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Parla di antimafia, non lo nomina, ma nel mirino c'è sempre Di Matteo

"L'antimafia non deve essere il trampolino di lancio per facili carriere". Ecco le parole di Fiammetta Borsellino, figlia del giudice barbaramente ucciso in Via D'Amelio ormai quasi trent'anni fa, intervenuta nei giorni scorsi nel convegno "Ripensare la mafia, ricostruire l'antimafia", organizzato dalla commissione Antimafia dell'Ars allo Steri di Palermo. Parole inserite nel contesto di un discorso in cui si fa accenno a casi specifici, come il caso Saguto o Montante, ma che di rimando fa riferimento anche ai magistrati, in maniera generica. Ma anche i non detti parlano. E guardando dichiarazioni più o meno recenti, trasmesse sui soliti giornaloni, ecco che si torna a mettere alla gogna il consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo.
E' avvenuto sulle colonne del giornale Libero, diretto da Alessandro Sallusti, con l'articolo a firma di Filippo Facci. Sono loro alcuni dei libellisti mercenari al servizio del potere che continuamente si prodigano a ingiuriare e diffamare quei magistrati che hanno avuto l'ardire di mettere sotto accusa i loro padroni (quel Silvio Berlusconi, pregiudicato, che vorrebbero al Quirinale).


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Il giornalista, Filippo Facci © Imagoeconomica


Facci dà atto che la Borsellino non nomina Di Matteo, ma poi scrive: "Lunedì sera tutti sapevano che la Borsellino aveva in mente altro, il suo legittimo pensiero fisso: ossia la pseudo-giustizia che una folta schiera di magistrati, per decenni, ha spacciato per verità, primo tra tutti il carrierista antimafia per eccellenza, Antonino Di Matteo, passato poi al delirante e fallito processo 'Trattativa', passato poi alla Direzione Nazionale Antimafia non è chiaro in base a quali meriti, teorico ministro dell'Interno secondo i desiderata dei 5 stelle, cittadino onorario della città di Roma governata da Virginia Raggi. Un uomo premiato per i suoi fallimenti, nella miglior tradizione della magistratura italiana, 'antimafia' o altro che sia".
Dato che non sono giunte smentite di merito, e tenuto conto dei continui interventi proprio su certi giornali-servi, come Libero, Il Giornale o Il Riformista, è lecito pensare che era proprio ciò che Fiammetta Borsellino, nel suo silenzio, voleva intendere.
Al libellista Facci, le cui parole non ci stupiscono tenuto conto che da anni si prodiga nel gettare fango e insulti anche quando sul magistrato, Nino Di Matteo, pende una condanna a morte del capo dei capi Totò Riina, ricordiamo che il processo trattativa non è ancora concluso. Le motivazioni della sentenza devono ancora uscire ed il processo è tutt'altro che delirante tenuto conto che neanche i giudici d'Appello che hanno assolto con formule diverse Dell'Utri, Mori, De Donno e Subranni hanno detto che "il fatto non sussiste". E sarà interessante capire come sia stato possibile condannare i soliti mafiosi e non quei pezzi di istituzioni che con essi hanno dialogato.
Facci svolge il compito del mercenario al servizio del potere in maniera precisa e puntuale con argomentazioni false laddove si fa intendere che Di Matteo può aver avuto un ruolo nel depistaggio sulla strage di Via D'Amelio.
Ciò che però desta sconcerto è il livore con cui Fiammetta Borsellino si accanisce nei confronti di quei magistrati che non hanno fatto altro che ricercare la verità sulla morte del padre, concentrandosi in particolare nella ricerca di mandanti esterni delle stragi. Qualcosa che non ha nulla a che vedere con la teoria del movente "mafia-appalti", promossa dagli ufficiali del Ros ed anche dalla stessa signora Borsellino.


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L'ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi © Imagoeconomica


Più volte abbiamo scritto e riconosciuto che, al netto di una verità solo parziale sui fatti che riguardano l'attentato del 19 luglio 1992, è lecito provare rabbia ed avere sete di giustizia.
Ma altrettanta rabbia si genera nel vedere questo perpetrarsi di dichiarazioni erronee nel merito dei fatti che mistificano la realtà. E al contempo non trova giustificazione in natura avere amici o "consulenti" giudiziari nella ricerca della verità quegli avvocati che annoverano tra le loro difese anche quelle di soggetti che sono stati fautori delle stragi di Capaci e di Via D'Amelio. Cioè, in soldoni, è “contro natura” assecondare le medesime teorie di chi difende gli assassini del proprio padre.
I depistaggi sulla strage ci sono stati. Nessuno lo mette in dubbio. Ma è stato ampiamente dimostrato che Nino Di Matteo con il depistaggio sull'inchiesta di Via D'Amelio non c'entra in alcun modo.
Eppure, nonostante non sia neanche mai stato iscritto nel registro degli indagati, viene continuamente tirato in ballo in maniera distorta e fuorviante.
E mai si tiene conto della decisione del Gip di Messina. Il giudice che ha archiviato l'inchiesta nei confronti degli altri magistrati Anna Maria Palma e Carmelo Petralia, con l'accusa di calunnia aggravata, scrive che "non si è individuata alcuna condotta posta in essere né dai magistrati indagati, né da altre figure appartenenti alla magistratura che abbiano posto in essere reali e consapevoli condotte volte ad inquinare le dichiarazioni, certamente false, rese da Vincenzo Scarantino”.
Di Matteo, lo ricordiamo per l'ennesima volta a chi ci legge, è uno dei pochi magistrati che, come Tescaroli, Ingroia, Scarpinato ed altri, hanno cercato la verità sui mandanti esterni della strage di Via D'Amelio, senza fare sconti alle istituzioni.
Di Matteo, oggi consigliere togato del Csm, si occupò in toto del “Borsellino ter”, un processo che non solo portò alla condanna di tutti i capi della Commissione provinciale e regionale, ma ha aperto la strada a quella ricerca dei mandanti esterni delle stragi che si tradusse negli anni successivi nell'impegno, assieme al collega Luca Tescaroli, con le indagini sulla presenza di Bruno Contrada in Via D'Amelio, indagato per concorso in strage, o l'inchiesta su "Alfa e Beta" (ovvero Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri).
E in quelle attività furono in qualche maniera ostacolati e stoppati. Parlano le inchieste e le carte processuali.


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L'ex senatore, Marcello Dell'Utri © Imagoeconomica


E' dunque evidente la differenza tra chi ha cercato di ricostruire la verità su quegli anni e chi, diversamente, anche semplicemente facendo finta di non vedere, si è adeguato al silenzio di Stato.
Oggi la ricerca della verità non si è fermata. A Firenze la Procura indaga ancora sull'ex Premier e sull'ex Senatore come mandanti delle stragi del 1993.
E dopo aver letto sui giornali le assurde difese della signora Fiammetta Borsellino al generale Mori di turno, post sentenza trattativa, ci manca solo che oggi difenda anche i due co-fondatori di Forza Italia o che promuova la corsa al Quirinale dell'ex Cavaliere.
Magari sempre con l'obiettivo di colpire Nino Di Matteo e le sue indagini.
I motivi che si nascondono dietro questo accanimento non li conosciamo. Solo chi li vive, o il Padre eterno, può conoscerli fino in fondo. Al di là di questo, però, possiamo affermare che certe cose "contro logica" e "contro natura", come l'odio e livore espresso nei confronti del magistrato palermitano, non solo sono incomprensibili. Sono inaccettabili.

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