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Le parole di Attanasio sono notizia

Nei giorni scorsi abbiamo letto sul sito di stampalibera.it un articolo scritto da Fabio Repici in cui commentava la notizia dell'esposto presentato dal boss mafioso Alessio Attanasio, capo del clan mafioso Bottaro-Attanasio, imperante a Siracusa, alla Procura della Repubblica di Udine e al Tribunale di Sorveglianza di Trieste contro la Direzione della Casa Circondariale di Tolmezzo per "protestare" contro la sottrazione delle pagine del quotidiano La Repubblica in cui si parla dell'attentato (nell'articolo viene definito presunto nonostante le diverse conclusioni della Procura di Messina) compiuto ai danni del presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci.
E nell'articolo si evidenzia come tanto l'articolo del quotidiano quanto l'esposto presentino dei contenuti fortemente aderenti alle conclusioni sulla vicenda Antoci da parte della Commissione regionale antimafia presieduta da Claudio Fava, secondo cui quell’attentato potrebbe essere stato una vera e propria "messinscena", con l'ipotesi mafiosa indicata come la "meno probabile".
L'avvocato Repici evidenzia i paradossi, gli errori clamorosi, le ricostruzioni bizzarre e lo fa con lo stile che lo ha sempre contraddistinto, senza peli sulla lingua e "arringando" con argomentazioni di fatto.
Forse anche per questo dà fastidio. E da certi siti web locali partono gli attacchi.
Noi, che conosciamo Repici e la sua levatura morale, e che abbiamo imparato ad apprezzare la sua passione civile nella ricerca della verità sui fatti più scabrosi d'Italia (è avvocato di collaboratori di giustizia e di familiari vittime della mafia) sappiamo perfettamente che le sue non sono valutazioni che tengono conto di amicizie o inimicizie. Non è neanche un folle che si alza la mattina per sparare a zero contro qualcuno, per fare valutazioni politiche (come si cerca di far credere nell'articolo a firma redazionale di italyflash) o fare pressioni su questa o quella Procura.
Fabio Repici è un avvocato che studia le carte e argomenta andando oltre quel che appare al primo sguardo. Lo fa proprio per quella sua "insana" (in questo paese, purtroppo, sembra davvero un male) voglia di verità.
Lo ha sempre fatto in tutti i casi che segue o ha seguito: dal processo sulla strage di via d’Amelio a quello sull’omicidio del magistrato Bruno Caccia, passando per quello del giornalista Beppe Alfano, del poliziotto Nino Agostino e la moglie Ida Castelluccio, di Graziella Campagna, delle incredibili vicende che ruotano attorno alle morti dell’urologo Attilio Manca, o ancora del Prof. Adolfo Parmaliana.
Se davvero persone come Claudio Fava o Attilio Bolzoni si sentiranno offesi dalle parole di Repici potranno replicare con argomentazioni di fatto o aderire alle vie legali. Cosa che al momento non ci risulta.
Possiamo anche sbagliare, ma prendiamo assolutamente le difese di Fabio Repici di fronte agli insulti di certa stampa dietro cui leggiamo il veto affinché non si tocchi (o meglio dire non si critichino) certi mostri sacri solo perché grandi giornalisti che si sono occupati bene di mafia (e non solo) in questi anni, o perché rivestono ruoli importanti o sono figli di vittime illustri della mafia. Anche loro possono prendere degli abbagli.
  



Il paradosso del boss Attanasio che plaude all'antimafia di Fava
di Fabio Repici

Era chiaro a tutti che il gigantesco testacoda sarebbe arrivato. Solo stupidi e disonesti potevano far finta di non accorgersi di ciò che stava accadendo. E, alla fine, il disastro è arrivato.
È sempre fuori da ogni galateo citare sé stessi, ma non posso evitarlo, per dimostrare che l’avviso, per i presunti distratti, era già stato lanciato. Io personalmente ne avevo scritto sei mesi fa, in un pezzo (“Il senso di Ventura Mary per Paolo Borrometi”) nel quale avevo rilevato una inedita fenomenologia culturale: in quell’antro infernale denominato Facebook, le prese di posizione del presidente della commissione antimafia regionale Claudio Fava, rilanciate da un avvocato di Scicli a nome Bartolo Iacono, erano sostenute con gioia sconfinante nel tripudio (e nell’odio, pericoloso e sguaiato, verso Paolo Borrometi) da parenti e amici di mafiosi di Vittoria.

Ma quello era niente, rispetto allo spettacolo che ha fatto irruzione sulla scena pubblica qualche giorno fa. La notizia ci è arrivata dalla testata online siracusana «Diario1984», fondata e diretta da Pino Guastella. Poiché l’informazione era molto peggio che clamorosa e poiché la fonte era molto più che scivolosa (Pino Guastella fu arrestato a febbraio 2018 e poi rinviato a giudizio, attualmente in corso, per associazione a delinquere insieme agli avvocati Piero Amara e Giuseppe Calafiore, al magistrato Giancarlo Longo, al faccendiere Alessandro Ferraro e al prestanome Davide Venezia per i fatti del cosiddetto “sistema Siracusa”; secondo la D.d.a. di Messina, Guastella col suo giornale conduceva, pagato da Amara, campagne diffamatorie contro pubblici ministeri che Amara non era riuscito a comprare, come Marco Bisogni e Tommaso Pagano), ho aspettato due giorni in attesa di una rettifica, una smentita, un minimo alito di contrarietà. E invece niente.

L’articolo pubblicato l’1 ottobre dal giornale di Guastella ha questo titolo: «La Repubblica gli arriva senza le tre pagine dell’articolo “Fu davvero mafia?”: esposto di Attanasio».

Il protagonista della storia si chiama Alessio Attanasio, capo del clan mafioso Bottaro-Attanasio imperante a Siracusa. Per il momento risiede al carcere di Tolmezzo al 41-bis. Insomma, un boss pericolosissimo ritenuto responsabile, oltre che di mafia, di omicidi, estorsioni e altro. Il giornale di Guastella ci informa che Attanasio «ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Udine e al Tribunale di Sorveglianza di Trieste contro la Direzione della Casa Circondariale di Tolmezzo per aver sottratto le pagine 19-20-21 del quotidiano La Repubblica nelle quali si parla del presunto attentato compiuto ai danni del presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci», come tutti sanno firmato da Attilio Bolzoni in un’inchiesta coordinata e firmata anche da Carlo Bonini. «Diario1984» aggiunge che Attanasio aveva già protestato per il divieto posto dalla direzione del carcere alla ricezione dell’articolo di Bolzoni e che il magistrato di sorveglianza di Udine gli aveva pure dato ragione. Ma nonostante ciò la sua ansia di lettore era rimasta frustrata.

Ora, tutti sappiamo cosa fosse quell’articolo: l’ennesima ricostruzione peggio che malevola sull’attentato compiuto ai danni di Giuseppe Antoci nella notte del 18 maggio 2016, con l’ennesima riproposizione delle teorie della Commissione regionale antimafia presieduta da Claudio Fava, secondo cui quell’attentato potrebbe essere stato una vera e propria «messinscena» nel quadro di un’orditura politica (e certo non un attentato di mafia), con l’aggiunta di grossissime defaillance degli investigatori e della D.d.a. di Messina tutte utili a non disvelare la «messinscena». L’articolo di Bolzoni, cioè, riproduceva, e condivideva con trasporto morale, il contenuto della relazione che sull’attentato ai danni di Antoci la commissione presieduta da Fava licenziò il 2 ottobre 2019, giusto l’anno scorso, in una data in cui altri rivolgevano il pensiero alla memoria di Adolfo Parmaliana.

Quindi, il capomafia Attanasio, detenuto al 41-bis a Tolmezzo, bramava di leggere il reportage di Bolzoni. Del resto, il boss è già dottore e in procinto di prendere la seconda laurea. Ovvio che apprezzi le buone letture. E Bolzoni, indiscutibilmente, è una penna raffinatissima. Ergo, era ingiusta, anche perché Attanasio non aveva alcun divieto in proposito, la decisione della direzione di impedirgli quella lettura con la motivazione che «nell’articolo con il titolo “Fu davvero mafia?” si riportano “informazioni di cronaca giudiziaria e di cronaca nera della regione siciliana riguardante un agguato mafioso, utili al fine di conoscere lo stato dei rapporti tra clan di stampo mafioso nel territorio di provenienza del detenuto”».

Quel che ho dovuto rileggere più volte per convincermi di non avere le traveggole è il testo dell’esposto del boss contro la direzione del carcere, riportato fra virgolette da Guastella: «contrariamente a quanto asserisce la Direzione del carcere, in quelle tre pagine si parla di episodi inquietanti che di certo non hanno nulla a che fare con la mafia e del fatto che la Sicilia, dopo le stragi, è prigioniera di una grande impostura, c’è un’Antimafia fasulla e pericolosa rappresentata da Confindustria che è già finita nelle indagini della procura e della squadra mobile di Caltanissetta, c’è un sistema di potere marcio alla Regione, ci sono interessi colossali per lo smaltimento dei rifiuti. Si fa riferimento in particolare alla messinscena, al finto attentato del 17 maggio 2016 ai danni del presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci, nominato nel giugno 2013 da Rosario Crocetta, il governatore della Sicilia invischiato nelle scorrerie del vicepresidente nazionale di Confindustria Antonello Montante condannato nel 2018 a quattordici anni per associazione a delinquere insieme a esponenti dei servizi segreti e poliziotti, così come accertato dal Commissariato di Barcellona Pozzo di Gotto e dalla Commissione parlamentare antimafia siciliana presieduta da Claudio Fava il quale afferma “su quella vicenda abbiamo avuto conferma che non si è trattato di un atto di mafia da fonti giudiziarie assolutamente attendibili attraverso conferme dirette o indirette di magistrati”».

Sì, il boss di Siracusa parla col verbo di Claudio Fava. E qui viene pure spontaneo chiedersi per quale motivo sia stato fatto il ricorso per avere quell’articolo se Attanasio lo ricorda a memoria fin nei dettagli: misteri del 41-bis. Schematizzando senza alcun commento, nel pensiero del capomafia Alessio Attanasio i cattivi sono, nell’ordine, «l’Antimafia fasulla e pericolosa» (sbizzarritevi sui nomi), Giuseppe Antoci, Rosario Crocetta, Antonello Montante ed esponenti dei servizi segreti e poliziotti a lui legati, mentre i buoni sono Attilio Bolzoni, Claudio Fava, la Procura di Caltanissetta, la Squadra mobile di Caltanissetta, il Commissariato di pubblica sicurezza di Barcellona Pozzo di Gotto (ovviamente, quando era diretto dal vicequestore, ora avvocato, Mario Ceraolo) e la Commissione regionale antimafia.

Cioè: Attanasio, capomafia, disprezza «l’Antimafia fasulla e pericolosa» e ammira, aggiungerei io, «l’Antimafia veridica e benefica» rappresentata dalla Commissione antimafia presieduta da Claudio Fava.

La mafia che plaude all’Antimafia (quella buona, ça va sans dire). Ci sarebbe voluto Umberto Eco per commentare questa fenomenologia, emersa in questi tempi cupi da Sicilian Tabloid.

Ma, in questo impazzimento generale, molto più banalmente, rispetto alle riflessioni che avrebbe fatto Eco, mi pongo due domande: 1. C’è qualcuno che ancora può far finta di non vedere ciò che accade sotto gli occhi di tutti? 2. C’è qualcuno che inizia a provare almeno un po’ di vergogna?

Tratto da: stampalibera.it

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