di Giorgio Bongiovanni e Luca Grossi
Oggi, domenica 18, e domani, lunedì 19, quasi novemila magistrati sono stati chiamati a rinnovare la componente togata dell'organo di autogoverno della magistratura: in totale, venti componenti (13 magistrati giudicanti; 5 pubblici ministeri; 2 giudici di legittimità) quattro in più rispetto all'ultima elezione. Così come aumenteranno da otto a dieci i componenti laici (membri del parlamento e ex parlamentari, avvocati, professori universitari) che dovranno essere eletti dal nuovo Parlamento entro la fine del 2022.
Certamente in molti guardano a queste elezioni come ad un 'rinnovamento', una possibile ‘rivalsa’ dallo scandalo Palamara: parliamo di sospetti di corruzione, guerre intestine e favoritismi clientelari tra magistrati e politici che si spartivano tutto lo spartibile.
Il Consiglio, una volta costituito, sarà chiamato ad una ristrutturazione della credibilità dell’intera magistratura. Ma si vuole veramente che ciò accada?
A nostro avviso no.
Perché la riforma del Csm introdotta dal ministro Marta Cartabia oltre che a trasformare i tribunali in aziende (produttività a scapito della qualità) e ad ammazzare i processi con il principio della improcedibilità, ha rafforzato in modo spropositato il ruolo delle correnti, ostacolando la candidatura di molti magistrati liberi e indipendenti.
Nei giorni scorsi la stampa ne aveva pubblicato qualche nome: il pm di Napoli Henry John Woodcock o il magistrato Andrea Mirenda, 64enne giudice di Sorveglianza a Verona tra i più noti alfieri della battaglia interna all’ordine giudiziario contro i mali del correntismo. Altri candidati non ‘famosi’ (11 per la precisione) erano stati selezionati dal comitato dei magistrati anti-correnti "AltraProposta" con il metodo del sorteggio.
La domanda sorge spontanea: quante probabilità hanno questi magistrati di essere eletti senza il sostegno di una corrente? “Per esperienza personale posso dire che essere eletti senza il sostegno delle correnti è difficilissimo" aveva detto il pm di Ancona Andrea Laurino, portavoce del comitato. Per questo il Consiglio Superiore della Magistratura non potrà avere con queste norme una presenza considerevole di magistrati indipendenti. E rimane ancora forte il sospetto che questo non farà altro che rafforzare le dinamiche spartitorie delle correnti, spesso in accordo con la politica.
Destino vuole che le elezioni del consiglio si svolgeranno una settimana prima di quelle politiche. E guarda caso, all'interno di questo Csm, che sta per concludere il proprio mandato, vi sono magistrati che sono sostenuti da un certo seguito popolare per essersi contraddistinti in battaglie importanti sul piano etico e giuridico contro il correntismo, il carrierismo, e l'opportunismo. Citiamo in particolare i consiglieri togati Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita. Magistrati ferocemente aggrediti e delegittimati per aver toccato i nervi scoperti del “sistema” di cui Palamara era il perno.
Però c’è un però. E questo “però” è grande come una casa: tra le norme inserite nel testo, con la scusa dello "stop alle porte girevoli tra politica e magistratura", è stato previsto un articolo palesemente anti-Costituzionale.
Si tratta dell'articolo 15. Al "comma 1" si prevede che "i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari non sono eleggibili alla carica di membro del Parlamento europeo spettante all’Italia, di senatore o di deputato o a quella di presidente della giunta regionale, di consigliere regionale, di presidente delle province autonome di Trento e di Bolzano o di consigliere provinciale nelle medesime province autonome se prestano servizio, o lo hanno prestato nei tre anni precedenti la data di accettazione della candidatura, presso sedi o uffici giudiziari con competenza ricadente, in tutto o in parte, nella regione nella quale è compresa la circoscrizione elettorale".
E lo stesso principio vale per le cariche di sindaco, consigliere o assessore comunale, assessore o sottosegretario regionale. Ma il problema nasce con il "comma 5" con il quale viene scritto che "i magistrati non possono assumere le cariche indicate al comma 1 se, al momento in cui sono indette le elezioni, sono componenti del Consiglio superiore della magistratura o lo sono stati nei due anni precedenti".
Sostanzialmente, con questo intervento legislativo, è stata stabilita la perdita di diritti di elettorato passivo per quei magistrati che vengono eletti o sono stati eletti al Csm. Una norma a tutti gli effetti "contra personam" che si traduce in un gravissimo atto anti – costituzionale contro Nino Di Matteo, Sebastiano Ardita e tutti gli altri consiglieri togati.
La gravità di questo atto avrebbe dovuto far gridare allo scandalo i grandi ‘giornaloni’ e la politica tutta. Invece si è scelta, con freddezza e cinismo, la strada del silenzio.
Certamente c’è stato chi ha protestato: alcuni leader politici come Antonio Ingroia, questo stesso giornale, molti altri colleghi e membri della società civile.
Non ci mettiamo niente del nostro, in questa lettura dei fatti. Basta osservare.
Questo Parlamento, oltre ad essere rimasto in silenzio, ha ormai violato il diritto per ogni cittadino, quindi anche ai magistrati, di partecipare alla vita politica e sociale del Paese. E lo ha fatto spalleggiato anche da partiti "traditori" del popolo e da altri che sono stati fondati da uomini della mafia.
È vero che taluni gruppi di senatori e deputati hanno da sempre mal digerito l'indipendenza e l'autonomia della magistratura?
Ci piacerebbe sapere, e rispondere.
Fatto sta che il Parlamento è stato chiamato ad eleggere dieci membri laici.
È auspicabile che nel nuovo Csm siedano persone oneste e competenti.
Ma se ciò non dovesse accadere l’unica strada percorribile sarebbe quella di una riforma che preveda l'abolizione dei membri laici, così da assicurare la stessa autonomia dell’organo di autogoverno dei magistrati e scongiurare il rischio che diventi la 'longa manus' del potere per controllare la magistratura.
Foto © Imagoeconomica
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