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Il grande regista italiano forse crede di abitare sulla Luna

Marco Bellocchio è uno dei registi italiani più celebri di sempre a livello internazionale. Negli anni si è aggiudicato tre premi al Festival di Venezia, un premio al Festival di Cannes, cinque premi David di Donatello e tre premi Nastri d'Argento. A Bellocchio, 82 anni, il pubblico riconosce la capacità e l’intraprendenza di trattare con grande abilità tematiche sociali non scontate e trasformarle in film coinvolgenti, come nel caso del film sul pentito Tommaso Buscetta, “Il Traditore”, o quello sul caso Moro, “Buongiorno, notte”, o ancora il film “Vincere” sulla storia di Benito Mussolini e Ida Dalser.

Eppure lascia interdetti constatare come un regista che abbia partorito capolavori di questo tipo, dal grande rilievo storico e culturale, poi, nel privato, si accontenti delle versioni da “manuale”, delle narrazioni soffici, dalle “carte a posto”, come si suol dire, circa determinate vicende della storia recente italiana che lui stesso ha in qualche modo toccato dietro la sua cinepresa. E’ il caso della scabrosa vicenda della trattativa Stato-mafia. Bellocchio, in un’intervista a Il Fatto Quotidiano, ha risposto a qualche domanda in merito alla sentenza d’appello del processo di Palermo sulla Trattativa, di cui sono uscite le motivazioni a inizio agosto. In quelle oltre tremila pagine, oltre a legittimare “l’improvvida” trattativa, tra le altre cose, in sostanza, si afferma che il Ros dialogava con la mafia e, per spaccare l’egemonia di Totò Riina, i carabinieri hanno favorito la “latitanza soft” di Bernardo Provenzano puntando sulla sua ascesa al potere mafioso. La questione però non indigna il regista, anzi. “Io non vedo e non sento lo scandalo. Poi, fin dove si potesse arrivare o se siano stati commessi reati gravissimi, non lo so, bisogna rivolgersi ai giuristi. Certamente, se col dialogo si sono ottenuti dei risultati anche questo un po’ conta”. Una risposta giustificazionista, quasi banale, in cui il regista parla di “risultati” che in realtà non ci furono, come dice la sentenza della Corte d’Assise di Firenze sulle stragi del ’93, in cui quel dialogo Stato-boss viene ritenuto “un effetto deleterio per le istituzioni” che ha messo “a nudo l’impotenza dello Stato”. “Per l’opinione pubblica l’aver arrestato Riina e poi Provenzano sono state boccate d’ossigeno, un minimo di speranza nello Stato”, ha ribattuto Bellocchio. “Se si potessero prendere prima, se non abbiano perquisito il covo, se il generale Mori abbia patteggiato con dei criminali… non sono io a poter giudicare. Il risultato c’è stato”, ha ribadito. A pensar male sembra quasi che il regista voglia difendere l’agire dello Stato, lo stesso Stato che finanzia la sua categoria con bandi. Ma più probabilmente il fatto è solo che il regista forse vive un po’ sulla Luna. “Le domande che mi pone comportano dei giudizi politici, io non ho interesse a restar coperto, è che mi interessa altro: i personaggi, l’umanità”, ha risposto vagamente alla giornalista che le ha fatto notare come, tra quei “risultati”, ci sarebbe stata anche (come sostengono i giudici del primo grado del processo Trattativa) un’accelerazione dell’attentato a Paolo Borsellino. E ancora. “Quando racconto i misteri italiani, gli storici possono non condividere o criticare. La mia libertà sta nel raccontare cercando di non essere schiacciato, condizionato, imprigionato dall’ideologia”, si è smarcato il regista. Ma quale ideologia vede Bellocchio? Che trattativa ci fu è accertato anche dai giudici della Corte d’Appello di Palermo che hanno salvato tutti gli imputati (tranne i boss di Cosa nostra) dall’accusa di minaccia a corpo politico dello Stato. Ed è lui stesso, del resto, ad ammetterlo nell’intervista. Allora il punto è un altro. Bellocchio si sente forse “imprigionato” da chi, giustamente, rifiuta in modo categorico quel dialogo e l’idea che con boss stragisti si possa scendere a patti. Se così fosse, la questione non è ideologica, ma fattuale. Ci sono stati servitori dello Stato, giornalisti, imprenditori, sacerdoti, che avevano capito che sedersi al tavolo (anche in buona fede) con coloro che distruggono il respiro democratico di un territorio per fermarli non porta a nessun risultato se non al riconoscimento e al rafforzamento di questi ultimi. Forse Bellocchio non ricorda che gli stessi Falcone e Borsellino, come Rocco Chinnici e Boris Giuliano, per citarne alcuni, hanno sacrificato la propria vita proprio su questo convincimento empirico, non ideologico.

E ricordiamo anche, qualora dovessero sfuggire questi “fatti” al regista, che la mafia fattura circa 220 miliardi l’anno; che gli introiti dei traffici di droga e prostituzione dal 2014 sono calcolati dall’Ue nel nostro PIL: che c’è un capo mafia che ha fatto le stragi e ne conosce i segreti, Matteo Messina Denaro, ancora in libertà perché latitante da trent’anni; che uomini condannati per favoreggiamento aggravato alla mafia (Totò Cuffaro) sono tornati a occuparsi di politica e che un partito, Forza Italia, fondato da un uomo della mafia (Marcello Dell’Utri) e da uno che la mafia la pagò per anni secondo i giudici (Silvio Berlusconi), con buona probabilità otterrà un buon risultato alle prossime elezioni di settembre; che entrambi, sia Dell’Utri, che Berlusconi, sono indagati a Firenze come mandanti esterni delle stragi del ’93; che il boss stragista Giuseppe Graviano, in carcere, ha rivelato di aver incontrato Berlusconi da latitante e che la sua famiglia ci fece affari. Questi sono tutti dati scientifici, di cui oggi l’opinione pubblica è a conoscenza grazie a intercettazioni, studi economici e sociali, analisi e sentenze. “La trattativa io l’ho sempre seguita dai giornali”, ha detto al Fatto in merito al processo di Palermo. Evidentemente non l’ha seguita abbastanza bene. Bellocchio deve sapere che gli effetti di quella trattativa sono tuttora evidenti e che i mandanti esterni delle stragi del ’92 e del ’93 sono ancora oggi al potere. Insieme a loro ci sono personaggi della massoneria deviata, della grande finanza e faccendieri. 

Sarebbe il caso che il produttore cinematografico torni sulla Terra e approfondisca meglio il tema. Magari potrebbe uscirci un buon film dei suoi. Ma se Bellocchio vive sulla Luna sarà un po’ difficile vedere proiettato questo ragionamento nei maxi schermi delle sale italiane.

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