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E su Di Matteo informazioni depistanti

Da giorni diversi organi di stampa nazionale hanno dato notizia, pubblicando anche alcuni stralci, dell'uscita del libro autobiografico della nota pm Ilda Boccassini, oggi in pensione, dal titolo "La stanza numero 30, cronache di una vita", edito da "La Feltrinelli".
Sicuramente discutibile e non condivisibile la scelta di rendere pubblica, in maniera quasi infantile, quei momenti di vita privata ed esperienze vissute con Giovanni Falcone (ammesso e non concesso che siano effettivamente vere). 
Sul punto è intervenuta in maniera decisa, la sorella del magistrato ucciso dalla mafia il 23 maggio 1992, Maria Falcone, riassumendo in poche parole il pensiero di molti. "Quel che allarma - ha detto in una lettera inviata da Maria Falcone al quotidiano La Sicilia - è che sembra si sia smarrito ormai qualunque senso del pudore e del rispetto prima di tutto dei propri sentimenti (che si sostiene essere stati autentici), poi della vita e della sfera intima di persone che, purtroppo, non ci sono più, non possono più esprimersi su episodi veri o presunti che siano e che, ne sono certa, avrebbero vissuto questa violazione del privato come un'offesa profonda".
Per questo motivo vogliamo sorvolare sulla questione e non entreremo nel merito dei racconti fatti su questa singola vicenda.
Diversamente riteniamo di dover rimettere in evidenza altri aspetti che Ilda Boccassini ha consapevolmente taciuto o che ha riportato in maniera falsa ed errata tirando in ballo altri colleghi.
Assolutamente stucchevoli le affermazioni con cui l'ex magistrato ha espresso i propri giudizi su alcuni magistrati valorosi che hanno lavorato, o stanno lavorando dedicando tutto sé stessi, nella lotta ai sistemi criminali e nella ricerca della verità sulle stragi, anche rischiando la propria vita.
Così sono stati colpiti Nicola Gratteri (“Creava tensione con il suo vantarsi di una conoscenza della ’Ndrangheta talmente approfondita e, a suo dire, unica, da ricavarne bizzarramente (poiché era il solo a esserne convinto) un senso di superiorità nei nostri confronti”); Antonio Ingroia (“Piccola figura di magistrato”); Nino Di Matteo (“L’enfant prodige della Procura di Palermo) e Scarpinato (“Non ho mai apprezzato il suo stile da narciso siciliano perfettamente rappresentato dalla sua acconciatura alla D’Artagnan”).
Ed anche il legale di Salvatore Borsellino, Fabio Repici, non è stato risparmiato, finito sotto accusa per averle semplicemente posto domande, anche scomode, nei processi Borsellino quater e quello contro i poliziotti per il depistaggio sulla strage, dove è stata sentita come testimone.
Domande necessarie se si ha davvero a cuore la ricerca della verità.
Un concetto che evidentemente interessa fino ad un certo punto alla dottoressa Boccassini, nel momento in cui nel libro, su alcuni fatti si fa un racconto distorto.


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Il Tribunale di Milano © Imagoeconomica


Il primo Scarantino
Un esempio si ha nella descrizione del caso Scarantino, per cui la Boccassini è divenuta famosa nel momento in cui, nell'ottobre 1994, mandò una lettera scritta a quattro mani con il collega Roberto Saieva, in cui venivano avvisate le Procure di Caltanissetta e Palermo sui dubbi che riguardano il "picciotto della Guadagna", al tempo collaboratore di giustizia ed oggi "falso pentito".
Nelle pagine in cui si ricorda il primo interrogatorio di Scarantino, del 24 giugno 1994, avvenuto nel carcere di Pianosa, dice di aver nutrito dubbi sin dal primo momento.
Peccato che il 19 luglio del 1994 proprio lei, assieme al procuratore capo Giovanni Tinebra, condusse la conferenza stampa relativa all’arresto degli indagati nel procedimento “Borsellino Bis”.
E in quella occasione tanto le sue parole, quanto quelle di Tinebra, non lasciavano molti spazi a dubbi sull’attendibilità di Vincenzo Scarantino.“I collaboratori di giustizia sono una realtà essenziale per il paese - aveva affermato la Boccassini - Lo ha dimostrato ancora una volta l’indagine sulla morte di Paolo Borsellino. Ma è arrivata, lo ripeto, questo concetto va ripetuto fino alla noia, perché vi erano già delle indagini che hanno consentito di valutare appieno quello che Scarantino Vincenzo ci diceva”.
Ovviamente della conferenza stampa, nel libro, non si fa alcun accenno. E nei processi la pm si è difesa affermando di aver firmato la richiesta di misure cautelari solo “per dovere d’ufficio”.
Alla luce di queste spiegazioni, dunque, è la stessa Boccassini che discredita sé stessa nel proprio racconto.

Su Scarantino l'attacco a Di Matteo
Per non parlare della vicenda della lettera firmata con Roberto Saieva, scritta e spedita in ottobre dopo il famoso interrogatorio del 6 settembre 1994, durante il quale Vincenzo Scarantino chiamò in causa i tre importanti collaboratori di giustizia Mario Santo Di Matteo, Salvatore Cancemi e Gioacchino La Barbera.
E' qui che la Boccassini effettua il suo secondo grave errore tirando in ballo magistrati che nulla hanno a che fare con le vicende del falso pentito.
Lei sostiene che quella relazione venne "consegnata brevi manu" a vari magistrati tra cui Nino Di Matteo senza tenere conto di quella che è stata la reale attività del magistrato nelle indagini.
Di Matteo al tempo era all’inizio della propria carriera di magistrato ed è entrato nelle indagini che hanno poi portato al processo cosiddetto “Borsellino bis” affiancando i pm Annamaria Palma e Carmelo Petralia nelle fasi conclusive ed in maniera marginale. Diversamente istruì in toto le indagini sul “Borsellino ter” che portarono alla condanna di tutti i capi della Commissione provinciale e regionale, tracciando il percorso delle indagini sui cosiddetti mandanti esterni.
Rispetto quelle note inviate da Ilda Boccassini alla Procura in cui si faceva riferimento alle perplessità su Scarantino, Di Matteo in molteplici sedi ha ribadito di non esserne mai venuto a conoscenza al tempo.
"Ho saputo delle lettere della Boccassini solo successivamente, tra il 2008 e il 2010, quando a Palermo mi occupavo di Gaspare Spatuzza - aveva raccontato nel febbraio 2020 - Le lessi in epoca successiva. Posso dire che fino a novembre 1994 non fui mai informato delle indagini sulle stragi e non partecipai a nessuna riunione in procura in cui fosse presente anche Ilda Boccassini. Con la collega Boccassini non ho mai avuto la possibilità e la fortuna di parlare non solo delle stragi ma di indagini in generale. Per me era ed è un magistrato da stimare moltissimo, ma con la quale la conoscenza si limitava a incontri al bar”.


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© Imagoeconomica


Il vero e il falso
Altro elemento che viene ignorato dalla Boccassini e non riportato nel libro, è il fatto che con Scarantino vero e falso vengono mescolati in maniera inquietante e drammatica.
Sono gli stessi giudici di primo grado del Borsellino quater a ricordare come le dichiarazioni dello Scarantino "pur essendo sicuramente inattendibili, contengono elementi di verità".
Basti pensare che il "falso pentito" Scarantino ha indicato come partecipi della fase cruciale della strage le medesime persone di cui ha successivamente parlato il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, autoaccusatosi del furto dell'auto utilizzata per la strage di via d'Amelio.
Scarantino, infatti, dice che quando la macchina viene portata nel garage per essere imbottita di esplosivo c'erano Graviano, Tagliavia e Tinnirello, così come poi dirà in perfetta coincidenza Spatuzza.
Quello Spatuzza che ha parlato della presenza di un uomo che non apparteneva a Cosa nostra: un soggetto esterno.
Ebbene, un altro falso pentito, Andriotta, aveva riferito al tempo di aver saputo da Scarantino che era presente anche un uomo che non era di Cosa nostra, uno specialista di esplosivi italiano.
E poi ancora, ci sono le indicazioni date da Scarantino sul furto dell'auto, avvenuto mediante la rottura del bloccasterzo, ed aveva aggiunto di avere appreso che sull’autovettura erano state applicate le targhe di un’altra Fiat 126, prelevate dall’autocarrozzeria dello stesso Orofino, e che quest’ultimo aveva presentato nel lunedì successivo alla strage la relativa denuncia di furto. Ebbene si tratta di circostanze che sono "del tutto corrispondenti al vero ed estranee al personale patrimonio conoscitivo dello Scarantino, il quale non è stato mai coinvolto nelle attività relative al furto, al trasporto, alla custodia e alla preparazione dell’autovettura utilizzata per la strage" che saranno anche raccontate da Gaspare Spatuzza.
Ciò significa che al tempo era tutt'altro che semplice screditare le dichiarazioni del picciotto della Guadagna.
Ma già al tempo si tenne conto delle contraddizioni di Scarantino con un'attendibilità che fu riconosciuta in forma limitata.
"Eravamo convinti che da un certo punto in poi Scarantino aveva cominciato a inquinare il quadro probatorio - aveva spiegato proprio Di Matteo sentito come teste nei recenti processi su via d'Amelio - Ovvero quando inserì come presenti in quella riunione a villa Calascibetta i tre pentiti Di Matteo, La Barbera e Cancemi. Nel processo bis sulla strage, nei confronti degli imputati tirati in ballo solo da lui, abbiamo chiesto l'assoluzione. Valutazione che fu condivisa dai giudici del primo grado. Poi furono condannati in appello ma lì non so cosa accadde. Addirittura nel cosiddetto processo Borsellino ter nemmeno lo abbiamo messo in lista testi".

La collaborazione di Spatuzza, con Di Matteo nel mirino
Ultima grave argomentazione portata avanti nel libro proprio per attaccare Ingroia e Di Matteo per quanto dissero nell'aprile 2009 in una riunione congiunta in cui si doveva esprimere un parere sull'inserimento di Spatuzza nel programma di protezione.
Così come aveva fatto la Commissione regionale antimafia dell'Ars, presieduta da Claudio Fava, nella relazione (la seconda per l'esattezza) sul depistaggio della strage di via d'Amelio, vengono estrapolati, senza contestualizzare il momento in cui erano stati detti, delle dichiarazioni di Di Matteo.


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Il Tribunale di Caltanissetta


E ancora una volta torniamo a ricordare che è ovvio l'approccio di cautela da parte degli organi inquirenti, di fronte alla necessità di misurarsi con sentenze che erano comunque definitive.
E' vero che al tempo vennero espresse considerazioni per cui in quel momento il parere positivo non poteva essere concesso, ma ciò che la Boccassini omette è ciò che è avvenuto dopo, offrendo così l'ennesima occasione per i detrattori di scagliarsi contro il consigliere togato, già oggetto di insinuazioni assurde su vicende che non lo riguardano.
Le difficoltà di Spatuzza per ottenere la patente di attendibilità sono note. Nel 2010 accadde anche che la Commissione centrale del Viminale per la definizione e applicazione delle misure speciali di protezione, allora presieduta da Alfredo Mantovano, non lo ammise nel programma di protezione definitivo.
E soltanto successivamente il Tar accolse il ricorso del collaboratore di giustizia.
Quel programma di protezione a Spatuzza fu revocato in coincidenza alle dichiarazioni che fece sull'incontro avuto con Giuseppe Graviano, prima dell’attentato allo stadio Olimpico.
Un dialogo in cui il boss di Brancaccio gli parlò, come noto, di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri (oggi entrambi indagati a Firenze come mandanti esterni sulle stragi) con il secondo che è condannato definitivo per concorso esterno.
Dichiarazioni che erano al di fuori dei 180 giorni previsti da una legge (assurda) in cui si delimitano i tempi in cui un collaboratore di giustizia deve dire tutto ciò che sa alla magistratura inquirente.
Quella mancata ammissione al programma di protezione fu contestata duramente proprio dal magistrato Nino Di Matteo, all'epoca pm della Dda di Palermo e presidente della giunta distrettuale dell'Anm, che si espose in più sedi proprio per difendere e promuovere il programma di protezione e l'attendibilità di Spatuzza.
"Per quanto ricordi, è la prima volta che si nega l'ammissione al programma di protezione per i pentiti in presenza della richiesta di ben tre Procure della Repubblica - disse nel giugno 2010 Di Matteo -. Comunque, la valutazione sull'attendibilità delle dichiarazioni resta di competenza delle autorità giudiziarie che hanno sentito e continueranno a sentire Gaspare Spatuzza". Dunque quelle valutazioni del 2009, appare evidente, venivano effettuate nell'attesa dei dovuti riscontri.
Ma questo aspetto non viene riportato con il risultato di un'informazione fuorviante per l'opinione pubblica. Un'azione che denota, dal nostro punto di vista, non una denuncia in buona fede, ma in cattiva fede.
La Boccassini è una magistrata passata agli onori delle cronache per essere stata, con inchieste e processi, l'acerrima nemica dell'ex premier Silvio Berlusconi. Ma questo è un libro, tutt'altro che utile alle future generazioni, di cui avremmo tutti fatto volentieri a meno.

Foto di copertina © Imagoeconomica

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