di Giorgio Bongiovanni - Foto
Tanti gli argomenti toccati nella tavola rotonda con i pm della Dna
Tra relazioni e tavole rotonde il primo "Seminario antimafia italo-argentino", che si tiene a Buenos Aires, sta andando verso la sua conclusione. Giorni utili per riflettere ed approfondire il tema del contrastro alle mafie, sempre più internazionali ed integrate, partendo proprio dall'esperienza italiana che vede l'esistenza del fenomeno da oltre centosessant'anni. Proprio il Procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero de Raho, ha evidenziato l'importanza di questo dibattito, ponendo l'accento sul tema della corruzione politica ed economica, confermando come la stessa sia "uno dei principali problemi che deve affrontare l'amministrazione pubblica". Auspicando la realizzazione di leggi chiare e trasparenti il magistrato ha anche sottolineato come "siano essenziali l'indipendenza giudiziaria e la libertà di stampa senza restrizioni. La libertà di stampa ha a che fare con il diritto all'informazione, che non è un diritto del giornalista ma del cittadino". Un diritto fondamentale che deve valere tanto in Italia quanto nel resto del mondo. Oltre all'intervento del sostituto procuratore nazionale antimafia, Nino Di Matteo (di cui ieri abbiamo riportato la trascrizione integrale) altrettanto importanti ed interessanti sono stati quelli dei sostituti procuratori nazionali Elisabetta Pugliese, Michele Del Prete e Cesare Sirignano.
La prima è intervenuta relazionando sulla legislazione antimafia e nella giornata conclusiva odierna affronterà il tema della cooperazione internazionale inquadrando la necessità di squadre investigative comuni. Un passaggio sempre più necessario di fronte ad un fenomeno criminale mafioso "transnazionale".
Michele Del Prete ha fornito ai colleghi argentini i dettagli sullo strumento delle misure di prevenzione e confisca dei beni che diventa "fondamentale per aggredire le organizzazioni criminali". Ma c'è stato anche modo di parlare delle criticità che riguardano ed hanno riguardato la gestione dei beni stessi. Oggi il magistrato Del Prete affronterà un altro capitolo delicato come quello del traffico di stupefacenti mentre Cesare Sirignano parlerà delle "operazioni sospette". Quest'ultimo ieri ha relazionato sul sistema penitenziario italiano ed in particolare sul tema dell'articolo 41 bis. "Il regime - ha ricordato ai presenti dopo aver spiegato la sua origine - è applicato secondo le particolarità del detenuto, con l'obiettivo di interrompere definitivamente il suo legame con l'organizzazione criminale". Sirignano ha anche parlato dell'importanza fondamentale che rivestono i testimoni ed i collaboratori di giustizia.
Successivamente ha avuto luogo una vera e propria tavola rotonda a cui hanno anche partecipato l'ex Procuratore nazionale antimafia ed oggi membro della Commissione antimafia, Pietro Grasso, e la senatrice Pd Laura Garavini, anch'essa membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali.
Proprio Grasso ha parlato del ruolo strategico dei collaboratori di giustizia nelle indagini: "Sono indispensabili per scoprire i delitti dall'interno e permettono di abbattere il mito del silenzio complice". Inoltre ha denunciato il dato che "i collaboratori, non appena parlano della mafia, va tutto bene, ma quando menzionano la corruzione dei politici, di loro si dice che distorcono il processo investigativo". Un segno di come questo strumento sia mal accettato da certi sistemi di potere. Grasso ha anche parlato dei rischi che si corrono quando si è di fronte ad una "vulnerabilità economica ed istituzionale". "In queste situazioni, ed è grave, la mafia - ha detto l'ex Presidente del Senato - non è solo un'organizzazione criminale ma, a suo modo, diventa anche datore di lavoro, un ammortizzatore sociale ed anche uno strumento di accumulazione capitalistica ed un investitore in attività produttive legali. A modo suo diventata un fattore di sviluppo economico. Ed è triste ammetterlo. Se si considera che da un dato momento l'accumulazione di denaro con traffici vari di droga poi porta ad investimenti sul piano legale, trasformando quei capitali da maledetti a benedetti, di fronte ad un capitalismo ed un'imprenditoria che non rifiuta questo denaro, ecco che si spiega perché le mafie adoperino in contesti di vulnerabilità economica ed istituzionale e non vengono mai debellate definitivamente".
https://www.antimafiaduemila.com/rubriche/giorgio-bongiovanni/73946-riciclaggio-misure-di-prevenzione-e-legislazione-antimafia.html#sigProId1656e67af1
Anche il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo ha spiegato con tanto di esempi il nuovo rapporto che si è creato tra la mafia e l'imprenditoria ("Prima gli imprenditori erano vittime che subivano le pressioni della mafia. Oggi sono gli imprenditori che vanno alla ricerca dei mafiosi"). Nella sua riflessione ha però anche ricordato come, rispetto agli argomenti fin qui trattati nel seminario (dalle leggi sui pentiti, al sequestro di beni, fino al 41 bis), "proprio la mafia abbia concepito un attacco allo Stato tra il 1992 ed il 1993 con ben sette stragi. Con quelle azioni loro avevano individuato i punti nevralgici scabrosi dell'azione dello Stato. Normative che pesavano su di loro al punto di concepire un ricatto allo Stato. E questo dato è evidenziato anche in sentenze definitive. Per questo diventa importante trasmettere quella che è stata la nostra esperienza perché queste normative sono il cuore di un sistema che possono far paura a tutte le mafie".
Di Matteo ha anche lanciato un appello alla senatrice Gravini affinché vi sia un impegno da parte di tutte le forze politiche, ma anche della società, affinché non si demandi sempre alla sola magistratura il compito di prendere provvedimenti di fronte a certi comportamenti che vanno anche oltre alla responsabilità penale eventuale di certi soggetti. "Vi possono essere dei comportamenti che, pur non essendo rilevanti penalmente, assumono un grandissimo valore - ha ricordato il magistrato - Pensiamo alla semplice passeggiata di un candidato sindaco assieme ad un boss mafioso. In quel momento non sta commettendo un reato ma con quel gesto sta comunque lanciando un messaggio. E la politica, le istituzioni, le associazioni di categoria, hanno le capacità di poter intervenire senza attendere la sentenza di condanna o assoluzione".
La senatrice Garavini ha anche risposto ad una nostra domanda precisa e circostanziata. Partendo dal presupposto che la legislazione antimafia italiana sia la migliore in tema di contrasto alla criminalità organizzata e che anche la storia che il nostro Paese ha tragicamente avuto, con tanti martiri caduti (magistrati, forze dell'ordine, giornalisti ma anche semplici cittadini) ha portato il Paese ad avere comunque una conoscenza maggiore del fenomeno, abbiamo chiesto quale consiglio si può offrire alle istituzioni estere, come quella argentina, per far sì che la politica stessa non commetta errori come quelli commessi nel nostro Paese dove, senza scandalo, sono stati candidati ed eletti soggetti che hanno avuto rapporti con la mafia; figure come il sette volte Presidente del consiglio Giulio Andreotti, o come l'ex Presidente della regione Sicilia Totò Cuffaro (tra i leader in Sicilia dell’Udc, partito del senatore Pier Ferdinando Casini, presente al seminario), o l'ex senatore Marcello Dell'Utri, condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, in via definitiva, ed oggi anche per attentato a corpo politico dello Stato, seppur in primo grado. La prima risposta "politichese" della senatrice non ci ha pienamente soddisfatti e dimostra come l'argomento del rapporto mafia-politica sia comunque scabroso e di difficile trattazione ("Un politico deve ben guardarsi dal dare consigli ad altri colleghi e il fatto che il Parlamento argentino in questo consesso ha voluto organizzare un evento come questo portando all'attenzione certi temi parla da solo, con la scelta saggia di portare anche l'eccellenza della magistratura italiana ed una piccola parte di espressione politica"). Tuttavia vogliamo anche cogliere la speranza che sia veramente mantenuto quel "grande senso di responsabilità della politica e della classe dirigente", di cui ha parlato la senatrice, "nella scelta di candidati ed esponenti delle istituzioni e dei partiti affinché non vi siano soggetti legati alla mafia". Fino ad oggi, dobbiamo dirlo, una promessa in troppe occasioni mancata.
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