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di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
La notizia è grave e non può lasciare inermi. L'Ucis (Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale) ha recentemente abbassato il livello di protezione, portandolo dal secondo al terzo (passano così da due auto blindate con tre agenti a una macchina con uno o due uomini), nei confronti di due magistrati consulenti della Commissione Parlamentare antimafia: Roberto Tartaglia e Marisa Manzini. Due magistrati a lungo in prima linea e che solo da qualche mese hanno "prestato" le proprie competenze e professionalità al servizio dell'organo di Palazzo San Macuto. Una scelta che, come riportato questa mattina da ilfattoquotidiano.it, sarebbe stata motivata con la valutazione che i due pm, lavorando a Roma, sarebbero meno esposti ai rischi rispetto a Palermo e Cosenza, ovvero le città dove lavoravano prima di arrivare nella Capitale.
Un assioma assurdo che segue di pari passo le valutazioni degli analisti effettuate su altri casi come quello della scorta tolta all'avvocato Antonio Ingroia o di recente quella revocata alla testimone di giustizia Valeria Grasso. Come se a Roma le mafie (Cosa nostra, 'Ndrangheta, Camorra e Sacra Corona Unita) non potessero colpire nemici ed avversari. Ovviamente i casi sono differenti tra loro e nello specifico, per quanto concerne i magistrati, non si parla di revoca della tutela ma l'abbassamento del livello di protezione resta un fatto di gravissima rilevanza, specie se si considera la storia degli stessi pm.
Tartaglia, nei dieci anni in cui ha lavorato a Palermo, è stato impegnato in importanti inchieste su Cosa nostra (ha seguito le indagini sui clan di San Lorenzo e Brancaccio e la maxi inchiesta Apocalisse, che ha portato all’arresto di quasi cento mafiosi) ma è stato anche impegnato in indagini delicatissime come quella sulla trattativa Stato-mafia (importante il contributo di Tartaglia per ricostruire il ruolo e i legami di alcuni imputati con gli ambienti eversivi dell’estrema destra dagli anni ’70 in poi), quella sull’omicidio di Piersanti Mattarella, ex presidente della Sicilia e fratello dell’attuale capo dello Stato, o l’omicidio del poliziotto Nino Agostino, ucciso in circostanze mai chiarite insieme alla moglie incinta, Ida.
Non può essere dimenticato che proprio durante le indagini sul processo Stato-mafia, vi fu una misteriosa irruzione nell'appartamento dello stesso Tartaglia, con conseguente sparizione della sua “pen drive” contenente appunti sulla trattativa e del materiale raccolto dai magistrati, appena il giorno prima dell'intrusione, dagli archivi del Aise (agenzia di informazioni per la sicurezza militare) a Roma.
Non meno gravi le minacce subite da Marisa Manzini, ex procuratore aggiunto a Cosenza, che si era occupata d’indagini sulla ‘ndrangheta ed in particolare sul boss di Limbadi Pantaleone Mancuso.
Nel 2016, infatti, durante il processo Black money, proprio Mancuso si scagliò in aula contro la pm: "Fai silenzio ca parrasti (hai parlato, ndr) assai". Per quelle frasi il padrino è finito sotto processo a Salerno con l’accusa di oltraggio a magistrato in pubblica udienza.
Un procedimento che si è aperto lo scorso 31 ottobre. Nel processo è emersa l'esistenza di una intercettazione in carcere, in cui Mancuso esprimeva ai propri familiari un astio profondo nei confronti di "una donna" che per gli inquirenti sarebbe la dottoressa Manzini. La circostanza sarebbe contenuta in una informativa di pg trasmessa alla Procura nel 2018. Eppure, dal 16 ottobre scorso il magistrato gira con una scorta depotenziata rispetto al passato.
Sul caso della Manzini il segretario della Commissione parlamentare antimafia Wanda Ferro (Fratelli d'Italia) le scorse settimane aveva già annunciato di voler presentare un’interrogazione al ministro dell’Interno. Ugualmente andrebbe presentata per capire i motivi che hanno portato ad un depotenziamento della scorta a Roberto Tartaglia. Ugualmente allarmante è il dato, sempre riportato da Il Fatto Quotidiano, che cita fonti interne a palazzo San Macuto, per cui anche il Presidente della Commissione antimafia ha un livello di scorta sostanzialmente basso (il quarto che prevede un'auto non blindata ed un agente) rispetto i suoi predecessori. Oltremodo, l'innalzamento dal quarto al terzo livello non comporta alcun tipo di spesa aggiuntiva a carico dello Stato. Tanti piccoli elementi che, messi insieme, possono ritenersi assolutamente preoccupanti, specie se si considera che questa Commissione antimafia ha istituito gruppi di lavoro su temi delicati come la Trattativa Stato-mafia, il Sistema Montante, la massoneria, le mafie straniere, il caporalato, le infiltrazioni nell'economia legale, nella sanità, ed altro ancora.
A nostro modo di vedere, in un mondo che vive di segnali, abbassare la guardia sul tema delle scorte è già un messaggio chiaro ed è il segno che lo Stato è disposto a sacrificare i suoi servitori.
E a chi sostiene che oggi la mafia non adotta più strategie stragiste ricordiamo le parole del magistrato Antonino Di Matteo, intervenuto qualche tempo addietro in televisione al programma di Lucia Annunziata, "Mezz'ora in più". "La storia di Cosa nostra insegna che hanno cambiato strategia a seconda dei momenti. Ci sono momenti in cui preferiscono tenere un profilo basso sotto il profilo del mancato attacco alle istituzioni. Ma sono sempre pronti a riorganizzarsi se è vero, non aspetta a me dirlo, che solo 4-5 anni fa era stato predisposto un attentato in confronti di un magistrato in servizio a Palermo. Che era stato già comprato l'esplosivo per poter realizzare questo attentato, allora non è del tutto vero che la mafia ha abbandonato per sempre la strategia stragista". In quell'occasione Di Matteo, oggi componente togato del Csm, non aveva volutamente fatto il proprio nome ed era stata la stessa Annunziata a ricordare che erano stati comprati duecento chili di tritolo per ucciderlo e che a condannarlo a morte, dal carcere, era stato il Capo dei capi, Totò Riina.
Le mafie non dimenticano. Gli analisti de l'Ucis, le Prefetture italiane, gli organi competenti, le istituzioni tutte dovrebbero tenere bene a mente questo dato prima di prendere certe decisioni. E il Governo, che si proclama come serio ed in prima linea nel contrasto contro mafie e corruzioni, di fronte a certi gravi episodi dovrebbe intervenire concretamente. Tempo fa avevamo sollevato il dubbio che a questo governo la lotta alla mafia interessasse poco. Di fronte all'immobilismo sulla sicurezza dei propri servitori, però, i dubbi rischiano di diventare sempre più certezze.

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