoltà attuative sul piano operativo'.
"L'istituto della collaborazione con la giustizia è già tanto in crisi sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo - ha detto - e presuppone comunque l'esistenza di una forbice trattamentale” che riguarda "i collaboratori di giustizia e i cosiddetti irriducibili". Ma il testo legislativo, ha sottolineato il magistrato, "finisce per comportare un trattamento migliore per l’irriducibile che chiede per esempio la liberazione condizionale rispetto al collaboratore di giustizia".
Ricordiamo che la riforma dell'ostativo avrebbe dovuto recepire le direttive della Corte Europea dei Diritti dell'uomo prima e della Corte Costituzionale poi. Ma, come ha spiegato Nino Di Matteo "noi forse come Paese non siamo stati in grado di spiegare bene queste cose innanzi alla Cedu" - ha detto - "E ora ci troviamo a fare i conti con la sentenza Viola e poi a cascata con le successive sentenze della Consulta".


ardita img 2432464

Sebastiano Ardita, il consigliere togato del Csm © Imagoeconomica


Ardita: "La caduta dell'ostatività è la caduta della rigidità della pena"
"Io non condivido di questo parere" la "dimensione emergenziale con la quale viene letta la legislazione antimafia. Non è un problema di emergenza, è un problema di modifica strutturale del fenomeno criminale in Italia attraverso la dimensione della criminalità organizzata" ha detto il consigliere togato Sebastiano Ardita.
"Nella relazione che è stata fatta", inoltre, "non si attenzionano alcuni aspetti che devono servire a garantire la nuova prospettiva di prevenzione legata alla pericolosità del soggetto calata nella dimensione dell'ergastolo ostativo".
La possibilità per il detenuto di usufruire dei permessi premio o della liberazione condizionata è un tema che "non può essere legato all'emergenza - ha ribadito - non è un problema di emergenza, è un problema che riguarda un fenomeno endemico nel nostro sistema sociale, che è quello del crimine organizzato”, e che deve essere "affrontato con strumenti che devono essere coerenti".
"La caduta dell'ostatività è la caduta della rigidità della pena" ha spiegato Ardita specificando che l'ago della bilancia ormai tende verso la non retribuzione della pena ma verso forme più alternative di espiazione.

Cascini: “Il 4 bis è contro il crimine organizzato ma viene usato per finalità diverse”
Per il togato di Area, Giuseppe Cascini, il problema principale della normativa in questione è dato dal fatto che un istituto che nasce per la prevenzione e il contrasto del crimine organizzato viene utilizzato per una finalità diversa: cioè garantire la rigidità della pena per reati che non hanno nulla a che fare con la mafia. La confusione di questi due piani crea tensioni sul piano costituzionale e rischia di finire per travolgere l'intero istituto. Ieri abbiamo avuto l'81 esimo suicidio dell'anno, un bengalese di 31 anni che si è suicidato. Era entrato in carcere per espiare una pena breve per un reato ostativo". Secondo il togato di Area Cascini "il legislatore avrebbe dovuto limitare le previsioni sulla ostatività ai solo reati di mafia e a quelli connessi. Solo per questi reati si giustifica una presunzione assoluta di pericolosità per il detenuto non collaborante. Presunzione che non si giustifica per gli altri reati inseriti nell'art 4bis. Invece il parlamento ha tolto dall'elenco dei reati solo quelli contro la pubblica amministrazione, che paradossalmente sono quelli per i quali più di tutti gli altri valgono gli argomenti in favore della ostatività, essendo anche questi delitti caratterizzati da forti vincoli di omertà e solidarietà tra gli autori e dal rilevante pericolo che il condannato non collaborante mantenga o ristabilisca i rapporti con l'ambiente criminale di provenienza".


cavanna stefano img 234654

Il consigliere laico del Csm, Stefano Cavanna © Imagoeconomica


Il tribunale di sorveglianza
Per il consigliere togato Mario Suriano, relatore del parere, "è apprezzabile la tempestività dell'intervento del Governo in tema di ergastolo ostativo ma la riforma sull'ergastolo ostativo va accompagnata necessariamente da una previsione di incrementi di risorse, umane e materiali, a favore dei Tribunali di Sorveglianza".
Secondo Di Matteo, "servirebbe attribuire maggiori competenze al tribunale di sorveglianza rispetto al singolo magistrato di sorveglianza. E questo sia per una ragione, tra virgolette, di tutela della sicurezza e della incolumità del singolo magistrato che deve decidere. Cioè il magistrato deve decidere su questioni particolarmente importanti ritenute certe volte fondamentali per l'organizzazione. Deve decidere se dopo 30 anni si può far uscire di galera coloro i quali, ad esempio, sono stati arrestati e definitivamente condannati per sei o sette stragi. Attribuire la competenza al singolo magistrato di sorveglianza rappresenterebbe una possibilità di sovraesposizione", ha spiegato il magistrato.

Criticità segnalate dai dirigenti degli uffici giudiziari
Nel parere licenziato dal plenum alcuni dirigenti degli uffici giudiziari hanno avanzato forti perplessità in merito al 'conferimento al Procuratore Generale del potere di autorizzare il ritardato deposito degli atti compiuti durante le indagini preliminari'.
Questo, secondo il parere, 'proietta, infatti, quest’ultimo nel pieno delle indagini, attribuendogli una competenza che presuppone una conoscenza del procedimento penale al quale, invece, egli è del tutto estraneo'.
Secondo Di Matteo questo si tratta di un "argomento particolarmente grave. Sono perfettamente d'accordo con il rilievo, anche per quelle che sono le conseguenze che attengono all'effettività del potere di coordinamento del procuratore nazionale antimafia della procura nazionale antimafia. Questa disposizione normativa - ha detto - appare figlia di una concezione gerarchica degli uffici del pubblico ministero che è completamente estranea allo spirito e all'impianto della nostra costituzione è che è pericolosa nell'ottica di preservare effettivamente l’indipendenza del potere giudiziario rispetto a ogni altro potere".


marra img 234546

Giuseppe Marra, il consigliere togato del Csm, relatore della pratica © Imagoeconomica


Per il togato Antonio D'Amato "nel decreto legge ci sono luci e ombre: si registra un'obiettiva regressione culturale rispetto all'impianto del codice di procedura penale entrato in vigore nel 1989, facendo entrare nel sistema delle indagini preliminari un organo, il Procuratore generale presso la corte d'appello, che è estraneo alle indagini. Così, si mette in crisi seriamente la cultura del coordinamento investigativo a discapito dei poteri di coordinamento e di impulso del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo".

Conclusioni
La politica com'è intesa oggi non è in grado di essere credibile sotto il profilo della lotta alla mafia, della ricerca della verità e della creazione di un sistema normativo adeguato a garantire l'equità davanti alla legge.
Di conseguenza era prevedibile che dai Palazzi Romani sarebbe arrivato un decreto classista accompagnato dalla onnipresente maschera di un garantismo di facciata ma che nasconde il volto di una politica sempre più criminale.
L'ultima speranza del cambiamento rimane quindi nella magistratura dalla schiena dritta, nella passione civile dei cittadini e soprattutto nei nuovi movimenti, rappresentati da volti giovani, puliti ed onesti.

Foto di copertina © Imagoeconomica

ARTICOLI CORRELATI

''Decreto su ergastolo ostativo disincentiva collaborazione. Farà male al Paese''
di Roberto Scarpinato


Al Csm la storica difesa di Di Matteo e Ardita contro la riforma del governo
di Giorgio Bongiovanni e Luca Grossi

Ergastolo ostativo, la Consulta restituisce gli atti alla Cassazione
di Matteo: ''Regolamento di conti contro magistratura è pericoloso per i cittadini''

Gratteri: ''Ha ragione Di Matteo, c'è un vento contrario all'intera legislazione antimafia''

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos