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L'avvocato Trizzino manderebbe il pm palermitano ai "giardinetti"

Primo fatto. Nei giorni scorsi il Procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, intervenendo a Capaci in occasione della cerimonia di consegna della cittadinanza onoraria alla sua persona, parlando della ricerca della verità sulle stragi e dei misteri che circondano la scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino aveva dichiarato: “Quando sono stato sentito in audizione al Csm per il posto di Procuratore nazionale antimafia mi fu fatta la domanda su cosa pensavo delle stragi e quale sarebbe stato il mio approccio e la mia visione; se avessi dedicato spazio, tempo, energie e uomini allo stragismo e a quello che era accaduto. Io ho detto che per me era una priorità. Avrei creato un gruppo di lavoro e sicuramente a capo di questo gruppo di lavoro avrei messo Di Matteo. Perché non c'è dubbio che finché non si trova l'agenda rossa, l'indagine non è conclusa”.
Parole che grande stampa e giornaloni hanno totalmente (volutamente?) ignorato.
Secondo fatto. Il 18 luglio a Palermo, a villa Filippina, c'è stata una conferenza, organizzata da questa nostra testata (ma non è certo questo il dato che vogliamo porre in rilievo), alla presenza di centinaia di persone (a cui si aggiungono le oltre diecimila visualizzazioni della diretta streaming), con la partecipazione di relatori di primissimo piano: l'ex Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, l'ex magistrato ed oggi avvocato Antonio Ingroia, il legale di Salvatore Borsellino e della famiglia di Adele Borsellino, Fabio Repici, il Procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri con un video, il giornalista Saverio Lodato con uno scritto. Anche questa conferenza è sparita totalmente dai radar della grande informazione.
Un modo, evidentemente, per omettere dai giorni della memoria argomenti come la scomparsa dell'agenda rossa, le mancate verità sulle stragi del 1992 e del 1993, la ricerca dei mandanti esterni andando oltre il caso Scarantino e al depistaggio che è stato messo in atto dopo la strage.
Nella conferenza si è parlato anche di attualità, di apparati deviati e sistemi criminali e lo si è fatto senza entrare in polemica aperta con le idee dei figli di Borsellino, espresse poche ore (se non minuti) prima dall'avvocato Fabio Trizzino in un'altra conferenza, tenutasi a Casa Professa.
Incontro che, seppur con una partecipazione inferiore di pubblico rispetto alle seicento persone presenti a villa Filippina, ha diversamente trovato pubblicità sulla stampa.
Ieri, sul Corriere, l'avvocato Trizzino, dopo sconclusionate arringhe, arricchite da veleni e falsità, torna a colpire in un'intervista, con la solita trafila di cliché e pregiudizi, un unico magistrato: Nino Di Matteo.


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Il consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo © Deb Photo


Il legale parla genericamente della magistratura affermando che questa
debba fare un passo ulteriore, trovando dei meccanismi per cui chi è stato coinvolto, anche in buona fede, in quelle indagini inquinate e inquinanti non sia più investito in futuro delle indagini sulla strage. Quegli inquirenti hanno avuto la loro occasione, hanno fallito, ora devono lasciare il campo a chi può guardare e leggere con occhi diversi quelle carte”.
E' evidente il riferimento a Di Matteo tanto che nell'articolo viene sottolineato come il magistrato palermitano, in autunno, quando terminerà l'esperienza al Csm, dovrebbe tornare ad occuparsi delle “stragi” alla Procura nazionale antimafia dove è sostituto procuratore.
E' un fatto noto che l'ex Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, lo aveva reintegrato con “effetto immediatamente ripristinatorio” come coordinatore nel pool
da cui era stato illogicamente estromesso.
La considerazione dell'avvocato Trizzino è alquanto subdola perché da una parte afferma che “Di Matteo è l’ultima persona di cui penserei male a questo mondo”, dall'altra parla di “conflitti d’interessi anche solo ipotetici” tornando a parlare della vicenda delle perplessità che l'allora pm della Procura di Palermo espresse quando si doveva decidere sul programma di protezione da concedere a Spatuzza.
Così è stato per l'ennesima volta omesso che in quella riunione del 2009 Di Matteo intervenne dando un momentaneo parere negativo al programma di protezione, solo perché ci si stava misurando con sentenze che comunque erano definitive.
Ed è stato gravemente taciuto che nel 2010 proprio Di Matteo si espose in più sedi proprio per difendere e promuovere il programma di protezione e l'attendibilità di Spatuzza.
E' così che si cerca di abbattere uno di quei magistrati che da sempre si è speso nella ricerca della verità proprio sulle stragi di Stato. E in particolar modo sulla strage di via d'Amelio. Nel “Borsellino ter” chiese ed ottenne, assieme alla collega Anna Maria Palma, la condanna di tutti i capi della Commissione provinciale e regionale di Cosa nostra, tracciando il percorso delle indagini sui cosiddetti mandanti esterni.
E' un dato di fatto che Nino Di Matteo, che ha spiegato in tutte le sedi istituzionali (Commissione parlamentare antimafia, Csm, processo Borsellino quater ed anche nel processo ai poliziotti giunto a sentenza nelle scorse settimane), carte alla mano, come fu valutata la vicenda Scarantino. Fatti che dimostrano come non c'entri nulla con il depistaggio.
Lo abbiamo detto a chiare note durante la conferenza del 18 luglio, così come hanno fatto nei loro interventi Antonio Ingroia e Saverio Lodato nel suo scritto: contro Di Matteo è in corso una campagna di isolamento e delegittimazione con attacchi personali su più fronti.
Anche dalla politica che, evidentemente, teme quei magistrati che potrebbero attualmente e nel futuro assumere un potere, o politico o nella magistratura, tale da entrare con forza nella stanza buia che questi magistrati hanno cercato di illuminare, smascherando definitivamente proprio il volto dei mandanti esterni.


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L'avvocato Fabio Trizzino © Deb Photo


Prova ne sia l'articolo 15 comma 5, inserito nella cosiddetta “schiforma” voluta dalla ministra Marta Cartabia laddove si dice che "i magistrati non possono assumere le cariche indicate al comma 1 se, al momento in cui sono indette le elezioni, sono componenti del Consiglio superiore della magistratura o lo sono stati nei due anni precedenti"...
Una “ciliegina sulla torta”, approvata in Parlamento, che viene avallata anche da quel Movimento Cinque Stelle che di “tradimenti” e pugnalate alle spalle se ne intende (vedi la vicenda nomina del capo del Dap con l'allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede).
All’interno dell’attuale Csm ci sono più magistrati, tra i quali Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, ma è chiaro che è principalmente Di Matteo l'obiettivo di questa norma preventiva nettamente anticostituzionale.

Ecco il piano sottile di quel sistema criminale Stato-mafia che vorrebbe mettere una pietra tombale sulla verità delle stragi. Quello stesso sistema che, sotto altra forma, chiede al boss stragista latitante
Matteo Messina Denaro di organizzare un attentato nei confronti del magistrato perché “si è spinto troppo oltre”. Quello stesso sistema criminale che magari scrisse in carcere a Totò Riina con la firma “Falange armata” per dirgli di stare zitto (qualche mese prima il capo dei Capi era stato intercettato in carcere esprimendo la propria condanna a morte contro Di Matteo dicendogli di ricordare che i familiari erano liberi e di stare tranquillo perché “per il resto ci pensiamo noi”.
Molti dimenticano (volutamente?) le inchieste pesantissime, condotte assieme al collega Luca Tescaroli, che si sono sviluppate negli anni successivi, come quelle su “Alfa e Beta” (ovvero Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri) oppure sulla presenza in via d’Amelio di Bruno Contrada, che fu anche accusato di concorso in strage (e poi archiviato). Un'indagine, quest'ultima, che come ha spiegato Di Matteo partiva proprio dalla volontà di capire chi fosse in via d'Amelio quel giorno anche alla luce della scomparsa dell'agenda rossa.
C'è poi il processo trattativa Stato-mafia che, attendendo di leggere le motivazioni della sentenza di appello, ha mostrato con le condanne in primo grado uno spaccato preciso sul perché si sono consumate le stragi degli anni Novanta. E leggendo il dispositivo di sentenza è chiaro che i giudici in appello non possono aver messo in discussione quei fatti accertati dalla Procura, nonostante l’assoluzione dei soggetti istituzionali (Dell’Utri, Mori, Subranni e De Donno). La mancata condanna di alcuni imputati non significa che non ci sia stata la trattativa tra lo Stato e la mafia, ma che quelle condotte anomale non costituirebbero reato (per gli uomini delle istituzioni e non per i mafiosi).
Di certi argomenti, del resto, non si deve parlare. E allora si comprende perché tanti organi di informazione, locale e nazionale, hanno preferito disertare la conferenza “Uccisi, Traditi, Dimenticati. 57 giorni dopo Falcone: Paolo Borsellino”.
Che fine ha fatto la democrazia? Dov'è la plurinformazione?
Domande che trovano una risposta amara in questi tempi di pensiero unico e quotidiani di regime.

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