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Il ministro Bonafede che risponde?
di Giorgio Bongiovanni

Sono giorni frenetici per il ministro della giustizia, Alfonso Bonafede. Ieri sera le agenzie hanno battuto l'elenco dei nomi che vorrebbe al suo fianco a completamento del suo staff in via Arenula. Così apprendiamo che ha chiesto altri sette collocamenti fuori ruolo di magistrati a cui intende affidare incarichi di vertice al ministero. Tra questi Mauro Vitiello, sostituto Pg in Cassazione, come Capo dell'Ufficio legislativo; Andrea Nocera, attualmente al Massimario della Suprema Corte, a capo dell'Ispettorato; Giuseppe Corasaniti, sostituto procuratore generale in Cassazione, come Capo Affari Giustizia e come suo vice Marco Nassi, sostituto procuratore a Grosseto. Poi ancora nel ruolo di vice capo dell'Ispettorato il ministro vorrebbe Liborio Fazzi, giudice a Palmi e a Capo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) Francesco Basentini, attuale procuratore aggiunto a Potenza, e come vice Lina Di Domenico, magistrato di sorveglianza a Novara. Tutte richieste che sono state presentate al Csm (dovrà esprimersi la Terza Commissione e successivamente il plenum). Senza nulla togliere ai singoli non possiamo non notare come tra queste figure proposte non risulta il nome del sostituto Procuratore nazionale antimafia Antonino Di Matteo anche se "rumors" di fine maggio, primi di giugno, lo indicavano tra i membri della squadra del ministro in un ruolo al Dag (Dipartimento per gli affari della giustizia), Dap o addirittura sottosegretario. Cosa può aver portato ad una scelta differente?
ANTIMAFIAduemila è venuta a conoscenza di un fatto che potrebbe dare una risposta. Le scorse settimane agenti del Gruppo Operativo Mobile (GOM), reparto mobile del Corpo di Polizia Penitenziaria, hanno inviato una relazione di servizio alquanto sconcertante riguardo alcune dichiarazioni di detenuti ergastolani mafiosi, detenuti al regime 41 bis, che tra loro commentavano proprio le indiscrezioni sulle nomine ai ministeri del nascente governo leghista-pentastellato. A quanto pare quei mafiosi, rispetto alla possibile nomina di Di Matteo al Dap, avrebbero manifestato tutta la loro preoccupazione in maniera netta: "Se viene questo Nino Di Matteo siamo consumati, per noi è finita". Sarebbero queste le parole captate dagli agenti, poi trasmesse anche all'autorità giudiziaria. Inoltre si riproponevano di fare qualcosa per manifestare la propria contrarietà, con proteste o scioperi. Prassi vuole che quel che avviene all'interno delle carceri viene anche trasmesso al ministro della Giustizia, proprio perché il Dap è alle sue dirette dipendenze. Ed è qui che sorgono dubbi e domande.
Perché il ministro Bonafede non ha proposto a capo di quell'ufficio il pm Di Matteo? Non ha ritenuto, forse, che nominandolo avrebbe dato un segnale forte e duro contro quella stessa mafia che con quelle parole dimostrava di temere l'eventuale operato del magistrato? Perché ha scelto diversamente, puntando su un'altra figura? Cosa fa il ministro del "governo del cambiamento" tanto annunciato dal premier Conte? Davvero possiamo definirlo così?
Il contrasto alle mafie e alle criminalità organizzate è fatto anche di segnali concreti e non solo sui "cori da stadio", in Senato, al grido "fuori la mafia dallo Stato". Quelle parole appaiono più come un segnale "folkloristico" mentre la battaglia si fa con atti di governo, anche avvalendosi di figure come Di Matteo, specie se si ha la prova che queste sono avverse ai boss (inutile ricordare che tra i detenuti al 41 bis ci sono anche gli stragisti). Questi sono i segnali di un vero cambiamento. Altrimenti, tanto per parafrasare la battuta del noto film "Gli Intoccabili", non sono altro che "chiacchiere e distintivo".

Foto © Imagoeconomica

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