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Il consigliere palermitano: "La riforma vuole introdurre un principio per il quale il magistrato deve essere gradito ai dirigenti”

Futura memoria per i giovani studenti di giurisprudenza questo speciale Csm Di Matteo - Ardita sarà come un vademecum per la loro carriera

Il 2021 e il 2022 passeranno alla storia come gli anni più nefasti per la giustizia italiana: riforma Cartabia, bavagli per i pm, l’abolizione dell'ergastolo ostativo (41 - bis) e la nomina di Renoldi a capo del Dap sono state le principali débâcle.
A questa lista oggi si aggiunge a pieno merito anche la decisione di Palazzo dei Marescialli di approvare un parere tiepido e contraddittorio in merito al maxi emendamento governativo sulla riforma del Consiglio superiore della magistratura. Stando ai proclami dei Palazzi Romani tale riforma avrebbe dovuto liberare finalmente l'organo di autogoverno della magistratura dalla deriva correntizia venuta alla luce con lo scandalo Palamara, ma il testo licenziato da Palazzo dei Marescialli (sottoposto a più di 80 emendamenti e discusso per tre plenum consecutivi) ha solo lambito i problemi del Consiglio (correnti e cordate in testa) facendo rimanere sostanzialmente inalterata la situazione che, per certi versi, rischia addirittura di peggiorare.
Con rammarico il Consiglio ha perso quindi una grande occasione di rinnovamento ed è destinato a rimanere ancora per molto tempo, come disse Giovanni Falcone nel 1990 in un'intervista a La Repubblica: "Una struttura da cui il magistrato si deve guardare... (con) le correnti trasformate in cinghia di trasmissione della lotta politica”.

A trent'anni dalle stragi sarebbe stato un grande segnale da parte del plenum respingere a gran voce il maxi emendamento del governo e presentare con discernimento delle obiezioni serie, logiche e giuste.
Dal 2019 - quando già scrivemmo sulla riforma del Csm - ad oggi, notiamo che sono ancora poche le voci che cercano, con il proprio voto, di difendere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e del singolo magistrato, sia esso un giudice o un pm. Ed è un fatto oggettivo che la casta delle correnti e delle cordate domineranno ancora le scelte del Csm. Le prove a sostegno di questa tesi sono numerose. Ultima fra queste l'elezione del dr. Fabio Ignazio Luigi Scavone a procuratore aggiunto di Catania al posto dell’attuale giudice del Tribunale di Roma Nicolò Marino. Ciò è avvenuto ricopiando quello che sostanzialmente è avvenuto recentemente per Mario Amato: entrambi avevano un curriculum di altissimo livello rispetto ai colleghi ma per effetto di certe logiche la meritocrazia non è gradita a Palazzo dei Marescialli. Non c'è niente da fare quindi. Nonostante gli scandali, e le polemiche che lo hanno direttamente riguardato, il Consiglio Superiore della Magistratura sembra ricadere nei soliti errori del passato. E lo fa nonostante al suo interno vi sia chi, come Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, seguiti da pochi altri, cerca di denunciare, ogni volta che riaffiorano, le vecchie logiche del correntismo, dell'appartenenza, della contiguità e della complicità.
Logiche che non sono state minimamente influenzate dall’approvazione del testo in esame.


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Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo al Consiglio superiore della magistratura


La riforma del sistema elettorale che non c'è stata
Nel testo di legge viene previsto ‘un sistema elettorale misto, basato su collegi binominali, che eleggono cioè ciascuno due componenti del Csm’, ma con ‘una distribuzione proporzionale di cinque seggi a livello nazionale. Non sono previste liste, ma candidature individuali’. I componenti del Csm tornano, come in passato, a trenta: venti togati (dai 16 attuali) e dieci laici (dagli 8 attuali). Inoltre, si legge sempre nel testo di legge, 'nel sistema elettorale misto previsto per il Csm trova spazio anche il sorteggio. Servirà ad assicurare che in ogni collegio binominale sia raggiunto il minimo previsto di 6 candidati e per riequilibrare le candidature del genere meno rappresentato'.
Il Csm ha sì criticato questo meccanismo pro - correntizio - criticato a più riprese e in altre sedi da Di Matteo e Ardita - ma tramite l'approvazione dell'emendamento 63 (con 19 voti favorevoli e 5 contrari) presentato dal consigliere Celentano Carmelo, toga di Unicost, ha sostanzialmente scartato a priori l'ipotesi del sorteggio temperato classificandolo come incostituzionale e quindi non proponendo nessun reale cambiamento al sistema elettorale vigente.
Contro questo enunciato si è espresso lunedì il consigliere laico di area Lega, Stefano Cavanna seguito da Ardita il quale ha ricordato che era già emersa dal Csm la volontà "di incoraggiare le cosiddette candidature indipendenti, ossia di quei soggetti che non sono appartenenti a gruppi e a correnti. Io penso che fare un emendamento di tal fatta significa operare in una linea opposta a quella che si è voluta pronunciare perché la possibilità di operare con un sorteggio temperato" comporta "una riduzione della base per coloro i quali saranno essenzialmente eletti. Quindi una sforbiciata all'elettorato passivo". Questo è un tipo di metodo elettivo "tutt'altro che incostituzionale" ha detto il magistrato nella seduta di lunedì. Ardita prendendo la parola nel plenum di mercoledì in sede di dichiarazione di voto finale ha annunciato il suo voto contrario (insieme a quello di Di Matteo) in merito alla prima sezione del testo: "Non vi è dubbio sul fatto che non è il sistema proporzionale il problema, ma non è neanche il maggioritario il problema. Nel senso che il problema sta nel fatto che queste elezioni sono comunque influenzabili" dai "gruppi o dai correntisti, i quali fanno dei gruppi degli strumenti di potere". "E allora - ha detto - qui la questione per cui voterò contro nasce dall'esordio di sfiducia e di dichiarata incostituzionalità del sorteggio temperato". Secondo Ardita infatti "il sorteggio temperato è una realtà che non lede la Costituzione. Forse è una realtà che non risolve il problema perché possono pescarsi nominativi di persone che sono già inserite in gruppi" ma dà comunque la possibilità di smontare le carriere precostituite.
Nella discussione di inizio settimana anche Di Matteo ha preso la parola contro l'emendamento 63 anticipando il suo voto contrario: "Io sono favorevole all'introduzione di un sistema di sorteggio temperato che ritengo essere compatibile con la Costituzione e che a mio avviso risulterebbe efficace se prima prevedesse il sorteggio di una platea di candidabili e solo dopo l'elezione. Siamo stati d'accordo in molti anche nell'ambito della discussione generale a sottolineare una patologia: quella per la quale capita spesso per non dire quasi sempre che le candidature dei magistrati al consiglio superiore della magistratura siano precedute da una lunga preparazione che passa attraverso la promozione esclusiva della corrente, del gruppo di appartenenza. È stato detto - ha continuato il magistrato - anche da parte di chi la pensa diversamente da me su questa vicenda del sorteggio temperato che capita molto spesso o quasi sempre che si sappia otto anni prima” - ossia l’equivalente di due consiliature prima - "chi verrà candidato dalla corrente. Io non credo che il legislatore costituente avesse potuto prevedere questa degenerazione. Non lo credo proprio e sono d'accordo con le profonde considerazioni di sistema del dottor. Benedetti (laico dei 5 stelle, ndr) quando dice che l'elezione del membro togato non può ridursi ad una funzione o ad un rito scontato. Però io credo purtroppo che oggi con il sistema della elezione come fin ora congegnato si riduca ad una finzione. Quante volte abbiamo avuto un numero dei candidati pari a quello degli eletti? O ad un rito scontato, per il quale sono stati i gruppi nel tempo a preparare e a rendere scontato l'esisto della elezione. E allora io credo che proprio in funzione dei principi dell'autonomia e dell'indipendenza dei magistrati, che non è soltanto l'indipendenza e l'autonomia della magistratura intesa nel suo complesso ma dei singoli magistrati, io credo che il singolo magistrato non sempre si senta garantito da chi è stato eletto attraverso questo sistema che si è patologicamente consolidato nel nostro assetto di fatto". Di Matteo infine ha concluso nettamente dicendo che "l'unico sistema che in questo momento può scompaginare i piani del correntismo è quello di ricorrere ad un sorteggio temperato. Per questo motivo voterò contro questo emendamento che invece accoglie con favore la scelta del maxi emendamento governativo, che tra l'altro prevede un sistema elettorale che così come è stato detto da molti con un concetto che condivido appieno esaspererà l'importanza delle correnti, mortificherà le minoranze e renderà ancora più grave la patologia dalla quale oggi dobbiamo cercare di uscire".
Tuttavia come anticipato dai numeri il plenum ha votato quasi interamente a favore del sistema elettivo senza prendere in considerazione il sorteggio lasciando ancora una volta, di fatto, ampia manovra decisionale alle cordate interne alla magistratura.


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Stefano Cavanna, consigliere laico di area Lega


Per il governo ok ai gruppi al Csm. Il plenum, acritico, approva
Arrampicandosi sugli specchi la maggioranza del plenum con cinque voti a favore, tredici contrari e quattro astenuti ha respinto gli emendamenti 9a e 9b presentati dal consigliere Di Matteo con i quali in sostanza si contestava la disposizione governativa secondo la quale i consiglieri possono tornare a costituire gruppi all'interno del consiglio dopo lo stop imposto dal disegno di legge Bonafede. Certamente non sono solo i gruppi interni al Csm a costituire quel gravissimo problema che è il "sistema correntizio" ma altrettanto certamente ne rappresentano una parte significativa. Se ne deve dedurre che la maggioranza dei consiglieri condivide la presenza delle correnti all'interno del Csm? Non vogliamo dare lezioni, ma aver acriticamente dato il via libera alla decisione governativa - che nella peggiore delle ipotesi è funzionale ai desiderata delle cordate - è un chiaro segnale che il mondo interno di quel 'Sistema' non tarderà a cogliere. A conti fatti solo alcuni consiglieri sono intervenuti nel merito per esprimere il loro parere negativo.
In primis proprio Di Matteo il quale ha detto che la patologia per cui il gruppo diventa la proiezione interna al Consiglio della corrente di appartenenza determina la nascita di altre patologie: "i capi gruppo, gli incontri, le relazioni e i rapporti tra il vicepresidente e capi gruppo, per discutere di determinate questioni e quant'altro". "Io credo - ha continuato il consigliere togato la cui posizione è stata condivisa da Fulvio Gigliotti e Stefano Cavanna - che però di fronte a queste considerazioni che condividiamo o che tutti dichiariamo di condividere, se c'era un momento del disegno di legge Bonafede che costituiva anche l'espressione simbolica di questa volontà liberare il consiglio dall'influenza impropria dei gruppi era dato dalla previsione del divieto per i consiglieri di costituire i gruppi all'interno del Consiglio. Nessuno vuole pregiudicare il diritto di associarsi per orientamenti culturali che siano omogenei - ha precisato il consigliere togato - Ma qui il problema è la costituzione dei gruppi in consiglio che inevitabilmente produrrebbe e produce una possibile limitazione della indipendenza di ciascun consigliere: indipendenza di giudizio, indipendenza di voto, indipendenza di posizione. Invece questo parere addirittura apprezza la disposizione che sopprime il divieto per i consiglieri di costituire gruppi all'interno del consiglio. A me pare che invece per riaffermare il principio secondo cui i consiglieri devono svolgere il loro mandato con indipendenza e imparzialità non appare condivisibile la soppressione dell'articolo 27 del disegno di legge che introduceva il divieto per i consiglieri di costituire i gruppi all'interno del Consiglio. Questo non c'entra nulla con la libertà di associazione, con la libertà di appartenere ad un gruppo associativo, questo riguarda altro. Riguarda la vita all'interno del Consiglio e all'interno del Consiglio i gruppi non devono avere la possibilità di esercitare la loro influenza anche attraverso la costituzione di nuclei interni al Consiglio".

No alla istituzione di una Alta Corte per la disciplinare
Al paradosso si accompagna l'assurdo di certe considerazioni che sono state fatte martedì in plenum in merito all'emendamento 37 che proponeva la possibile creazione di un'Alta Corte esterna al Csm con funzioni disciplinari composta da membri eletti con il metodo del sorteggio. Il paradosso sta proprio nel fatto che gli stessi consiglieri che avevano osteggiato il sorteggio temperato per l'elezione dei componenti del Csm evidenziandone l'incostituzionalità hanno poi fatto un clamoroso dietrofront, promuovendo tale metodo per l'elezione dei membri di questa ipotetica Alta Corte.
Tale contraddizione non è sfuggita al consigliere Di Matteo il quale, anticipando il suo voto contrario, ha detto: "Io voterò contro l'approvazione dell'emendamento per una questione di merito. Nel senso che sono contrario alla possibilità di un'Alta Corte con competenze sui procedimenti disciplinari separata dal Consiglio Superiore della Magistratura. Invece da un punto di vista del metodo io voglio semplicemente prendere atto con compiacimento di un mutamento diciamo della posizione di alcuni colleghi rispetto ad altre questioni che sono state affrontate. Dal punto di vista del potere propositivo del Consiglio non condivido quello che è stato sottolineato dal consigliere Marra perché io ritengo che l'articolo 10 della legge istitutiva del consiglio legittimi il consiglio anche nella espressione formale di un parere. E per me l'esercizio della proposta è in ogni caso espressione di una previsione" diciamo "nella funzione della politica giudiziaria del Csm che possiamo e dobbiamo recuperare".
Alle parole del consigliere togato si sono poi aggiunte quelle del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi, il quale ha fatto presente che la creazione di una Alta Corte non poteva essere approvata "in questi termini". "Questa non è la sede adatta" ha detto specificando che "la giustizia disciplinare deve essere domestica" e che se "viene portata fuori diventa una penale".
Il voto finale ha rivelato una spaccatura all'interno del Csm: con 10 voti favorevoli e 13 contrari l'emendamento è stato respinto.


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Giovanni Salvi, procuratore generale della Cassazione


Avvocati che valutano i giudici: dubbi e perplessità
Nel testo emanato dal governo è stato previsto che gli avvocati saranno chiamati a valutare e a giudicare l'operato dei magistrati. Una decisione ‘irricevibile’ come già evidenziato da numerosi addetti ai lavori ma sorretta da chi all'interno del consiglio ha voluto paragonare i magistrati a dei semplici professionisti (quali possono essere gli insegnanti o gli stessi avvocati) passabili quindi a procedure valutative esterne. Costituzione alla mano la magistratura rimane il rappresentante di un potere dello Stato e la sua carriera così come il suo operato deve essere valutato dal Csm al fine proprio di garantire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura.
Contro questa proposta governativa alcuni consiglieri (Cascini, Chinaglia, Zaccaro, Suriano, Dal Moro, Pepe) hanno proposto un emendamento - poi votato con 16 voti favorevoli, 2 contrari e 4 astenuti - con il quale sono state messe in luce le criticità di tale decisione. Criticità spiegate anche dal consigliere Di Matteo il quale ha detto che: "Io voterò a favore dell'emendamento. E non certamente per una sfiducia preconcetta nei confronti della categoria degli avvocati. Io sono nipote e figlio di avvocato e ne sono fiero. Il problema è un altro e a mio avviso è stato colto nella sua essenza fondamentale dall'intervento della consigliera Pepe. Il problema è che questa parte dell'emendamento governativo è assolutamente in linea con l'ispirazione di fondo di questa riforma a mio avviso assolutamente non condivisibile. E l'ispirazione di fondo è quella di creare e di valorizzare la figura del magistrato tra virgolette 'affidabile'. Ma non 'affidabile' nel senso di 'bravo', 'preparato', 'libero', 'indipendente', 'coraggioso' - ha specificato il magistrato palermitano - Ma nel senso del magistrato i cui comportamenti possono essere prevedibili e in qualche modo controllabili. È questa secondo me è l'inspirazione di fondo di questa riforma, per me pessima e pericolosa proprio per questo. Se ci facciamo caso - ha detto - e sicuramente ognuno di noi avrà coordinato le varie norme, si vuole introdurre un principio per il quale il magistrato deve essere gradito ai dirigenti: attraverso l'accentuazione del ruolo gerarchico dei capi degli uffici, attraverso la previsione di un ruolo di controllo sempre più stringente nei confronti dei colleghi. Deve essere gradito (il magistrato ndr) ai dirigenti di cancelleria, deve essere gradito a tutti i colleghi perché è previsto che un magistrato che se dovesse eventualmente concorrere per un incarico direttivo e semi direttivo debbano essere sentiti anche i colleghi di quel magistrato. Deve essere gradito al consiglio dell'ordine degli avvocati. Deve essere un magistrato che sta bene a tutti".
Il magistrato, ha concluso Di Matteo, deve essere apprezzato "anche quando sia un 'cane sciolto', e quando non abbia la preoccupazione di essere gradito a tutti. Io credo che queste norme, adesso stiamo parlando del parere del consiglio dell'ordine degli avvocati, vadano nella direzione di omologare tutti e di creare come presupposto fondamentale del magistrato: quello del gradimento da parte di tutti. Ripeto dirigenti, colleghi, personale di cancelleria, avvocati. Siete sicuri che questo sia un valore e che non possa invece incidere sull'autonomia, sull'indipendenza e sulla libertà di ogni magistrato? Qui non si tratta di acquisire o di assumere una posizione contraria all'apporto degli avvocati. Io rimango molto deluso" quando anche in sede di prima commissione "presidenti o comunque i membri del consiglio dell'ordine degli avvocati" manifestano "paura di rappresentare dei fatti di cui sono venuti a conoscenza e che potrebbero avere una rilevanza per quanto riguarda la posizione di un magistrato. Non si tratta di questo. Si tratta di una visione di sistema che noi dobbiamo avere. E a me preoccupa questa visione di sistema di questo maxi emendamento governativo".


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La Sala Conferenze del CSM


Puniti i Consiglieri del Csm
Durante il plenum di lunedì è stato preso in esame anche l'emendamento numero 60 già presentato giovedì scorso dal magistrato Di Matteo. Nello specifico, il testo governativo introduce il divieto per un componente del Csm di concorrere per un qualsiasi incarico direttivo o semidirettivo per una durata di quattro anni a partire dall’esaurimento del suo mandato consiliare. Un vincolo giustificato da alcuni consiglieri dalla necessità di prevenire possibili casi di nomine mirate. Tuttavia secondo il magistrato palermitano "Non possiamo accettare la sfiducia nei confronti del consigliere" - ha detto il consigliere - "E non possiamo stabilire che il magistrato togato solo perché ha fatto parte della magistratura deva essere penalizzato al punto tale da non potere aspirare e a concorrere per incarichi direttivi per un periodo così lungo come quello previsto dal maxi emendamento governativo: quattro anni" che diventano otto laddove si consideri il periodo della consiliatura. D'accordo con Di Matteo la togata di Magistratura indipendente, Loredana Micciché e il laico Benedetti Alberto Maria il quale ha detto che tale disposizione normativa può incidere sulla funzionalità del Csm "o dei singoli consiglieri. Io credo sia preferibile avere dei consiglieri motivati e brillanti e che hanno anche un futuro in cui possano portare anche la loro esperienza all'interno della magistratura". Tuttavia, anche a fronte delle condivisibili parole avanzate dal magistrato, l'emendamento è stato respinto con otto voti a favore, dieci contrari e cinque astenuti.

Csm: ok al Codice etico per i laici
Lunedì con 16 voti favorevoli, uno contrario e quattro astenuti il plenum ha votato a favore dell'emendamento 51 presentato dal consigliere Benedetti. Il testo introduce nel parere finale un paragrafo che auspica alla creazione di un "Codice Etico" per i componenti laici del Csm con annesse previsioni sanzionatorie sulle condotte che danneggino i doveri di indipendenza e imparzialità del consigliere laico.
In accordo con la proposta il consigliere Di Matteo il quale ha detto che "è chiaro che si tratta dell'auspicio di una norma manifesto, di una norma che comunque avrebbe un fortissimo significato sotto anche il profilo della tutela e dell'autonomia e dell'indipendenza di ciascun membro laico che siede al consiglio superiore della magistratura. Mi auguro soltanto che se si dovesse poi giungere ad una previsione in tal senso di un codice etico abbia più fortuna rispetto a quello che ha avuto il codice etico dell'associazione nazionale magistrati la cui violazione palese (soprattutto con riferimento all'articolo 10 di quel codice etico) non solo purtroppo l'esperienza consigliare ci ha insegnato che ha costituito una prassi, ma ha costituito anche una prassi che" quella "violazione del codice etico anche quando palese e reiterata" non "ha costituito il presupposto di alcuna sanzione in sede disciplinare. Sono convinto - ha concluso - che le norme che abbiano solo un significato simbolico alla fine possano avere una importanza anche concreta che secondo me alla fine ne legittima l'opportunità".

Un consigliere del Csm non può far parte della vita politica per due anni
L’emendamento governativo, nello specifico dell’articolo 12 comma 5, impedisce ai componenti togati del consiglio superiore della magistratura (o per chi è stato componente togato nei due anni precedenti) di candidarsi agli incarichi elettivi di membro del parlamento europeo, di senatore o di deputato o ancora della carica di presidente regionale e della giunta regionale di presidente o consigliere provinciale delle provincie autonome di Trento e Bolzano. Il divieto tuttavia non vale per quei magistrati amministrativi, contabili o tributari che siano stati eletti in seno ai rispettivi organi di governo autonomo.
Di Matteo durante la seduta plenaria di giovedì scorso aveva esposto l'emendamento integralmente sostituivo numero 8 con il quale aveva evidenziato questa differente disparità di trattamento. Infatti la critica mossa dal consigliere togato è stata forte. Secondo il magistrato infatti si tratta di una norma che punisce il cittadino solo “perché ha fatto parte del Consiglio”. “A me pare che la norma in questione appaia caratterizzata da evidenti profili di irragionevolezza” e di “ingiustificata violazione dell’articolo 51 della Carta: tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere ad incarichi direttivi in condizioni di uguaglianza secondo i criteri stabiliti dalla legge”. Secondo Di Matteo si vuole prevedere “una incandidabilità assoluta e a mio avviso anche con un profilo di incostituzionalità per chi ha fatto parte del Csm nei due anni precedenti e non solo per chi è membro del Consiglio e in costanza di consiliatura”.


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Loredana Micciché, Magistratura indipendente


Perché parlo di profili di irragionevolezza? Intanto perché c’è una disparità di trattamento assolutamente ingiustificata tra il componente togato del CSM, che è un magistrato collocato fuori ruolo che non esercita funzioni giurisdizionali, e gli altri magistrati che pure esercitano o hanno esercitato nei due anni precedenti funzioni giurisdizionali. Cioè un procuratore della repubblica - ha continuato - che ad esempio si è occupato di inchieste e processi importanti che hanno riguardato anche aspetti importanti dell’esercizio del potere politico con i limiti e le condizioni previste dalle altre parti previste dal maxi emendamento può candidarsi. Chi ha fatto parte del Csm, quindi non ha esercitato funzioni giurisdizionali (e che ha esercitato, si spera con indipendenza e imparzialità il suo compito presso il Csm) non può candidarsi. Questo è un primo profilo di irragionevolezza che colgo nel fatto che i paletti che condivido dovrebbero essere legati soprattutto alla possibile commissione di possibili funzioni giurisdizionali con finalità di acquisizione di un consenso politico”.
Per Di Matteo “sembra che questa disposizione del maxi emendamento risponda ad un intento diciamo più generale di pregiudizio sul contributo negativo che anche un magistrato o un ex magistrato che non torni poi alla giurisdizione possa dare al dibattito e alla vita politica del Paese” - ha detto il magistrato aggiungendo - “Che questa parte del maxi emendamento corrisponda ad un interno ancora più largo del ruolo di marginalizzazione del ruolo dei magistrati”. “Chi fa parte del Csm - ha concluso il consigliere togato - su questo tema subisce un trattamento deteriore rispetto a tutti gli altri magistrati e anche a chi nella loro attività rispetto ai due anni precedenti si sia occupato di inchieste politiche che riguardano i vertici o comunque aspetti importanti della vita politica. Questa è una norma di cui non riesco a capire la ratio soprattutto non riesco a comprendere la compatibilità non solo con l’articolo 51 della Costituzione ma ancor prima con il principio fondamentale di ragionevolezza o di partita di trattamento di chi si trova nella stessa posizione”.
Inoltre durante la dichiarazione di voto di martedì Di Matteo ha precisato che non si deve confondere questo particolare caso con divieto previsto per le cosiddette 'porte girevoli'. “Sinceramente non riesco a comprendere, ed è questo il senso dell'emendamento al parere come davanti alla previsione del maxi emendamento governativo di un divieto di una candidatura alla camera dei deputati, al senato o al parlamento europeo" da parte di "un ex componente togato del Csm si possa precludere il diritto del magistrato a candidarsi. Ripeto con la questione delle porte girevoli non c'entra assolutamente nulla", ha precisato concludendo il magistrato. Tale argomentazione è stata condivisa dalla maggioranza del plenum con 15 voti favorevoli, 3 contrari e 1 astenuto. Ma questo capitolo non si è chiuso alla fine nel migliore dei modi poiché, come fatto presente da Di Matteo (preannunciando il suo voto finale di astensione), il plenum ha sì votato per l'emendamento numero 8 ma ha scartato poi l'emendamento soppressivo numero 10 (sempre presentato da Di Matteo) creando sostanzialmente una contraddizione interna al parere stesso.

Conclusioni
La politica com'è intesa oggi non è in grado di essere credibile sotto il profilo della lotta alla mafia, della ricerca della verità e della creazione di un sistema normativo adeguato a garantire l'equità davanti alla legge. Di conseguenza era prevedibile che dai Palazzi Romani sarebbe arrivata una riforma del Csm tutt'altro che adeguata. L'ultima speranza del cambiamento rimane quindi nella magistratura dalla schiena dritta, nella passione civile dei cittadini e soprattutto nei nuovi movimenti, rappresentati da volti giovani, puliti ed onesti.
Presto questo Csm dovrà rinnovarsi con le votazioni di luglio per poi riprendere le sue funzioni ma, purtroppo, metaforicamente parlando, si può dire che nonostante i numerosi sforzi, l’orologio del Consiglio sia rimasto fermo al 1990.

Foto © Imagoeconomica

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