di Giorgio Bongiovanni e Luca Grossi
"Nei mesi scorsi ho ricevuto un plico anonimo tramite spedizione postale contenente una copia informale, priva di sottoscrizioni, di un interrogatorio di un indagato davanti all'autorità giudiziaria. Nella lettera anonima che accompagnava il documento quel verbale veniva ripetutamente indicato come segreto. Nel contesto dell'interrogatorio l'indagato menzionava, in forma diffamatoria se non calunniosa e come tale accertabile, circostanze relative a un consigliere di questo organo". A riferirlo, ieri in apertura del plenum, è stato il consigliere togato Nino Di Matteo, il quale ha rivelato al Consiglio di aver già "contattato l'Autorità giudiziaria di Perugia alla quale ho riferito compiutamente il fatto specificando il timore che tali dichiarazioni e il connesso dossieraggio anonimo potessero collegarsi a un tentativo di condizionamento dell'attività del consiglio. Auspico pertanto che le indagini in corso possano tempestivamente fare luce sugli autori e sulle reali motivazioni della diffusione di atti giudiziari in forma anonima all'interno di questo Consiglio superiore".
La mancata riforma del Csm
Al di là di questo aspetto, su cui ci sarà un approfondimento dell'autorità giudiziaria, nella giornata di ieri al Csm si è tenuto il dibattito sulla riforma della giustizia approvata pochi giorni fa al Parlamento in riferimento ai criteri di assegnazione dei magistrati ad incarichi direttivi e semi direttivi.
E la sensazione è che, per l'ennesima volta, si sia persa un occaisone per portare un vero rinnovamento all'interno del sistema giudiziario. Infatti durante la seduta di plenum tenuta ieri si è preso in esame il Parere I.
Nelle carte consiliari si legge che i magistrati verranno selezionati in base "ai risultati conseguiti in termini qualitativi e quantitativi nello svolgimento dell’attività giudiziaria e nell’esercizio di funzioni direttive, semidirettive o di collaborazione alla gestione dell’ufficio in atto o pregresse, anche se svolte al di fuori dell’attività giudiziaria".
Decisa l'opposizione del Consigliere togato Nino Di Matteo, il quale durante il plenum ha presentato un emendamento, proponendo che il consiglio superiore della magistratura, attraverso l'adozione di opportuni strumenti normativi, si orientasse di più verso una valutazione qualitativa del lavoro giudiziario.
"A mio avviso questa disposizione desta molte perplessità e preoccupazioni" ha detto il dott. Di Matteo, poiché in un sistema del genere sarebbe avvantaggiato "il magistrato abituato ad una archiviazione rapida o alla stesura di un capo di imputazione rapido" tralasciando anche doverosi approfondimenti.
"Io ho sempre avuto timore di una valorizzazione eccessiva e indiscriminata del concetto di produttività basato sui numeri e sulle statistiche" ha sottolineato il consigliere togato, ribadendo che non è la prima volta che "determinati elementi politici" provano a cambiare i modelli di selezione per gli incarichi direttivi e semi direttivi della magistratura, "qui c'è una battaglia culturale che dobbiamo considerare" oltre che ad essere "in gioco una visione del pubblico ministero e del giudice".
Inoltre una strategia da sempre adottata per fermare le indagini dei giudici è stata quella di 'sovverchiarli di processi' che, come ha ricordato il dott. Nino Di Matteo è successo anche "nei confronti di Giovanni Falcone" quando il presidente della Corte d'Appello di Palermo chiese al consigliere capo Rocco Chinnici di "ricoprirlo di lavoro per fermarlo dal fare indagini".
Oltretutto, anche recentemente (come il caso del processo sulla strage di Bologna) sono stati riaperti numerosi processi con i quali c'è ancora la possibilità di fornire delle verità ai cittadini come la "sentenza di condanna definitiva di piazza della Loggia".
A conclusione del suo intervento il magistrato palermitano ha ricordato anche la sentenza definitiva in cui è accertato che il senatore Andreotti, sette volte primo ministro e ventuno volte ministro della repubblica "avesse incontrato poco prima e poco dopo l'omicidio di Piersanti Mattarella i capi della mafia siciliana per discutere prima i danni che l'omicidio del presidente della regione siciliana stava portando a Cosa Nostra e poco dopo del perché lo avessero ucciso" ribadendo che "anche questo è portare un servizio ai cittadini", insistendo sull'applicazione dell'azione penale e non abbandonandola nella prescrizione o nell'archiviazione.
L'emendamento ha avuto l'appoggio del consigliere togato Sebastiano Ardita il quale ha detto che accostare le parole qualità e quantità "cambia totalmente il modo di concepire l'azione penale", e che questa cosa rappresenta un pericolo poiché da sempre la giurisdizione viene forzatamente delegata a "risolvere problemi" che andrebbero risolti in altra sede poiché la delegazione porta alla saturazione del sistema giudiziario.
Nonostante le argomentazioni dei due consiglieri togati, però, l'emendamento è stato respinto (nove voti a favore, undici contrari e un astenuto).
E' lecito dunque domandarsi: che tipo di magistrato vogliono il CSM e il legislatore? Uno che agisce solo a convenienza? Solo quando è sicuro di fare 'numero'? Che prediliga l'archiviazione all'approfondimento delle inchieste?
Il rischio che si corre è che la magistratura diventi proprio quella che la nostra Carta Costituzionale non vuole che diventi, un mero strumento servente dell'esecutivo.
La degenerazione correntizia
Successivamente il plenum ha nuovamente affrontato la problematica delle degenerazioni correntizie che secondo il documento integrativo delle pratiche di sesta commissione, sono intese "come un terreno di scontro fra le diverse compagini della magistratura" in cui il voto consigliare è animato da "esigenze di mandato". Una 'soluzione' a questa grave deriva in seno alla magistratura è stata avanzata dal consigliere forzista Alessio Lanzi nell'emendamento (poi respinto a maggioranza) riferito al Capitolo II dei Pareri, in cui è stata avanzata la possibilità di adottare la metodologia dello scrutinio segreto all'interno delle procedure elettive del Csm, poiché secondo il consigliere laico questo garantirebbe "l'indipendenza e l'autonomia del magistrato". Assolutamente non d'accordo con questo emendamento, almeno per quanto riguarda le metodologie proposte, il consigliere togato Nino Di Matteo il quale ha detto che nonostante la comprensione delle ragioni che hanno spinto i proponenti, "il voto segreto finirebbe inevitabilmente per comprimere anche la trasparenza del dibattito".
"Io non posso accettare" - ha continuato il dott. Di Matteo - "che un magistrato", talvolta chiamato in virtù del suo lavoro a decidere su questioni di estrema delicatezza come la privazione della libertà di un individuo "non possa avere 'la forza' di disattendere, sempre all'interno del Consiglio, con il proprio voto, le indicazioni della struttura associativa alla quale eventualmente appartiene".
Infatti, come ha detto il consigliere togato, "il Consiglio non può rischiare di dare l'impressione che ciascun consigliere sia etero diretto" ribadendo che un cambiamento all'interno del Csm è possibile solo in presenza di un'azione di carattere personale che deve tendere alla salvaguardia "dell'onore, della dignità e del senso di autonomia che deve sempre riguardare l'attività del magistrato".
Durante le dichiarazioni di voto si sono espressi contrari all'approvazione dell'emendamento molti consiglieri tra cui la dott. Braggiòn la quale ha detto che "il mezzo non mi sembra risolutivo" e che "noi dobbiamo dimostrare ai cittadini che noi siamo in grado di prendere delle decisioni" prescindendo da uno strumento normativo.
Così come il consigliere Gigliotti il quale ha detto che "da un punto di vista pratico questa regola se venisse introdotta" provocherebbe un effetto persino contrario "a quello che si propone di risolvere".
Foto © Imagoeconomica
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