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DiMartedì l'attacco personale al Procuratore capo di Catanzaro nel confronto sulla riforma della Giustizia

Doveva essere un confronto sulla riforma della giustizia, ma in pochi attimi si è trasformato in un vile attacco unidirezionale contro il Procuratore capo di Catanzaro Nicola Gratteri, ospite ieri del programma di Giovanni Floris, DiMartedì, in onda su La7. 
Il tre contro uno (da una parte Gratteri, dall'altra il condirettore del Corriere dello Sport ed editorialista dell'Huffington post Alessandro Barbano, la scrittrice Antonella Boralevi e il direttore di Libero Pietro Senaldi) è andato in scena nell'arco di venti minuti, mentre Floris ed il direttore de L'Espresso Marco Damilano, incalzando comunque Gratteri con le proprie domande, si sono mantenuti più sul tema della serata. 
Certo, sarebbe stato bello se almeno uno di loro fosse intervenuto a difesa del magistrato, ma questa è l'Italia dove chi coraggiosamente fa il proprio lavoro viene bersagliato, magari anche in nome dell'audience. 
Eppure di “corbellerie” ne sono state dette tante. Dall'accusa di personalizzazione dei processi (il nodo era il caso Oliviero, assolto in Cassazione), a quella di inchieste che non portano a condanne. 
Fino a quel “la riforma ve la siete meritata. I magistrati si sono opposti a qualsiasi riforma per anni. Quindi se non vi va bene è colpa vostra”, che evidenzia proprio il clima di vendetta che certa stampa, a nome della politica, vuole alimentare nei confronti della magistratura. 
Nel suo primo intervento Gratteri non ha usato mezzi termini per commentare la riforma della giustizia, proposta dalla ministra Cartabia definendola addirittura peggiore “delle leggi Berlusconi”. 
E per far capire il perché di tale affermazione ha usato un esempio calzante: “Il termine improcedibilità dovrebbe sparire da questa riforma. È come dire che io sono sull’autostrada a Napoli, mi si dà il tempo di due ore per arrivare a Roma, e se a Frosinone c’è un incidente e io riparto dopo tre ore mi si dice ‘non puoi più partire’, ‘ma io devo arrivare a Roma’, ‘no non puoi più partire”. Quindi, con altrettanta chiarezza, ha spiegato il significato dell'improcedibilità: “È come se io sono dall’oncologo e ci sono 30 persone che si devono visitare, il medico fa in tempo a visitarne 20, gli altri 10 dicono ‘torniamo domani o il giorno dopo?’ ‘no lei non si può visitare più’, ‘ma io ho un tumore’. Ecco, questo vuol dire improcedibilità”. Quindi ha spiegato la differenza tra prescrizione ed improcedibilità: “Mentre nella prescrizione c’è un termine naturale per svolgere i processi, qui invece si stabilisce che se non si concludono entro 2 anni, non c’è più nulla da fare. Neppure se c’è una condanna in primo grado”.
E' a questo punto che è iniziata la guerra contro il magistrato calabrese che, rispondendo a Floris, sui tempi lunghi dei processi, aveva anche proposto di tornare alla vecchia prescrizione (“A prima della riforma Bonafede e anche di quella Orlando, torniamo al sistema vecchio che è meno dannoso”). Ed è da qui che è partito l’attacco di Alessandro Barbano che ricordando l’inchiesta per corruzione e abuso d’ufficio in cui finì l’allora governatore della Calabria, Mario Oliverio e poi conclusasi con l’archiviazione dello stesso, ha provocato in maniera del tutto gratuita il magistrato come se avesse qualcosa di personale contro il politico. E la risposta non si è fatta attendere: “Io non personalizzo i processi come lei sta insinuando. Io faccio il mio lavoro, faccio il pubblico ministero e al Gip le misure”. E sull’insistenza di Barbano se si fosse posto il dubbio o meno di un suo pregiudizio nei confronti dell’ex governatore, Gratteri ha attaccato frontalmente ricordando gli scandali avvenuti poi a Catanzaro sulle decisioni “aggiustate”. Tensione che si è innalzata di più quando Barbano ha ricordato altri procedimenti in cui la tesi accusatoria sposata da Gratteri sarebbe stata poi non confermata da giudizi. Ed anche in questo caso la replica è stata forte e determinata: “È falso - ha detto Gratteri -. Lei legge solo certi giornali e dunque non è ben informato. Deve avere la pazienza di leggere tutti i giornali”.

La “vendetta” della politica
Alla domanda di Damilano su cosa possa esservi dietro la riforma Cartabia Gratteri ha risposto: “C’è una magistratura molto debole e la politica, dopo trent’anni, risponderà a quello che definisce lo ‘strapotere della magistratura’. Questo tipo di riforma non serve alla giustizia, aumenterà solo i problemi e complicherà la possibilità di amministrare bene il settore”. Certo, Gratteri non ha nascosto gli errori commessi all'interno della magistratura che dopo gli scandali Palamara ed affini è sicuramente più debole (“sono stati fatti degli errori e gli errori giustamente si pagano”) ma va ricordato che oggi all'interno della magistratura c'è una volontà di rinnovamento, e all'interno del Csm, nel lavoro di consiglieri togati come Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo, si respira un'aria diversa.
Tornando alla riforma della giustizia va ricordato che da tempo si è generata una sorta di “rivalsa” della politica sulla magistratura tanto che lo stesso Gratteri ha affermato di non vedere la norma in una maniera diversa. 
Ed è a questo punto che è scattata la seconda provocazione, stavolta del condirettore di Libero Senaldi (“La riforma ve la siete meritata e voluta”). E per assurdo in quelle parole Gratteri trova proprio manforte nella sua considerazione. “Come la racconta - ha risposto Gratteri - sembra davvero una vendetta. In realtà l’Europa ha chiesto di fare i processi più veloci, non di impedire di farli. Prima della ghigliottina Cartabia mi chiedo perchè non sono state fatte altre riforme, come quella sulla depenalizzazione”. “Cosa serve - ha aggiunto - fare un processo ad esempio ad un soggetto fermato in auto in stato di ebrezza. Dovrebbe andare davanti ad un prefetto dove gli verrà contestata magari una multa senza andare in aula ad ingolfare il sistema”. Secondo il magistrato, sono queste le riforme che andavano fatte.

Il referendum assurdo sulla giustizia
Altro argomento ha poi riguardato il referendum sulla Giustizia proposto da diversi partiti anche, ricorda Floris, da alcuni leader come Matteo Renzi o Matteo Salvini. “La riforma del Csm così come è stata pensata nel Referendum - ha sostenuto Gratteri - non serve a nulla. Occorre il sorteggio puro altrimenti le correnti avranno sempre il sopravvento”. Sulla divisione delle carriere immaginata anche dal referendum, Gratteri ha un'idea chiara: “Serve solo a spostare i duemila pubblici ministeri” per preparare il prossimo passaggio che, secondo il procuratore capo sarà quello “di portarli sotto la sfera dell’esecutivo. Così sarà la politica a dettare l’agenda. E' questo il passo successivo. E a quel punto la giustizia sarà meno giustizia”. E ancora una volta Barbano è tornato a provocare, sprezzante, chiedendo se abbia mai cercato prove a discarico dell'imputato. “Mi è capitato - ha detto con toni forti il procuratore capo -. Non conosce la mia storia di magistrato diversamente non farebbe queste affermazioni. A me è capitato di chiedere anche l’assoluzione”.
Infine, replicando a Senaldi sull’obbligatorietà della azione penale Gratteri ha risposto laconicamente: “Io penso che l’obbligatorietà dell’azione penale serva”. Sulle proposte per accelerare i tempi della giustizia, il procuratore capo ha ribadito di credere che “serva una forte opera di depenalizzazione e un processo di digitalizzazione”. Così come di “avere più uomini e più mezzi” al servizio della giustizia. Ma tutto questo, ovviamente, alla politica e ai “vassalli, valvassori e valvassini” di turno non interessa.
Certo è che da qualche tempo a questa parte Nicola Gratteri è finito al centro del mirino. Nei giorni scorsi c'è stato chi l'ho accusato di protagonismo, di ambizione, di avere la volontà di attirare la massima attenzione e finire sempre più spesso sotto i riflettori, di assumere un “ruolo che va al di là di quello di un magistrato”. 
Sembra di leggere una storia che non ha mai fine perché quelle stesse accuse venivano rivolte negli anni Ottanta e Novanta a Giovanni Falcone per infangarlo e delegittimarlo. Oggi, nel 2021, le stesse accuse vengono rivolte nei confronti di quei magistrati che coraggiosamente scelgono di non restare in silenzio e partecipano al dibattito pubblico intervenendo non solo per spiegare i fenomeni mafiosi, ma anche quei vincoli che le mafie stesse hanno con l'economia, la politica, la finanza, la chiesa, le massonerie e gli apparati di sicurezza. 
Evidentemente in questo momento è utile colpire certi magistrati che vengono ritenuti “scomodi” proprio per ciò che dicono e per il lavoro che svolgono. 
In passato è stato così per Antonio Ingroia, quando era ancora magistrato e successivamente è avvenuto contro Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Sebastiano Ardita, Luca Tescaroli e Giuseppe Lombardo ed appunto Nicola Gratteri. 
Spesso si dimentica che si parla di magistrati oggetto di vere e proprie condanne a morte. 
Un capomafia come Nino Giuffrè, oggi collaboratore di giustizia, sentito in svariati processi ha sempre ricordato come l’isolamento che circondava Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi dalla mafia nel ’92, rafforzò ulteriormente Cosa Nostra convincendola anche nell'opportunità di uccidere i due magistrati. 
Trent'anni dopo le stragi c'è chi non ha imparato nulla in una storia che sembra ripetersi, come in un ciclo. Per fortuna, però, ci sono anche tanti cittadini che sono pronti a schierarsi e difendere quei magistrati che, dobbiamo ricordarlo, sono rimasti l'unico baluardo a difesa della nostra Costituzione.

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