Il magistrato ospite a Tg2 Post al fianco dei giornalisti Lodato e Vitale
“Questo è un momento particolare, un momento pericoloso” dettato da due fattori contrapposti: da una parte la volontà di “una certa magistratura di dimenticare e archiviare gli scandali” che l’hanno colpita “considerandoli come frutto di un sistema che si è deteriorato”; “dall’altra, il pericolo che la politica, o comunque una larga parte del potere reale di questo Paese, approfitti del momento di oggettiva debolezza della magistratura per scopi di vendetta - per ciò che la magistratura ha saputo fare nel controllo di legalità anche nell’esercizio del potere - e per scopi di prevenzione per far si che la magistratura in futuro possa essere in qualche modo più docile e svolgente una funzione collaterale e servente rispetto al potere politico e a quello esecutivo”. Sono queste le parole del consigliere togato al Csm Nino Di Matteo, ospite questa sera dell'approfondimento "Giustizia e Potere" - condotto da Manuela Moreno - andato in onda subito dopo il Tg2 delle 20:30. Ospite assieme a lui anche il giornalista-scrittore Saverio Lodato, con il quale ha scritto il suo ultimo libro “I nemici della giustizia” (ed. Rizzoli) e il giornalista Francesco Vitale.
Sul tavolo sono stati posti molti argomenti a partire dagli scandali più recenti in seno alla magistratura fino a giungere ad una riflessione profonda sul ruolo del Csm, sui rapporti di potere, le degenerazioni come il correntismo ed il carrierismo e infine concludere con la riforma della giustizia Cartabia ed i pericoli per l’indipendenza della magistratura allo strapotere del “partito degli avvocati” in Parlamento.
Affrontare gli scandali della magistratura per scovare i nemici della giustizia
Per Nino Di Matteo quello attuale è un momento in cui è necessaria “un’operazione di verità”. “Sarebbe estremamente grave far prevalere la tendenza a minimizzare la portata negativa degli scandali emersi negli ultimi mesi, negli ultimi anni - ha spiegato il magistrato -. Sarebbe grave ed irresponsabile pensare che tutto è stato causato soltanto da poche mele marce. Purtroppo, questo è l’epilogo della degenerazione di un sistema che ha consentito a delle metastasi di impadronirsi di un corpo originariamente sano. Il dilagare della prassi del correntista esasperato, del carrierismo, della folle corsa agli incarichi direttivi da parte di molti magistrati, della gerarchizzazione delle procure, della tendenza a adottare criteri di opportunità nelle scelte giudiziarie anziché di dovere giuridico”.
Ecco perché è giunto il momento in cui “dobbiamo reagire con una operazione di verità, senza nascondere la polvere sotto al tappeto e ricordando a tutti i cittadini - in gran parte comprensibilmente sfiduciati nei confronti del sistema giustizia - che la magistratura è quella che nel nostro Paese più di ogni altra istituzione ha garantito l’attuazione dei principi costituzionali e ha saputo rappresentare il baluardo contro l’offensiva del terrorismo, delle mafie e dei poteri occulti”.
Poteri occulti dietro i quali si celano i veri nemici della giustizia, che secondo il consigliere togato al Csm “non sono soltanto i mafiosi, i corrotti e i criminali”, ma “anche coloro che si annidano all’interno delle istituzioni politiche, finanziarie, economiche e, purtroppo, anche all’interno della magistratura. Sono coloro che nella magistratura hanno ostacolato il lavoro dei magistrati liberi e coraggiosi; coloro i quali hanno consentito che nella magistratura entrasse il tarlo del collateralismo politico”.
Cordate e correnti minano l’autonomia e l’indipendenza della magistratura
Nel corso della trasmissione, le domande della Moreno si sono poi incentrate in maniera più specifica su alcuni argomenti trattati nel libro “I nemici della giustizia”. Uno in particolare: la distinzione che Di Matteo e Lodato fanno tra correnti e cordate. “Le correnti nascono come legittimi centri di aggregazione culturale di magistrati nel dibattito sulla giustizia. Purtroppo, però, nel tempo si sono trasformate in altra cosa. Le correnti e le cordate si fondano sul privilegio del criterio dell’appartenenza - ha sottolineato il magistrato -. Chi appartiene ad una corrente o ad una cordata viene garantito, tutelato, promosso, difeso nei momenti di difficoltà che inevitabilmente si possono presentare nella carriera. Chi è fuori da questo sistema rischia di essere pretermesso, delegittimato e isolato. Questo è un sistema che, proprio perché contrario ai principi della Costituzione, finisce per essere eversivo”.
“In primis noi magistrati lo dobbiamo combattere - ha continuato -. Non è accettabile che l’appartenenza ad una corrente detti i criteri per le nomine, per le promozioni, per gli incarichi. Questa degenerazione del sistema è stata comoda anche per la politica perché attraverso questo inquinamento della magistratura attraverso dei criteri che sono propri della politica quest’ultima ha preteso e qualche volta è riuscita a controllare al meglio la magistratura”. Si tratta di un decadimento nei cui metodi si denota “una mafiosizzazione del Paese”, ha spiegato il consigliere Di Matteo. “Il metodo del privilegiare l’appartenenza a qualcuno o a qualcosa significa mortificare il sistema costituzionale”. E il quadro si fa ancora più grave dinnanzi “all’idea di controllare la magistratura ancora presente in buona parte del ceto politico. Tutelare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura non significa privilegiare un interesse della casta dei magistrati, bensì privilegiare e tutelare i diritti dei cittadini, delle minoranze, delle dissidenze”.
Il partito degli avvocati
Ma a minare i diritti dei cittadini non è solo il tentativo di un controllo diretto della magistratura grazie a correnti e cordate, ma anche uno “indiretto”, che gioca di sponda ma che ugualmente fonda le sue radici all’interno della Politica: il partito degli avvocati. In Parlamento, infatti, siedono 137 avvocati, a fronte dei soli 3 magistrati che, tra l’altro, diversamente dagli avvocati, hanno lasciato la loro carriera professionale.
“Se un magistrato viene eletto in parlamento deve sospendere giustamente la sua attività di magistrato - ha detto Saverio Lodato -, se l'avvocato viene eletto in Parlamento, invece, mantiene lo studio aperto”. E quindi, “la mattina difende il suo assistito, mentre il pomeriggio in Parlamento può per esempio prendere parte alla commissione giustizia per la modifica di quei reati che guarda caso possono anche riguardare il suo assistito”. “Tutto questo purtroppo - ha spiegato il giornalista - non è stato oggetto della riforma della giustizia della ministra Cartabia di cui si è tanto parlato. Partendo dal fatto che avendo noi in Italia i migliori magistrati antimafia, purtroppo per noi, di tutt'Europa perché abbiamo le criminalità più forti di tutt'Europa, forse la ministra Cartabia preliminarmente avrebbe dovuto mettere attorno a un tavolo i migliori magistrati antimafia per dire: ‘Come la modifichiamo questa riforma della giustizia?’”.
Riforma giustizia
Ed è proprio la riforma della giustizia Cartabia l’altro tema scottante dibattuto in trasmissione. Una riforma dinnanzi alla quale lo stesso Nino Di Matteo si è detto più volte preoccupato per le conseguenze che ne deriverebbero.
“La riforma giustizia - ha spiegato il magistrato - implica delle scelte non soltanto tecniche, ma anche scelte di opzioni politiche e di visione ideale della società. Far dipendere queste scelte dalla necessità di percepite i fondi europei, e con i tempi dettati da quelle esigenze, mi preoccupa. Inoltre, non mi piacciono alcuni aspetti della Riforma. Uno in particolare: ovvero la previsione che sia il Parlamento a dettare i criteri generali di priorità nell’esercizio dell’azione penale per i procuratori della Repubblica. È un attacco al principio di obbligatorietà all’azione penale e al principio fondamentale di separazione dei poteri”.
“A me suona un po' buffo questo mantra che si sente ormai ripetere ad ogni piè sospinto e ad ogni campo: ‘C’è lo chiede l'Europa' - ha detto il giornalista Saverio Lodato dopo aver menzionato il puntiglioso elenco presente nel libro “I nemici della giustizia” dei ventotto magistrati assassinati in Italia dalla mafia, dalla 'Ndrangheta e dal terrorismo e i due uccisi in Francia -. Ecco, questo è uno di quei casi in cui in merito alla lotta alla mafia e ai poteri criminali, sarebbe forse il caso che in Europa seguissero le linee guida della lotta alla mafia applicate in Italia e dicessero ai loro cittadini: ‘Ce lo chiede l'Italia’”. “Noi non dobbiamo andare sempre in giro con il cappello in mano soprattutto in questa materia”, ha detto fermamente lo scrittore.
E se ci si domandasse cosa c'entri tutto ciò con l’elenco dei magistrati uccisi la risposta è ancora una volta nelle parole di Saverio Lodato: “C’entra perché a mia memoria è almeno da quarant'anni che la politica cerca un regolamento di conti con la magistratura. E Giovanni Falcone in prima persona, è bene non dimenticarlo mai, prima di essere assassinato dai mafiosi fu dichiarato clinicamente morto dai suoi colleghi del palazzo di giustizia di Palermo. Da alcuni dei suoi colleghi del palazzo di giustizia di Palermo, all'interno del consiglio superiore della magistratura di allora - parliamo di quarant'anni fa - e dell'associazionismo”. A testimonianza del fatto che questa “è storia vecchia”. “La magistratura e il Csm, che teoricamente dovrebbero essere una casa di vetro agli occhi dei cittadini italiani - ha continuato Lodato -, una casa di vetro non lo è stata mai. Oggi con caso il Palamara si stanno raccogliendo i cocci. Nel libro ("I nemici della giustizia"), con il dottore Di Matteo, non facciamo pettegolezzi, non raccontiamo retroscena, non sveliamo segreti, semplicemente ricostruiamo un ragionamento (lo ricostruisce ovviamente il dottore Di Matteo rispondendo alle mie domande che ha accettato benevolmente di farsi porre per spiegare) che esiste una magistratura possibile. Diversa da quello che oggi sta apparendo agli occhi degli Italiani".
Il discorso di Mattarella
Durante il Tg2 Post, infine, è andato in onda anche un estratto dell’intervento che oggi il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rivolto ai giovani della Corte dei Conti, ai quali ha detto: “La professionalità non può mai ridursi a mera tecnicalità, ma richiede l'esercizio di onestà intellettuale, di equilibrio, di sobrietà, di obiettività, assenza di autoreferenzialità, disponibilità al confronto e impone di rifuggire da logiche corporative che snaturano e deprimono la figura del magistrato". Parole con cui il Capo dello Stato “ha dimostrato, ancora una volta, di essere veramente una garanzia per la salvaguardia dei principi di autonomia e indipendenza della magistratura e per la garanzia della salvaguardia di tutti i principi che la Costituzione detta in materia di giustizia: ad esempio quelli che prevedono che i magistrati siano soggetti soltanto alla Legge e che i giudici si distinguono soltanto per l’esercizio delle funzioni e non per la gerarchia”, ha commentato Di Matteo. “Il Presidente Mattarella ha sempre rappresentato la principale garanzia della tenuta di questi principi costituzionali”, soprattutto dinnanzi alle recenti crisi intestine alla magistratura.
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