di Giorgio Bongiovanni
Nei giorni scorsi la Procura di Catanzaro ha dato luogo ad una maxi operazione seconda, per numero di arresti, solo al famoso blitz di San Michele quando nella notte tra il 28 ed il 29 settembre 1984, quando a Palermo vennero spiccati dall'Ufficio Istruzione guidato da Antonino Caponnetto ed il pool di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello, 366 ordini di custodia cautelare da eseguire la mattina dopo. Un lavoro encomiabile quello svolto dalla Procura guidata da Nicola Gratteri, che non ha solo colpito il potente clan Mancuso con l'arresto di 334 persone (260 in carcere, 70 ai domiciliari e 4 divieti di dimora), in Italia e all'estero, ma ha anche messo in evidenza una serie di rapporti diretti della 'Ndrangheta con alti livelli della massoneria e della politica.
E puntualmente, come è sempre accaduto ogni qual volta la magistratura seria ha alzato il tiro delle indagini, andando oltre alla semplice manovalanza criminale, ecco che il "potere", con i suoi "vassalli", "valvassori" e "valvassini", è intervenuto in prima persona sminuendo la forza dell'inchiesta.
Non è bastato il "boicottaggio" che la grande stampa, così come ha sottolineato lo stesso Gratteri, ha riservato all'operazione nel giorno successivo.
La nuova operazione prevede di paventare il "fallimento" dell'intera inchiesta, ancor prima che vi sia un processo e nonostante un giudice abbia già vagliato le prove ritenendole sufficienti per emettere l'ordine di custodia. Lo si fa sfruttando gli interventi di magistrati come il Procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini che ha parlato di "evanescenze" ed "ombre lunatiche" solo perché non erano stati avvisati dell'operazione.
E di seguito è partito quel leitmotiv già visto e sentito quando ad agire fu la Procura di Palermo con l'inchiesta sulla trattativa Stato-mafia.
Firme e giornali sono sempre le stesse: da Vittorio Sgarbi a quella Linea Sottile che, tra una parola e l'altra, ha sempre un pensiero contro il magistrato Nino Di Matteo, il suo lavoro, le Agende Rosse, la Scorta civica, e il processo Stato-mafia, definito ancora una volta una "boiata pazzesca" nonostante le condanne in primo grado dell'aprile 2018.
Ma ad offendere l'intelligenza degli italiani onesti è l'aggressione vergognosa e continua che mercenari simili attuano nei confronti di magistrati in prima linea che rischiano la vita in ogni momento, come se vivere sotto scorta fosse un “privilegio”, e non una condizione di estrema difficoltà e di sacrificio che i giudici si trovano a vivere loro malgrado.
Per fortuna non sono molti a leggere certe nefandezze, considerato il numero di quattro lettori di un giornaletto che ha goduto e gode da anni del sovvenzionamento pubblico.
Nino Di Matteo, Nicola Gratteri, Giuseppe Lombardo e Roberto Scarpinato © Imagoeconomica
Anche il nostro giornale, con quasi duecentomila lettori che possono accedere al sito gratuitamente in cui raccontiamo processi ed inchieste scomode, non è simpatico a “vassalli”, “valvassori” e “valvassini”.
Come ha giustamente ricordato il nostro editorialista, Saverio Lodato "abbiamo il fondato sospetto, dubbio, cruccio o rovello - chiamatelo come vi pare -, che l’inchiesta della Procura di Catanzaro, con relativi 334 arresti, abbia abbondantemente rotto i coglioni a quel sistema di potere e istituzionale, squisitamente italico, che da tempo non si fa alcuna vergogna di andare a braccetto con mafie e corrotti e stragisti d’ogni tipo".
Rispetto a qualche anno fa notiamo una novità. Gli interventi del Csm, dell'Anm, di pezzi delle istituzioni, intervenuti proprio per difendere l'autonomia e l'indipendenza della magistratura ed il lavoro di Nicola Gratteri.
Così non avvenne quando ad essere al centro del mirino vi erano i membri del pool di Palermo, Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia. Contro di loro si scatenò lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che sollevò un conflitto di attribuzione senza precedenti per delle telefonate che erano già state abbondantemente definite dagli stessi magistrati come "prive di rilevanza penale".
Allora il silenzio assordante degli organi supremi della magistratura pesò enormemente, tanto quanto le parole di alti magistrati che intervennero a gamba tesa su un processo che era già iniziato e che, pian piano, stava svelando fatti e misfatti della nostra storia.
Basta leggere le motivazioni della sentenza della Corte d'assise presieduta da Alfredo Montalto per comprendere i motivi di un tale isolamento.
E non vorremmo che ora questa iniziale corsa alla solidarietà si spenga nel momento in cui anche Gratteri, o altri magistrati, arriveranno a toccare quel filo dell'alta tensione in cui passano gli affari sporchi, i patti e le connessioni tra le mafie ed il potere politico, imprenditoriale, finanziario, massonico e le sporche trattative ancora in corso.
Quegli stessi applausi a scena aperta che accolsero Falcone e Borsellino finché si occuparono della bassa manovalanza, ma che si tramutarono immediatamente in attacchi e delegittimazioni quando iniziarono a parlare di "gioco grande", delle "menti raffinatissime" e delle grandi saldature tra la mafia ed il potere, fino ad essere abbandonati al loro tragico destino.
Il nastro della storia, purtroppo, non si può riavvolgere e modificare. Ma da essa, che è maestra di vita, si può sicuramente imparare per non commettere nuovi errori. Il sostegno a magistrati come Nicola Gratteri, Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Giuseppe Lombardo, Sebastiano Ardita (per citarne alcuni), che hanno il coraggio di smascherare il Sistema criminale che interagisce in maniera sempre più integrata, non può e non deve mancare e non può essere una luce che si accende ad intermittenza.
La speranza è che le alte autorità della magistratura e della politica lo capiscano prima che sia troppo tardi.
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