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di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
Il Presidente delle Camere Penali, Caiazzo, attacca il pm Nino Di Matteo

Continua ad allungarsi la lista di boss, gregari, padrini, killer e criminali che, in questo momento di emergenza sanitaria mondiale, stanno ottenendo gli arresti domiciliari presentando istanze a Gup, Gip, Tribunali di Sorveglianza e Presidenti delle Corti dove si celebrano i processi a loro carico. All'elenco va aggiunto il broker della droga Francesco Ventrici, 48 anni, di San Calogero, nel Vibonese, condannato in via definitiva ad oltre 20 anni di reclusione per narcotraffico internazionale di stupefacenti. Si tratta di uno dei maggiori importatori di cocaina dal Sud America in tutta Europa ed in particolare nel porto di Gioia Tauro, come tale coinvolto e condannato quale principale imputato (insieme al narcotrafficante Vincenzo Barbieri, ucciso a San Calogero nel 2011) nella storica operazione "Decollo" del gennaio 2004 della Dda di Catanzaro.
Da quanto si apprende a deciderlo è stato il magistrato di sorveglianza del carcere di Reggio Calabria, in caso di contagio da coronavirus, Ventrici sarebbe a rischio vita e quindi, allo stato, incompatibile con il regime carcerario. Da qui è stato disposto, in via provvisoria, il differimento dell'esecuzione della pena nelle forme della detenzione domiciliare nel bolognese, dove Ventrici (difeso dagli avvocati Giovanni Vecchio e Mirna Raschi) aveva spostato la sua residenza da San Calogero (Vv) una volta scontata la condanna per l'operazione "Decollo".
I due legali avevano segnalato le precarie condizioni di salute, ovvero una comorbidità "complessa che affligge il detenuto - affetto da plurime patologie croniche tra cui talune che colpiscono l'apparato respiratorio - che avrebbero, nell'ipotesi di contagio da Covid-19, messo in serio rischio la vita dello stesso".
Ventrici, nel corso degli anni è stato tratto in arresto anche per altre operazioni delle Dda di Bologna e Catanzaro, sempre per narcotraffico internazionale di cocaina. Adesso, però, uscirà dal carcere.

La speranza di Cutolo
Una speranza che hanno anche altri capimafia. Sempre di ieri è la notizia che anche il boss fondatore della Nuova camorra organizzata, detenuto in regime di 41 bis, Raffaele Cutolo, ha chiesto di scontare la sua condanna agli arresti domiciliari. Il suo legale, l'avvocato Gaetano Aufiero, ha presentato l'istanza al Tribunale di Sorveglianza di Reggio Emilia, anche sulla base della circolare emessa dal Dap il 21 marzo scorso nel quale si chiede alle strutture penitenziarie di monitorare le condizioni di salute dei detenuti ultra settantenni, con eventuale segnalazione dei casi più particolari ai magistrati di Sorveglianza.
Oggi Cutolo ha 78 anni, gli ultimi quaranta trascorsi in galera per scontare i quattro ergastoli ai quali è stato condannato. Il 19 febbraio scorso le condizioni di salute del boss si erano improvvisamente aggravate ed era stato trasferito in ospedale. Il 9 marzo, però, era stato dimesso ed era tornato in carcere.
Se il magistrato di Sorveglianza accoglierà la richiesta sarebbe questo il secondo caso di detenuto al carcere duro che potrà tornare a casa grazie al Covid-19.

di matteo nino c imagoeconomica 1314205

Il Consigliere togato indipendente del Csm, Nino Di Matteo © Imagoeconomica


La polemica
Il primo, infatti, è stato pochi giorni fa il boss palermitano Francesco Bonura.
Sul provvedimento si è scatenato un vero e proprio dibattito politico e giuridico.
Da una parte il Pd e il Movimento 5 stelle che hanno chiesto la convocazione della commissione parlamentare Antimafia (il Presidente Nicola Morra ha già dichiarato che si occuperanno del caso), mentre l’opposizione - guidata dalla Lega di Matteo Salvini - ha approfittato dell’occasione per attaccare il governo insinuando che la scarcerazione di Bonura sia legata ai provvedimenti speciali contenuti dal decreto Cura Italia.
Un dato falso, in quanto il provvedimento del Governo riguarda i detenuti in esecuzione di pena ma esclude in maniera chiara chi è sottoposto al 41 bis o è condannato per reati gravi.
Inoltre è intervenuto anche lo stesso Tribunale di Sorveglianza, con una nota, in cui si afferma che il provvedimento di scarcerazione di Bonura (che potrà tornare nella sua abitazione a Palermo, ndr) è stato adottato “secondo la normativa ordinaria applicabile a tutti i detenuti, anche condannati per reati gravissimi, a tutela dei diritti costituzionali alla salute e all’umanità della pena”. Il boss di Cosa nostra, continua la nota dei giudici, era “affetto da gravissime patologie” e gli rimanevano da scontare 11 mesi, 8 con la liberazione anticipata.
Infatti, scrive il magistrato che "in considerazione dell’età avanzata del soggetto e della presenza di importanti problematiche di salute, con particolare riguardo alle patologie di natura oncologica e cardiaca, vi siano nell’attualità i presupposti per il differimento facoltativo dell’esecuzione della pena”.
Sulla base di queste informazioni c'è stato, dunque, chi ha puntualizzato che il Coronavirus non ha a che fare con il provvedimento del giudice.
Peccato che in un altro passaggio si cita lo stato di emergenza che sta attraversando il Paese a causa dell'epidemia del Covid-19: "Anche tenuto conto dell’attuale emergenza sanitaria e del correlato rischio di contagio, indubitamente più elevato in un ambiente ad alta densità di popolazione come il carcere, che espone a conseguenze particolarmente gravi i soggetti anziani e affetti da serie patologie pregresse".
E ancora: "Siffatta situazione facoltizza questo magistrato a provvedere con urgenza al differimento dell’esecuzione pena".
Dunque affermare che nella valutazione del giudice l'emergenza Coronavirus ha avuto un peso non è una considerazione errata.
La scarcerazione di uno dei colonnelli di Provenzano, che si aggiunge a quelle di altri capimafia, ha suscitato l'indignazione di familiari vittime di mafia, associazioni ed anche magistrati autorevoli. Tra questi anche il Consigliere togato del Csm Nino Di Matteo, tra i primi a denunciare il rischio che eventuali scarcerazioni potessero essere lette come un "segnale di cedimento dello Stato di fronte al ricatto delle organizzazioni criminali che si è concretizzato con le violenze e le proteste delle settimane scorse nelle carceri di tutta Italia". Un allarme che veniva lanciato già prima del caso Bonura e che è stato ribadito nei giorni scorsi sul programma condotto da Peter Gomez, "Sono le Venti", andato in onda su canale Nove.
Come al solito c'è stato chi ha gridato allo scandalo, a cominciare dal presidente dell'Unione camere penali Gian Domenico Caiazza che accusa Di Matteo di aver attaccato direttamente i giudici di Sorveglianza di Milano ("Il vero scandalo è il silenzio calato sulle parole del dott. Di Matteo, membro del Csm, che liquida lo scrupoloso lavoro dei suoi colleghi milanesi come cedimento dello Stato al ricatto mafioso delle rivolte carcerarie, senza che nessuno abbia nulla da dire"). Un modo, in realtà, per difendere l'intervento di un membro laico del Csm, Alessio Lanzi (storico avvocato della Fininvest e oggi consigliere laico di Forza Italia, ndr), che aveva attaccato le inchieste dei magistrati sulle Rsa in Lombardia, cercando di equiparare le espressioni da lui usate con quelle di Di Matteo ("C’è un attacco strumentale al modello politico di centro destra della Regione Lombardia, alimentato da un’inchiesta giudiziaria spettacolarizzata… Ma a Milano mi pare che si siano già imbastiti processi di piazza”).
A ben vedere però, il magistrato palermitano non ha mai puntato il dito contro i giudici del Tribunale di sorveglianza ma inserito il discorso nell'ambito di una valutazione più ampia che parte dall'episodio: "La scarcerazione di capi mafia importanti detenuti al 41 bis è un segnale tremendo che rischia di apparire come un cedimento dello Stato di fronte al ricatto delle organizzazioni criminali che si è concretizzato con le violenze e le proteste delle settimane scorse nelle carceri di tutta Italia. Non vorrei che questo Paese stesse dimenticando definitivamente la stagione delle bombe, della lunga stagione della trattativa Stato-Mafia che corse parallelamente a quegli attentati del 1992 e 1993 e a quello per fortuna fallito all'Olimpico nei confronti dei carabinieri nel gennaio 1994. Le scarcerazioni già decretate spero non costituiscano l'inizio di una lunga teoria di altre scarcerazioni di capi mafia ergastolani che sono stati condannati. La violenza, il ricatto, la pressione delle mafie nei confronti del Paese sono un problema attuale che non può essere considerato di secondo piano rispetto ad altri problemi, nemmeno in un momento di gravissima emergenza nazionale come quello che stiamo vivendo per il Coronavirus”.
Alla luce della storia della mafia, fatta di bombe, stragi, soprusi e sovvertimento della Costituzione, come dargli torto?

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