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borsellino paolo 850 eff c shobhaNon delegittimate il pm Di Matteo
di Giorgio Bongiovanni
Il fatto del giorno, alla vigilia dell'anniversario della strage di via d'Amelio, è che la Commissione regionale antimafia, presieduta da Claudio Fava, ha voluto ascoltare la figlia del giudice, Fiammetta Borsellino, nella prima di una serie di audizioni che verranno effettuate per approfondire i fatti di quello che nelle motivazioni del processo Borsellino quater è stato definito "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana". A 26 anni di distanza concordiamo che sono numerosi gli interrogativi, molti anche inquietanti, che non hanno ancora una risposta su quanto avvenne in quel tragico 1992 e la pretesa di verità e giustizia deve essere portata avanti con forza e decisione. Dopo l'audizione, però, siamo rimasti esterrefatti nell'apprendere che Fiammetta Borsellino, parlando ai commissari, ha detto che per l’esigenza della sua famiglia di conoscere la verità, è stato di grande importanza il lavoro degli avvocati Pino Scozzola e Rosalba Di Gregorio, che difendevano alcuni degli ergastolani ingiustamente condannati in base alle dichiarazioni di Scarantino che si erano costituiti parte civile. Sarebbero dunque loro i "consulenti" a cui i figli di Paolo Borsellino, assassinato dalla mafia, si rivolgono nella ricerca della verità; due avvocati che annoverano tra le loro difese anche quelle di soggetti che sono stati fautori delle stragi di Capaci e di via d'Amelio, di attentati e delitti efferati? L'avvocato Di Gregorio non è solo il difensore di una delle vittime delle bugie del falso pentito Vincenzo Scarantino (Gaetano Murana, ndr) ma è già stata legale del boss corleonese Bernardo Provenzano ed anche del boss di Santa Maria del Gesù, Pietro Aglieri, entrambi membri della Cupola di Cosa nostra e condannati a vari ergastoli in via definitiva, anche per la strage di via d'Amelio.
Giuseppe Scozzola, invece, al processo Borsellino quater assisteva come parte civile Gaetano Scotto (anche lui in passato condannato per la strage di via d'Amelio, poi assolto con il processo di revisione). Gaetano Scotto è una figura ambigua, un boss dell'Acquasanta, oggi in libertà, che i pentiti indicano come il trait d'union fra i vertici di Cosa nostra e ambienti dei servizi segreti deviati e figura tra gli indagati per il tragico e misterioso omicidio di Antonino Agostino e la moglie Ida avvenuto il 5 agosto del 1989. Non c'è nulla da dire sulla legittimità professionale degli avvocati nell'esercizio della loro professione. Ed è indubbio che all'epoca dei primi processi per la strage di via d'Amelio la stessa Di Gregorio insieme ad altri suoi colleghi avevano contestato duramente la versione "ufficiale" di Vincenzo Scarantino. Ma è chiaro che certe cose suscitano in noi più di un interrogativo nei confronti della scelta dei figli di Borsellino. Possibile che 26 anni dopo accada una cosa del genere? Possibile che tutto diventi legittimo fino a giustificare una scelta che appare contraddittoria proprio alla luce di quelle responsabilità che certi soggetti hanno avuto in seno a Cosa nostra, oltre che sulla strage di via d'Amelio? Possibile che nessuno, tra gli intellettuali e il mondo della stampa, si interroghi o ponga le proprie perplessità?
E' ovvio che il dolore va rispettato e la rabbia è legittima per chi ha perso un familiare in quel modo così sconvolgente e tragico senza ricevere risposte adeguate su quanto avvenuto. Ma, seguendo la logica dell'etica, così c'è il rischio di entrare in un meccanismo perverso per cui, anziché spingere la magistratura, gli investigatori, la politica, lo Stato a cercare i complici degli assassini che hanno sventrato i palazzi di via d'Amelio e massacrato Borsellino e gli agenti della scorta, si cerca di punire quei magistrati, come Nino Di Matteo, che in questi anni di attività ha sempre cercato la verità sui mandanti esterni delle stragi e sulla sporca trattativa tra la mafia e lo Stato.
Di Matteo, oggi sostituto procuratore nazionale antimafia, si occupò solo marginalmente delle indagini poi scaturite nel “Borsellino bis” (dove entrò a dibattimento già avviato, ndr). Diversamente istruì dal principio le indagini sul “Borsellino ter”, il troncone dedicato all’accertamento delle responsabilità interne ed esterne a Cosa Nostra, che ha portato alla condanna di tutti i capi della Commissione provinciale e regionale.
Di Matteo è quel magistrato che, assieme al collega Luca Tescaroli, negli anni successivi condusse delicatissime indagini su Bruno Contrada, per concorso in strage, e per chiarire se l'ex numero 2 del Sisde fosse stato presente in via d'Amelio in quel giorno.
Un'ipotesi che fu scandagliata incriminando l’allora funzionario di Polizia Roberto Di Legami che avrebbe rivelato quell’informazione a due suoi colleghi: Umberto Sinico e Raffaele Del Sole, al tempo in forza al ROS. A far emergere l’intera vicenda era stato il tenente dei Carabinieri Carmelo Canale, stretto collaboratore di Paolo Borsellino, processato e poi prosciolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Tuttavia la ricostruzione fornita da tutti questi ufficiali non è mai combaciata e “tra non ricordo”, ritrattazioni e smentite si è messa una pietra tombale sulla questione. Bruno Contrada ha sempre sostenuto di aver appreso della strage (circa un minuto dopo l’esplosione secondo i tabulati) mentre si trovava in mare aperto a bordo dell’imbarcazione dell’amico Gianni Valentino che ha sempre confermato il suo racconto.
La presunta confidenza di Di Legami a Sinico raccontava anche di una relazione di servizio che attestava la presenza di Contrada in via D’Amelio, andata però distrutta.
E poi ancora Di Matteo e Tescaroli hanno indagato su "Alfa e Beta" (ovvero Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri) come mandanti esterni delle stragi, sulle dichiarazioni del pentito Salvatore Cancemi. Un'inchiesta archiviata, fino ad oggi, ma che potrebbe avere nuovi sviluppi alla luce delle nuove conoscenze acquisite in questi 26 anni, anche grazie a quegli elementi emersi nel corso del processo trattativa Stato-mafia che è stato condotto proprio da Di Matteo assieme ai pm Teresi, Del Bene e Tartaglia.
Da queste azioni si evince chiaramente che Di Matteo non ha nulla a che vedere con il depistaggio sulla strage di via d'Amelio anche se basterebbero le spiegazioni che lo stesso sostituto procuratore nazionale antimafia ha fornito proprio al Borsellino quater e davanti alla Commissione parlamentare antimafia.
Bisogna essere consapevoli dei fatti ed anche per questo la scelta odierna dei figli dei Borsellino di affidarsi a certe figure nella ricerca della verità mi lascia sconcertato e confuso.
E lo sono anche alla luce delle dichiarazioni che fece un collaboratore di giustizia, Salvatore Cancemi. Lo stesso Cancemi che oggi viene presentato come il principale pentito che sbugiardò sin dal principio Vincenzo Scarantino.
Il 13 gennaio 1995 quei “faccia a faccia” avevano indubbiamente rivelato l’inconsistenza della caratura mafiosa del picciotto della Guadagna. “Tu sei un bugiardo - aveva detto Cancemi a Scarantino - chi è che ti ha detto questa lezione? Chi te l’ha fatta questa lezione? Dicci la verità, devi dire la verità, ma chi ti conosce, ma chi sei? Ma questa lezione chi te l’ha fatta?” (…) “Queste parole gliele hanno messe in bocca, gli hanno fatto una lezione e ora la sta ripetendo”. Osservazioni decisamente profetiche, quelle di Cancemi. Ma al "Borsellino ter" l'ex boss di Porta Nuova rilasciò sconcertanti dichiarazioni: mentre si trovava in tribunale a Palermo, un giorno, l’avvocato Rosalba Di Gregorio gli aveva confidato di aver saputo che c’era un grosso corleonese latitante – Provenzano, secondo il pentito – in contatto con i servizi segreti.
La stessa Di Gregorio ha poi smentito l'accaduto. Ma dato che Cancemi ha detto la verità su Scarantino perché non ci si interroga anche sul fatto che Cancemi possa aver detto la verità sulla Di Gregorio? Alla luce di questi fatti chi è che tutela veramente la ricerca della verità?
Non ci si rende conto che è seguendo questa metodologia, puntando il dito senza distinguere le eventuali responsabilità di ognuno, che si delegittimano anche quei magistrati che hanno combattuto per la ricerca della verità. Sicuramente ci sono state delle responsabilità degli investigatori e sullo sfondo si intravedono responsabilità anche all'interno della magistratura (a cominciare dall'anomala richiesta del Procuratore capo Tinebra fatta a Contrada affinché il Sisde indagasse sull'attentato di via d'Amelio) ma non si possono mettere tutti dentro lo stesso calderone. Per questo il Csm dovrebbe aprire un fascicolo a tutela del lavoro e della professione per chi, come il pm Di Matteo, non ha nulla a che vedere con il depistaggio ed invece ha dato un contributo fondamentale nella ricerca della verità sulle stragi. Altrimenti si dimostrerebbe che la storia di Falcone e Borsellino non ha insegnato nulla ed ancora una volta assisteremo a quello schema perverso che porta alla persecuzione, alla delegittimazione, all'isolamento del magistrato. Come se, ventisei anni dopo, non fosse accaduto nulla.

Foto © Shobha

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