"Si parla di 'spazzacorrenti' ma la realtà è un'altra"
Il magistrato intervenuto al convegno della Camera Penale a Palermo
Una riforma con "più ombre che luci", in cui nella sostanza "prevale l'intento demagogico di volere dimostrare all'opinione pubblica di volere porre fine alle degenerazioni del Csm di parte della magistratura" anche attraverso una "riforma elettorale che, così come concepita, finirà con il favorire proprio le correnti più radicate. Si parla in termini propagandistici di riforma 'spazzacorrenti' ma la realtà è un'altra. Non è una buona riforma nel complesso. Anche se, va detto, ci sono alcune previsioni che vanno in una direzione condivisibile". E' questo il parere espresso senza mezzi termini dal consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, sulla riforma della giustizia targata Bonafede. Il magistrato è intervenuto nel corso del convegno organizzato dalla Camera Penale di Palermo, dal titolo "Un ordinamento giudiziario garante della terzietà del giudice - Una magistratura indipendente dalla politica, un giudice indipendente dal Pm, i 'fuori ruolo' e le 'porte girevoli'" che si è tenuto questa mattina preso l'aula magna del Palazzo di Giustizia.
Una tavola rotonda, moderata dal direttore dell'AdnKronos, Gianmarco Chiocci e che ha visto la partecipazione, tra gli altri, del Gip di Palermo Piergiorgio Morosini, Bartolomeo Romano (Ordinario di Diritto Penale Università degli Studi di Palermo e Direttore Scientifico della Scuola della Camera Penale di Palermo), il Gip Luigi Castiglia, Giandomenico Caiazza (Presidente Unione Camere Penali Italiane), Vincenzo Zummo (Past President e Responsabile della scuola della Camera Penale di Palermo) e Luigi Miceli (Consigliere della Camera Penale di Palermo).
Dopo l'introduzione di Fabio Ferrara (Presidente della Camera Penale di Palermo) ed i saluti iniziali, si è entrati nel vivo in un dibattito tanto acceso quanto stimolante.
Del resto gli argomenti di discussione rappresentano dei nodi centrali che sono emersi con più forza dopo lo scandalo del caso Palamara che ha travolto lo stesso Consiglio superiore della magistratura.
E nel corso del suo intervento Di Matteo non si è tirato indietro al confronto partendo dall'autocritica che la stessa magistratura dovrebbe fare rispetto a quanto avvenuto negli ultimi mesi: "Quello che è emerso non ci deve sorprendere e, mi riferisco a noi magistrati - ha ripetuto - Noi eravamo in grado di capire quale malattia si stava sviluppando nei meccanismi dell'auto governo ma non abbiamo avuto la forza di ribellarci e di denunciare. E oggi paghiamo a caro prezzo le conseguenze di quella omissione ed assuefazione verso quel sistema a cui dovevamo contrapporci con forza". E poi ancora: "Dobbiamo reagire con uno slancio etico che deve coinvolgere ciascuno di noi contro tutti quei fenomeni che hanno creato la degenerazione e l'esasperazione del correntismo e della diffusione dei metodi clientelari".
L'appartenenza alle correnti e il metodo mafioso
Rispondendo alla domanda dello stesso Chiocci sul paragone tra il metodo mafioso e le logiche di appartenenza alle correnti, riferita in passato il consigliere togato ha ribadito il concetto: "Quando io parlavo di 'metodi mafiosi', di cui mi assumo convintamente la paternità, io dissi che il metodo dell'appartenenza a qualcuno, o qualcosa, come precondizione, era un metodo fondamentale anche nelle logiche dell'agire mafioso. Lo dico e lo confermo. Penso che nessuno possa mettere in dubbio la storicità del fatto. Io al tempo attaccai il metodo dell'appartenenza e la prevalenza del criterio dell'appartenenza come criterio di decisione per partecipare e determinare gli incarichi. L'ho detto continuamente e lo rifarei. E credo che alcuni fatti venuti fuori hanno supportato questa amara constatazione". Di Matteo ha indicato quelle "linee guida" che andrebbero seguite per "battersi contro il collateralismo e contro la concezione anticostituzionale che mortifica l'affermazione stupenda della nostra costituzione laddove nell’articolo 107 si dice che i giudici si distinguono tra loro per diversità di funzione".
E' proprio in quell'articolo, del resto, che si sancisce l’uguaglianza formale dei giudici e l’esclusione di qualsiasi vincolo gerarchico tra gli stessi.
E proprio la lotta contro la "burocratizzazione e la gerarchizzazione degli uffici", secondo Di Matteo, rappresenta un punto nodale, così come quella "corsa, stupida e ridicola, verso gli incarichi direttivi e semidirettivi che dal Csm si osserva con più evidenza".
Le degenerazioni nella magistratura
Da questo punto di vista il magistrato palermitano ha lanciato un allarme: "Temo che stia cambiando il Dna dei giovani magistrati. Prima noi ci accapigliavamo per avere l'assegnazione del processo ritenuto più interessante o potenzialmente più rischioso, oggi la gerarchizzazione degli uffici ha favorito quella ricerca delle cosiddette 'medagliette', cioè degli incarichi che servono a potere dire, quando si aspira a un incarico direttivo, di poter dire 'ho già coordinato un gruppo' o 'ho collaborato con il dirigente dell'ufficio'. Così si cambia Dna del magistrato e si crea la figura di un magistrato che piuttosto che fare giustizia vuole ottenere la gratitudine del proprio Dirigente. Questo sistema lo si può stroncare e deve essere stroncato anche prevedendo la rotazione degli incarichi direttivi e semidirettivi".
Inoltre, come aveva già fatto in altre occasioni pubbliche ha auspicato l'adozione di un sistema elettivo dei componenti del Csm, che passi da un sorteggio in forma temperata ("unico modo per scardinare in radice il potere delle correnti, senza incorrere nell'incostituzionalità") partendo dal presupposto che "il vero cambiamento parte dalla consapevolezza che ciascun consigliere deve avere nel momento in cui entra nel Csm, ovvero che non rappresenta nessuno, ma è chiamato a svolgere la propria funzione in maniera indipendente da tutto e tutti, secondo scienza e coscienza".
La questione Davigo
Un criterio, quest'ultimo, che il magistrato ha garantito applicherà anche nel prossimo futuro quando sarà chiamato a esprimere il proprio parere sull'eventuale permanenza di Piercamillo Davigo al Csm. Davigo, che è presidente della seconda sezione penale della Cassazione e fondatore e leader della corrente Autonomia e Indipendenza, andrà in pensione il 20 ottobre prossimo, dopo 42 anni di servizio. Attualmente fa parte della sezione disciplinare che dovrà giudicare sullo scandalo delle correnti nelle toghe che vede imputati, davanti al Csm, Luca Palamara, leader della corrente Unicost e altri magistrati a lui legati.
Da mesi si è aperta una polemica sulla possibilità che il magistrato, anche andando in pensione, possa lo stesso restare nel Csm. E Di Matteo ha così commentato: "Non posso dire niente, perché probabilmente me ne occuperò, però posso certamente affermare che, così come per ogni altra pratica, agirò secondo scienza e coscienza e senza tenere in alcun conto appartenenze e simpatie, condivisioni o meno dell'amministrazione della giustizia".
Lo scontro tra politica e magistratura
Nel corso del suo intervento Di Matteo ha voluto sottolineare anche altri aspetti, ad esempio ricordando il sangue versato da tanti magistrati proprio per l'impegno e la fedeltà alla Repubblica ed alla Costituzione ("I magistrati italiani sono quelli che hanno rappresentato, spesso, il vero e l'unico avamposto nella lotta alla mafia e al terrorismo. E sono quelli che, dall'entrata in vigore della Carta Costituzionale, anche gli ultimi ed i più sconosciuti, hanno concretamente tentato di attuare la Costituzione e soprattutto quel principio fondamentale del secondo comma dell'articolo 3, teso alla rimozione di tutti quegli ostacoli che impediscono la applicazione dell'articolo uno, l'uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge") e sgomberando il campo da alcune asserzioni dell'immaginario collettivo. "Tranne rarissimi casi - ha detto -, non è stata la magistratura a invadere il campo della politica, ma è stata la politica ad abbandonare il campo che doveva esserle proprio, ad esempio nella lotta ai sistemi mafiosi e corruttivi. E' stata la politica a tirarsi indietro. E' così venuta meno quella primizia della politica incarnata nell'agire politico di Pio La Torre, che non è l'agire di uno studioso e analizzatore del sistema politico mafioso che aspettava sentenze della magistratura, ma agiva e si muoveva prima ancora che certi fatti fossero consacrati, non dico in sentenze definitive, ma in rapporti di polizia giudiziaria".
Di Matteo ha anche evidenziato come negli ultimi 20-30 anni non vi sia stata una guerra tra magistratura e politica, ma "un'offensiva unilaterale, e organizzata molto bene, da un sistema malato e alimentato da una parte consistente e trasversale della politica e da una parte della stessa magistratura contro quei magistrati che hanno avuto il coraggio di applicare il principio costituzione per cui tutti sono uguali davanti alla legge".
"I fatti che emergono dalle recenti inchieste penali e disciplinari - ha proseguito - evidenziano come quei soggetti, di cui vengono conosciute le interlocuzioni con le intercettazioni, stavano dalla parte di chi voleva, insieme a parti importanti delle istituzioni, sbarrare la strada a chi veniva considerato 'cane sciolto', quei magistrati considerati non controllabili". E' la denuncia del consigliere del Csm Antonino Di Matteo intervenuto al convegno sulla giustizia organizzato dalla camera penale di Palermo.
In questo senso, rivolgendosi all'avvocatura presente, il consigliere togato ha espresso una dura critica ("In questa guerra, chiamiamola così, purtroppo l'avvocatura spesso si è schierata dalla parte sbagliata, dalla parte del potere, di coloro che attaccavano i magistrati liberi e indipendenti, attaccando chi partecipava ai dibattiti organizzati da un partito politico, o accusato di politicizzazione coloro che hanno osato alzare il livello e l'asticella delle indagini, anche nei confronti di esponenti di governo o dell'opposizione"), ma anche la propria speranza che "l'avvocatura non si faccia mai strumentalizzare, nelle sue iniziative, per assumere la veste di testa di ariete contro l'autonomia e l'indipendenza della magistratura o contro la magistratura. Perché l'avvocatura è il presidio fondamentale della libertà e della democrazia di questo Paese".
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No separazione delle carriere
Altro argomento del dibattito è stata la proposta, presentata dall'avvocatura con una raccolta firme per una proposta di legge popolare, per la separazione delle carriere tra requirente e giudicante. "L'unicità della giurisdizione è importante - ha detto Di Matteo - E ritengo che la separazione delle carriere possa inevitabilmente aprire la strada verso chi vuole assoggettare il pm all'esecutivo. Aggiungo, inoltre, di aver incontrato in 30 anni di carriera i migliori giudici, spesso, tra quelli che hanno fatto esperienza come pm; ed i migliori pm, spesso, tra i colleghi che avevano avuto la possibilità di esercitare la funzione del giudice".
Ovviamente a favore della separazione delle carriere si sono espressi i rappresentanti delle Camere penali, critici anche rispetto al tema dei "fuori ruolo" evidenziando come "non sia possibile parlare di riforma della giustizia nel momento in cui la stessa politica sceglie per i ministeri tutti soggetti provenienti dal mondo della magistratura".
Tornando a parlare della riforma della giustizia prevista dal Guardasigilli Di Matteo ha anche individuato alcuni punti condivisibili, come lo stop alle "porte girevoli" tra magistratura e politica, ma anche la "separazione nel Csm tra sezione disciplinare e importanti commissioni (incarichi direttivi e trasferimenti per incompatibilità). E il ritorno al concorso aperto a tutti i laureati, per non penalizzare giovani brillanti ma senza una famiglia benestante alle spalle".
Ma ha anche puntato il dito contro quell'articolo volto a "colpire i consiglieri del Csm". "Che senso ha colpire i consiglieri del Csm per il ruolo svolto, a prescindere se hanno agito con dignità ed onore, così come previsto dall'art.54? Una regola che vieterebbe al consigliere del Csm di concorrere a incarichi direttivi o semi direttivi per 4 anni, quando magari ha un'età o un'esperienza consolidata anche all'interno del Csm, per poter svolgere certi incarichi". Secondo il consigliere togato vi sarà un effetto "disincentivo a candidature di colleghi autorevoli, per non vedersi pregiudicata la carriera. Finiranno per candidarsi al Csm solo magistrati inesperti o a fine carriera che non avranno più alcuna aspirazione".
Altri punti di vista
Nella diversità dei punti di vista espressi dai vari relatori sicuramente di interesse quelli del Gip di Palermo Piergiorgio Morosini. "Dopo la pubblicazione delle intercettazioni nell'inchiesta Palamara nulla sarà più come prima. Bisogna ripartire con una visione di rottura rispetto a cose che sono accadute, soprattutto negli ultimi 13/14 anni. Non nascondiamoci dietro un dito - ha detto con forza - In questi ultimi 18 mesi il tema dell'indipendenza della magistratura è stato esaminato soprattutto dall'angolo prospettico del cellulare di un magistrato che è sottoposto a una indagine". "Credo che questa operazione proponga molte insidie - ha proseguito - non voglio certo sottrarmi all'importanza delle intercettazioni e delle chat. Credo che l'informazione ha il dovere di pubblicare tutto perché non c'è dubbio che il notevole interesse per la collettività di questa inchiesta è sotto gli occhi di tutti". Per Morosini è necessario "tenere conto sempre di quello che sta emergendo da quei documenti. Ma le forme in cui viene proposta questa inchiesta dell'informazione è importante. Perché nel modo di raccontare questa storia, tramite le intercettazioni, c'è il rischio di travolgere il contributo di serietà e di lealtà di migliaia di Pm e di giudici che sono lontani anni luce da certi traffici, certi salotti e dalla grammatica di certi messaggi. C'è il rischio che l'opinione pubblica pensi che sia tutto marcio una sfiducia diffusa nell'autorità giudiziaria che avrebbe un prezzo. Ci sarebbe una pericolosa espansione di una giustizia 'alternativa'".
Il giudice palermitano ha anche evidenziato come "dalle chat dell'inchiesta Palamara si notano in modo nitido anche i trattamenti che venivano riservati a chi era dissenziente rispetto a certe manovre e le conseguenze per coloro che dissentivano sono chiare in queste pubblicazioni, cioè l'isolamento o l'ostacolare ogni aspirazione professionale".
Tuttavia, di fronte all'interesse per il caso Palamara ha auspicato la pubblicazione di "tutte le intercettazioni", perché "non c'è dubbio che il notevole interesse per la collettività di questa inchiesta è sotto gli occhi di tutti. E la trasparenza è il miglior disinfettante".
Inoltre ha parlato delle future riforme: "Io non darei un 'bonus' superiore di 8, al massimo 10 anni, per esercitare le funzioni direttive della magistratura. Per evitare il carrierismo che ci ha riconsegnato un modello di magistratura che è precostituzionale".
Sulla riforma del Csm è intervenuto anche il Gip Giuliano Castiglia evidenziando come il sorteggio dei candidati per il Csm "non è assolutamente un metodo antidemocratico, è falso. Il sorteggio è il più democratico dei sistemi di selezione dei rappresentanti dell'organo di autogoverno. Il sorteggio non è soltanto contenitivo di un rischio. Contrariamente a quanto sostengono gli oppositori del sorteggio, non è affatto umiliante per i magistrati ma esalta i valori costituzionali degli stessi magistrati".
Foto © ACFB
Di Matteo: ''Più ombre che luci nella riforma della Giustizia''
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- Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari