di Giorgio Bongiovanni
Inascoltato l'allarme lanciato dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo già sulle pagine di questo giornale e recentemente nell'intervista di Alessia Candito pubblicata su "Il Venerdì" di Repubblica.
“Le mafie sono una minaccia molto seria per il sistema economico mondiale - ha detto rispondendo alle domande della giornalista -. Avendo enormi capitali da investire, le grandi mafie, la ‘Ndrangheta in particolare, sono protagoniste di importanti movimentazioni finanziarie, generano meccanismi pericolosissimi che tendono ad alterare gli equilibri del mercato”.
E poi ancora ha aggiunto che “la ‘Ndrangheta è un enorme contropotere privato, la cui vera forza è legata alla possibilità di interfacciarsi con altre strutture criminali. Questo vuol dire che fa parte di un sistema più articolato ed evoluto, nel cui ambito la condivisione delle strategie contribuisce a individuare i settori in cui investire ed operare. Va impedito che le mafie portino avanti la loro strisciante e silenziosa funzione di stabilità sociale, avvalendosi del sostegno dei tanti che si avvantaggiano del grande impegno di capitali sporchi”.
Questi elementi, chiari ed evidenti, ci inducono ad una riflessione che guarda anche a quel che è accaduto in Messico dove, nei giorni scorsi, si è verificato un gravissimo massacro compiuto in maniera sanguinaria dai narcos messicani in una città tra gli Stati di Sonora e Chihuahua che ha fatto il giro del mondo. Il bilancio è di tre donne e sei bambini uccisi, di età variabile da sei mesi ai 14 anni, bruciati nelle loro auto in fiamme, un minore scomparso e diversi feriti. Una strage arrivata poche settimane dopo la guerra scatenata dal cartello di Culiacan per salvare Ovidio Guzman, il figlio del Chapo, boss del Cartello di Sinaloa, condannato all'ergastolo in Usa, arrestato dalla polizia messicana ed infine liberato su decisione del governo per evitare una guerra interna.
Si calcola che nell'ultimo anno, in Messico, la criminalità organizzata ha causato 35.964 omicidi, un numero aumentato del 9,6% rispetto allo stesso periodo del 2018. Numeri che dimostrano la ferocia di queste organizzazioni criminali ma anche come la produzione ed il traffico di droga, che viene realizzato tanto in questi luoghi quanto in Sud America, rappresenta il business più importante.
E la cosa terribile è che, nonostante l'allarme lanciato da magistrati come Giuseppe Lombardo, Nicola Gratteri, Antonino Di Matteo, Roberto Scarpinato (per citarne alcuni), non solo i cittadini ma anche i vertici delle nostre istituzioni non sembrano voler cogliere il nesso profondo che c'è tra certi fatti, apparentemente lontani, e che invece ci riguardano da vicino.
Le relazioni di analisti ed investigatori oggi raccontano di un'attività florida tra la "nostra" 'Ndrangheta ed i narcotrafficanti del Centro e del Sud America con accordi che hanno portato la criminalità organizzata calabrese ad assumere un ruolo primario nell'ambito dei traffici verso l'Europa, ma anche verso Oriente.
La lotta alle mafie deve essere guardata in un'altra prospettiva di fronte ad una riorganizzazione del potere criminale che, così come ha ricordato Giuseppe Lombardo in un'intervista alla nostra testata, ragiona e si sviluppa in un "sistema integrato".
Il procuratore aggiunto di Reggio Calabria © Imagoeconomica
Perché è riduttivo, oggi, guardare singolarmente a 'Ndrangheta, Cosa nostra, Camorra e Sacra Corona Unita.
Un collaboratore di giustizia di primo livello come Leonardo Messina, uno degli ultimi che assieme a Gaspare Mutolo fu interrogato da Paolo Borsellino e che oggi misteriosamente sembra introvabile, aveva parlato da tempo dell'esistenza di una Commissione mondiale della criminalità organizzata. Non solo. Disse anche che al vertice vi era Cosa nostra, con Totò Riina come massimo rappresentante.
Il Sistema criminale integrato, così come gli altri sistemi di potere, dimostra di sapersi adattare di fronte ai cambiamenti.
Dopo le stragi è un dato di fatto che Cosa nostra ha subito colpi durissimi con gli arresti di importanti capimafia. Al contempo vi è stata l'ascesa, nel campo del traffico internazionale di stupefacenti, da parte della 'Ndrangheta, capace anche di intessere relazioni di altissimo livello con pezzi deviati della massoneria e dell'imprenditoria.
Così, pur rimanendo "sorella maggiore" con rapporti di altissima levatura anche in ambito politico-economico, è plausibile che Cosa nostra abbia in qualche maniera passato il testimone alla 'Ndrangheta nel coordinamento di questo potere che si sviluppa a livello mondiale.
Per questo motivo quel che accade dall'altro lato dell'Oceano non può e non deve essere ignorato dai leader del nostro Paese.
Ciò che indigna e fa rabbia è che nessuno considera quelle vittime dei narcos come le nostre vittime.
Eppure quei "cartelli" messicani, colombiani, ecuadoriani (e così via), così violenti e privi di ogni scrupolo, sono fornitori e partner favoriti delle nostre mafie nel traffico di stupefacenti. E' la 'Ndrangheta che permette loro di entrare nel "gioco grande" del business mondiale. I narcos acquisiscono potenza proprio grazie a quella relazione con la potente mafia italiana che acquista centinaia di tonnellate di droga pagando in contanti e dimostrando un'affidabilità perdurante nel tempo.
Per un certo verso, dunque, le nostre mafie sono complici di quei gravissimi delitti che si consumano nei vari Stati e che trovano complicità gravi con pezzi della politica, della finanza e dell'economia.
E di fronte a tutto questo il nostro Stato che fa?
La magistratura, le forze dell'ordine sono continuamente impegnate nel contrasto al traffico di stupefacenti. E chi si occupa di certi temi sa che, qualora fossero quotate in borsa, le organizzazioni criminali raggiungerebbero i 1680 miliardi di euro, mentre tutte le società italiane valgono insieme "appena" 558 miliardi. Ciò vuol dire che se la mafia le acquistasse tutte, le avanzerebbero ancora 1092 miliardi da investire. Potrebbe comprarsi tutta la Borsa di Milano, con un avanzo di 500 miliardi di euro.
Nonostante questi dati, però, i governi che si sono fin qui alternati nel corso degli anni non hanno mai messo il contrasto alla mafia ai primi posti dell'agenda politica, come se si parlasse di criminalità comune. Anche l'attuale governo l'ha inserita solo al tredicesimo posto. Non si capisce il motivo per cui, se si esclude qualche parlamentare che lavora in Commissione antimafia o in Commissione giustizia, dove in qualche modo si cerca di fare qualcosa per affrontare il problema, anche da parte di questo governo giallorosso non si manifesta la giusta attenzione. Nella migliore delle ipotesi si è di fronte ad una sottovalutazione del fenomeno. Nella peggiore, leggendo i numeri sopracitati, sorge l'atroce dubbio che anche l'Italia sia un narcostato.
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