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Quando la meritocrazia non viene calcolata dai molti

Non c'è niente da fare. Nonostante gli scandali, o le polemiche che lo hanno direttamente riguardato, il Consiglio Superiore della Magistratura sembra ricadere nei soliti errori del passato. E lo fa nonostante al suo interno vi sia chi, come i consiglieri togati Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita, seguiti da pochi altri, cerca di denunciare, ogni volta che riaffiorano, le vecchie logiche del correntismo o dell'appartenenza. Logiche che, quando si tratta di assegnare ad un magistrato un determinato ruolo, vanno a discapito della meritocrazia.
Stavolta l'occasione persa per dare dimostrazione di un vero cambiamento interno è stata la nomina del nuovo Presidente della Corte d'Appello di Genova.
Nei giorni scorsi il Plenum ha scelto per quell'incarico Elisabetta Vidali, attuale presidente di sezione nel capoluogo ligure, con tredici voti a favore. Solo tre invece (quelli dei consiglieri togati Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita e del consigliere laico Alberto Benedetti), sono stati dati a favore del presidente di sezione della Corte d'Appello di Torino, Mario Amato.
Ciò è avvenuto nonostante il curriculum di quest'ultimo fosse di altissimo livello rispetto alla collega, senza nulla togliere alle capacità della stessa per adempiere al ruolo.
Proprio Ardita, nella sua relazione aveva evidenziato come Amato sia un magistrato che è stato “sempre in prima linea” nella lotta contro la criminalità organizzata e possessore di un curriculum che "definire ampio, ricco e completo è riduttivo”.
Infatti il magistrato "ha lavorato in tutti gli uffici sparsi per il territorio nazionale e sempre in situazioni di emergenza".
Nello specifico Amato, dopo essere stato nominato con d.m. il 30 aprile 1986, è stato, dal 2.12.1987, giudice presso il Tribunale di Caltagirone, dove ha svolto funzioni promiscue (sia civili che penali); dal 25.7.1989, sostituto Procuratore della Repubblica presso la Procura di Catania; poi nuovamente giudice dal 20.10.2000, con funzioni di presidente di sezione del Tribunale di Gela; dal 6.6.2007, Consigliere della Corte di appello di Catania (emettendo “145 sentenze nel 2008, 173 nel 2009 e 149 nel 2010”); dal 8.11.2011, presidente di sezione del Tribunale di Caltanissetta e dal 25.10.2016 è presidente di sezione della Corte di Appello di Torino.
"Nella cornice dell'attività professionale quello che conta è come si sono svolte le funzioni e cosa si è fatto - ha sottolineato Ardita presentando la proposta - Lo dicono i suoi capi d'ufficio ed i suoi dirigenti. Il presidente della Corte ne mette in luce l'impegno la dedizione e le capacità, sia come giudice che come organizzatore, nella direzione della Seconda sezione penale della Corte, che dal suo arrivo, nel 2016, era afflitta da un pesante arretrato sia nell'attività giudiziaria che nella cancelleria”. Ardita ha dunque ricordato come “la Corte d'Appello di Torino è stato uno degli uffici più critici, nel penale, che si ricordi nell'ultimo periodo”. Quello che era un “ufficio ingovernabile” con 6500 fascicoli pendenti, con la gestione Amato è arrivato ad avere un'organizzazione fino ad una definizione certa per i procedimenti da trattare. Ed oggi la situazione pendente è di meno di 3500 processi. Ardita ha anche sottolineato il ruolo di vigilanza che Amato ha dovuto adottare sui servizi di cancelleria, nel momento in cui c'erano delle problematiche con il dirigente amministrativo.
Guardando alla carriera di Amato, ovviamente, non può tacersi il grandissimo contributo dato alla giustizia in Sicilia.
Come consigliere della Corte di appello a Catania, nonostante fosse componente di Commissione di concorso per Notai - ha ricordato Ardita - rispetto ad altri non ha accettato l'esonero totale previsto per questo tipo di opportunità ed ha continuato a lavorare con 145 sentenze nel 2008, 173 nel 2009, 143 nel 2010”. Rispetto alla collega, poi nominata, avrebbero dovuto avere un maggior peso le esperienze semidirettive avute a Gela e Caltanissetta o anche l'esperienza a Catania. “Sul piano dell'esperienza direttiva - ha affermato Ardita - la funzione vicaria del tribunale di Gela per 7 anni non è che può essere considerata nulla rispetto alla Presidenza di una sede soppressa del tribunale di Chiavari, con tutto rispetto per il tribunale di Chiavari. Gela significa i grandi processi sulla criminalità organizzata. E' la sede di Piddu Madonia. E' il luogo in cui sono state svolte le più delicate attività di contrasto a Cosa Nostra nella zona del sud-est della Sicilia”. Un compito che Amato ha svolto in maniera totalizzante così come totalizzante fu l'esperienza, per 11 anni, nella Dda di Catania. “Qui ha svolto le più delicate indagini su Cosa nostra catanese - ha aggiunto il consigliere togato - ha contributo alle indagini, all'arresto ed alla gestione della fase della cattura del latitante Benedetto Santapaola, numero due di Cosa nostra. Inoltre ha svolto i più importanti processi alla pubblica amministrazione che hanno portato all'arresto e al processo dei big della politica catanese dell'epoca come gli onorevoli Drago, Andò e Nicolosi”. Al contempo “ha svolto una grandissima attività di contrasto nelle misure di prevenzione. E' stato un punto di riferimento dei giovani magistrati di Catania negli anni in cui, a ridosso delle stragi, l'attività della Procura è stata di altissimo livello. Per non parlare della scoperta dell'omicidio della moglie di Santapaola, dell'omicidio Famà, dei più importanti delitti catanesi su cui sono state diradate moltissime ombre proprio grazie alla sua attività professionale e l'impegno investigativo”.
Alle parole di Ardita, prima della votazione, hanno fatto seguito anche l'intervento del consigliere togato Nino Di Matteo, che ha evidenziato come Amato sia stato, sempre in “prima linea” e che è stato pm in un tempo in cui “il pubblico ministero della Dda di Catania doveva fronteggiare sostanzialmente per la prima volta, anche nella storia giudiziaria catanese, una vera e propria emergenza mafiosa anche in quel distretto e che poi da giudice ha maturato delle esperienze particolarmente significative a Gela, a Caltanissetta (dove ha presieduto a lungo la sezione penale e sezione del riesame) poi a Torino”. Inoltre, ha voluto sottolineare Di Matteo “il magistrato Amato ha scelto di svolgere l’attività giudiziaria sempre e comunque in contesti difficili dovendo anche vivere delle limitazioni personali e familiari molto significative per lungo periodo”.
Parole che, unite a quelle di Ardita, hanno persino convinto anche il consigliere Giuseppe Marra. “E' stato un dibattito intenso ed importante - ha espresso durante la dichiarazione di voto - Ero indeciso fino all'ultimo. Leggendo la proposta e sentendo gli interventi, secondo me il dottor Amato ha dimostrato grandissime capacità negli uffici di enormi difficoltà, per ultimo la Corte d'appello di Torino. Capacità non solo organizzative e lavorative, ma anche con una carriera, uno spessore ed una pregnanza di processi trattati che mi fanno preferire la sua candidatura, senza nulla togliere alla collega Vidali che sicuramente ha fatto benissimo, però sempre nel distretto di Genova”. E poi ancora: “La carriera del dottor Amato mi sembra ricca di esperienza professionali in uffici veramente disastrati e difficili e per ultimo ho appreso essere stato nominato come vicario per la Corte d'Appello di Torino, proprio per i suoi meriti organizzativi. Un dato, per conoscenza personale, che non può essere utilizzato, ma che mi fa propendere per il voto del dottor Amato”.
Alla conta finale, però, nonostante gli elementi forniti, la scelta del Csm è gravitata a maggioranza sulla collega. L'ennesimo caso in cui viene svilita la carriera di un magistrato meritevole sotto ogni punto di vista. E non è certo così che il Csm dimostra di essersi smarcato da quelle vecchie logiche che lo avevano da sempre caratterizzato, sin dai tempi di Falcone e Borsellino.

Foto © Imagoeconomica

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