di Giorgio Bongiovanni
La bestia stragista di Brancaccio, Giuseppe Graviano, in un memoriale di 54 pagine inviato alla Corte d'Assise di Reggio Calabria, torna a sputare veleno ed intorbidire le acque nella ricerca della verità. E' questa l'ultima mossa del capomafia di Palermo che dal 41 bis lancia i suoi messaggi verso l'esterno.
Ha allontanato da sé ogni accusa a lui rivolta dai collaboratori di giustizia, fino a professarsi innocente di ogni reato di cui è stato accusato dichiarando, di fatto, di voler puntare alla revisione dei propri processi.
Già durante il processo aveva manifestato i propri nervosismi rispetto alle domande del pm Giuseppe Lombardo fino ad arrivare agli scatti d'ira nei confronti dell'avvocato Antonio Ingroia. E lo ha fatto quando gli sono state rivolte domande sulle stragi, gli eventuali mandanti e sulle trattative.
Tanto in aula, quanto nel memoriale, abbiamo assistito all'evoluzione del capomafia che, udienza dopo udienza, ha perso la propria loquacità fino a sprofondare nuovamente nel proprio silenzio.
Forse anche a causa di qualche messaggio lanciato andato a buon fine?
Il boss stragista sanguinario, assassino di bambini (su tutti basti ricordare Nadia e Caterina Nencioni, di nove anni ed appena 50 giorni di vita che hanno perso la vita in via dei Georgofili nel maggio 1993 o anche il piccolo Giuseppe Di Matteo), ritenuto responsabile delle stragi del '92 e di quelle in Continente, ed anche mandante dell'omicidio di Padre Pino Puglisi non dice nulla sul punto. Diversamente, da buon capomafia, sceglie di macchiare la verità inventandosi storie, raccontando bugie perverse e dialogando con quel "qualcuno" di cui non fa mai il nome.
Attacca collaboratori di giustizia come Totuccio Contorno, Gaetano Grado e Gaspare Spatuzza, inviando un chiaro messaggio per una pronta eliminazione; salva pezzi di apparati professando l'innocenza di soggetti come Giovanni Aiello (anche noto come "Faccia da Mostro") ex poliziotto accusato di essere un killer al servizio dei clan; salva Marcello Dell'Utri dichiarando di non averlo mai conosciuto ed anzi inserendolo, come ha fatto in aula, nella lista dei soggetti che sono stati "traditi" da Berlusconi.
Di fronte alla giustizia ogni boss che si rispetti sa che deve mentire, anche nella maniera più spudorata. E che se proprio deve parlare allora è sempre meglio generare confusione, intorbidendo le acque e utilizzando il "vero" ed il "falso" in una strana alchimia che, a conti fatti, compromette la verità.
Le sentenze già ci parlano dei rapporti di Berlusconi con la mafia. E' scritto nella sentenza Dell'Utri, condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, pagava la mafia. I giudici della Corte di Cassazione definiscono l’ex senatore come il garante “decisivo” dell’accordo tra Berlusconi e Cosa nostra e affermano che “la sistematicità nell’erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell’Utri a Gaetano Cinà sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all’accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”. Inoltre, per la Suprema corte, Dell’Utri garantì “la continuità dei pagamenti di Silvio Berlusconi in favore degli esponenti dell’associazione mafiosa, in cambio della complessiva protezione da questa accordata all’imprenditore”.
Dunque non c'è qualcosa di nuovo quando Graviano parla dei rapporti economici tra l'ex Premier e il Principe di Villagrazia, Stefano Bontade. Ed è verosimile che anche la sua famiglia abbia partecipato, al tempo, a certi affari di cui hanno parlato i collaboratori di giustizia. Ma mente quando parla della natura dei suoi incontri tra il 1993 ed il 1994. Quelli erano gli anni delle bombe e delle stragi. Ed erano anche gli anni della trattativa Stato-Mafia. A Palermo, la Corte d'Assise del Processo trattativa Stato-Mafia afferma nelle motivazioni della sentenza che quei rapporti tra l'ex senatore ed il clan sono proseguiti anche negli anni successivi, proprio grazie al legame con il capomafia di Brancaccio. Anche se siamo solo al primo grado di giudizio ci sono degli elementi che raccontano questi fatti. E Gaspare Spatuzza, ritenuto attendibile da svariate procure e tribunali, ha raccontato dell'incontro con Graviano in cui il capomafia gli disse che "finalmente" avevano raggiunto un accordo facendoli il nome di Berlusconi e aggiungendo che in mezzo c’era anche il "compaesano Dell’Utri" e che "grazie a loro c’eravamo messi il Paese nelle mani”.
Ci sono poi le intercettazioni in carcere, registrate tra il 2016 ed il 2017 nell'ambito dell'inchiesta Stato-mafia, che sono inequivocabili. Perché è lì che Graviano manifesta tutta la propria rabbia: "Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta ... alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso... e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente". "Ti ho portato benessere, - è uno degli sfoghi - 24 anni fa mi arrestano e tu cominci a pugnalarmi". "Al Signor Crasto (cornuto, ndr) gli faccio fare la mala vecchiaia", continuava Graviano. "Sa che io non parlo - aggiungeva - perché sa il mio carattere e sa le mie capacità... pezzo di crasto che non sei altro, ma vagli a dire com'è che sei al governo, che hai fatto cose vergognose, ingiuste".
Proprio il carcere è uno di quei punti che Giuseppe Graviano non riesce ad accettare, convinto che il patto, nei suoi riguardi, sia stato tradito.
Ma la storia ci dice che i patti di quella ignobile e vergognosa trattativa sono stati mantenuti dal momento che Bernardo Provenzano ha visto proseguire la propria latitanza per altri dieci anni; che Cosa nostra, la 'Ndrangheta e le altre mafie continuano a proliferare; che Matteo Messina Denaro è a tutt'oggi latitante; che le leggi su pentiti e carcere duro hanno visto una serie di "svuotamenti" di principio rispetto alla loro originaria essenza.
Graviano non accetta di essere l'agnello sacrificale, ma al contempo tenta di lanciare all'esterno un ultimo messaggio. E tra i destinatari anche il suo alter-ego, Matteo Messina Denaro, che come il boss di Brancaccio è depositario di segreti indicibili.
Non dimentichiamo un collaboratore come Giovanni Brusca che, al processo contro Matteo Messina Denaro per le stragi del '92, ha detto le parole dette da Riina nel dicembre 1992, ovvero che qualora gli fosse successo qualcosa "i picciotti Matteo Messina Denaro e Giuseppe Graviano sapevano tutto".
E in quel tutto non potevano esserci solo i piani per le stragi, ma anche quella strategia politica "gattopardesca" (così come l'ha chiamata il procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo nella sua requisitoria al processo 'Ndrangheta stragista), da una parte per "mantenere gli equilibri di potere inalterato" e dall'altra per trovare nuovi referenti politici, capaci di offrire nuove garanzie.
Ed è così, come raccontano decine e decine di collaboratori di giustizia, che pian piano vennero abbandonati i progetti separatisti per virare "pesantemente" su Forza Italia.
E' un fatto noto che Graviano venne arrestato il 27 gennaio 1994. Esattamente il giorno dopo che Berlusconi aveva ufficializzato la sua discesa in campo con Forza Italia. Graviano potrà anche farsi le domande sul perché, ma se vuole davvero rimettere tutto a posto, riabbracciare la propria famiglia da "uomo libero" ha una sola scelta da fare. Tagli il cordone ombelicale con la mafia, parli con i magistrati, collabori veramente con la giustizia, anziché scrivere farneticanti memoriali. Ieri è arrivata l’ennesima condanna all’ergastolo, giudicato come mandante degli attentati contro i carabinieri avvenuti tra il ’93 ed il ’94 in Calabria. La Corte d’assise di Reggio Calabria ha inviato alla Procura le trascrizioni dei verbali d’udienza in cui Graviano ha reso esame ed anche la sua memoria. Quindi è facile pensare che sarà nuovamente sentito dall’autorità giudiziaria. Potrebbe essere la sua ultima occasione per fare il salto, dicendo tutto quello che sa sulle menti perverse che comandano dentro e fuori Cosa nostra, all'interno di quel sistema criminale integrato che condiziona la nostra democrazia.

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