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Depositate le motivazioni di sentenza di condanna contro il latitante per le stragi di Capaci e via d’Amelio

Matteo Messina Denaro, il super latitante di Cosa nostra fantasma dal 1993, è una delle menti dietro le stragi del 1992, ha appoggiato la strategia stragista terroristica mafiosa di Totò Riina e l’attacco frontale allo Stato, nonché ha rappresentato un importante pilastro per la trattativa con quest’ultimo per far cessare le bombe. E’ questo il sunto della sentenza della Corte d’assise di Caltanissetta, depositata il 18 agosto, con la quale a ottobre scorso “u siccu” (già condannato per le stragi del ’93) era stato condannato all’ergastolo perché mandante degli attentati contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Secondo il giudice Roberta Serio, il capo mafia di Castelvetrano “condivise in pieno l’oggetto e la portata del piano criminale di Riina di attacco allo Stato e di destabilizzazione delle sue Istituzioni allo scopo, da un canto, di colpire i nemici storici, gli inaffidabili e i traditori di Cosa nostra, dall'altro canto, di entrare in contatto con nuovi referenti con cui trattare per giungere ad un nuovo equilibrio”. La corte sottolinea inoltre che il latitante era a conoscenza della “trattativa Stato-mafia, l'altra faccia della medaglia del piano stragista”. E ancora, sempre sul punto: “Furono resi edotti Matteo Messina Denaro e Graviano (“i picciotti sanno tutto”), con sicuro coinvolgimento del boss trapanese”. “In definitiva, Matteo Messina Denaro fu in assoluto un membro del cerchio magico di Riina e, anche solo in tale veste (senza nulla togliere alla comunque accertata reggenza della provincia di Trapani), è uno dei protagonisti dell'attacco sfrontato che Cosa nostra intraprese contro lo Stato al fine di destabilizzarne le Istituzioni e costringerlo tramite nuovi canali referenziati a trovare un compromesso favorevole ad entrambi i fronti”. Secondo i giudici inoltre Matteo Messina Denaro “mise fattivamente a disposizione della causa stragista le proprie energie e le sue forze militari e logistiche convogliando in senso unidirezionale tutta la nomenclatura trapanese. Man mano che il piano stragista prese corpo in parallelo Matteo Messina Denaro - in via diretta o indiretta (ovvero anche a mezzo degli uomini d'onore della provincia mafiosa da lui retta) - dimostrò tangibilmente la sua perdurante adesione e in tal guisa, ribadendo la fedeltà a Riina in quel delicato momento per la sua leadership e per l'intera Cosa nostra”. La requisitoria dell’accusa prima, rappresentata da Gabriele Paci (oggi neo procuratore della Repubblica di Trapani), e la sentenza poi, hanno permesso di ricostruire in maniera certosina i fatti e tutta la cronostoria dei corleonesi. La sentenza conduce, passo dopo passo, alle dinamiche e alle ragioni che hanno portato alla genesi delle stragi di Capaci e via D’Amelio. Il movente. La deliberazione degli attentati e le singole riunioni in cui i boss ne hanno discusso. La creazione da parte di Totò Riina della “Super cosa”, un organo sito oltre la commissione di Cosa nostra.

La strategia delle stragi
Nelle oltre 1100 pagine della sentenza vengono analizzati e messi alla luce in maniera cartesiana i rapporti d’affari e criminali fra i corleonesi e i trapanesi. Gli interessi economici-patrimoniali di Riina nelle terre del padrino di Castelvetrano. I legami con la massoneria trapanese, che nell’area di controllo della famiglia Messina Denaro sono numerosissime. I giudici si concentrano anche sul fantasma stragista e il suo ruolo al fianco di Riina, il suo protagonismo nel periodo delle bombe tra il 1992 e il 1993. “Il motivo genetico dell’avversione di Cosa nostra a Borsellino” e l’attacco al patrimonio culturale e le ragioni “alla base delle sollecitazioni di Messina Denaro all’eliminazione di Borsellino”. I giudici spiegano bene, sulla base delle prove prodotte dalla pubblica accusa, la sua responsabilità. “Sarà, si badi, in particolare il duo Messina Denaro-Graviano, a gettare la Penisola nello scompiglio appena l'anno successivo alle stragi del 1992)”, si legge.
Sul tema nella sentenza viene anche precisato che “Messina Denaro, seppur non ebbe alcun ruolo nella fase esecutiva delle stragi di Capaci e via D'Amelio, mise immediatamente a disposizione la propria persona e quella degli altri uomini d'onore e soggetti a lui legati trapanesi per una morsa a tenaglia dei due magistrati ovunque si trovassero contribuendo al loro stretto monitoraggio e a infuocare gli animi dei complici verso la loro morte che avvenne nella provincia di Palermo, ma che sarebbe potuto accadere anche a Roma, a Marsala o nelle diverse opzioni geografiche che per ipotesi si sarebbero potute presentare”. E non mancano i giudici di ricordare le connessioni con la politica e con i politici. E i collegamenti che Messina Denaro ha cercato, e forse attuato dopo le stragi, con nuovi referenti. Ed è ormai certo che è grazie ad ambienti di questo tipo che “u siccu”, dopo 28 anni, è ancora introvabile nonostante gli arresti di chi, tra familiari, compagni, prestanome, è venuto a contatto con lui.

Rielaborazione grafica by Paolo Bassani

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