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di Giorgio Bongiovanni
Non è una bella notizia la riabilitazione di Silvio Berlusconi, che su decisione dei giudici del Tribunale di Sorveglianza di Milano torna ad essere nuovamente candidabile. Un verdetto pronunciato proprio nei giorni in cui l’intesa M5S-Lega è ormai in stato d’avanzamento. Sembra, infatti, che già dalla prossima settimana vedremo le prime mosse di un governo firmato da Di Maio e Salvini, una coalizione che, ad oggi, pare tutt’altro che chiarificatrice: come scrive Saverio Lodato, resta appunto il “mistero fitto” sulla sua composizione, dal nome del futuro premier in giù.
Ci sono però alcune questioni che, a “trattativa” ancora in corso, Di Maio dovrebbe tenere a mente sul suo interlocutore. E, ancor di più, riferire ai cittadini italiani, soprattutto a quel 32% che l’ha votato.
Il leader M5S è tenuto a ribadire, prima di tutto, se nell’agenda di governo resta ai primi punti la lotta alla mafia e alla corruzione. Precisiamo: non prima alla corruzione e poi alla mafia. E non si tratta di un gioco di parole, perché mafia significa 150 miliardi di euro di “fatturato” annuo, ricavato di ogni sorta di crimine, a partire dal traffico di droga. Significa stragi e mandanti esterni in combutta con i mafiosi, significa trattative tra lo Stato e la mafia, appalti, racket, e così via. Mafia è questo e molto altro. Ed è anchecorruzione, l’effetto di ciò che sta a monte (sempre la mafia) che ha il potere di stringere accordi tanto con il criminale quanto con il funzionario che abbassa la testa di fronte alla mazzetta. E, se la mafia è la causa, è questa la prima a dover essere debellata, per veder venire meno i suoi effetti.
Dica, Di Maio, al popolo italiano, se il prossimo governo intende ancora dare vita ad una seria e competente Commissione parlamentare antimafia - perché noi, nella Lega, di papabili presidenti di commissione non ne vediamo granché - che finalmente scandagli a fondo il capitolo dei mandanti esterni alle stragi, e gli scenari politici intercorsi nel passaggio da una Repubblica all’altra. O, ancora, se il futuro governo intende contrastare il traffico internazionale di droga, dove la ‘Ndrangheta detiene il monopolio del traffico di cocaina nel mondo occidentale, e dare solidi strumenti investigativi per una migliore conduzione delle indagini.
Abbiamo bisogno di sentirci confermare questi punti, sui quali Di Maio sa che la Lega, tuttora legata a doppio filo (o col ricatto?) con Berlusconi, storcerà il naso. Ne è passato di tempo - correva l’anno 1998 - da quando La Padania, giornale della Lega Nord, titolava “Berlusconi sei un mafioso? Rispondi!” ponendo all’uomo di Milano 2 dieci domande sulla provenienza del suo patrimonio e sui suoi contatti mafiosi.
Come e perché la Lega è passata dal considerare Berlusconi un imprenditore quantomeno sospetto al suo primo alleato politico? Quali spiegazioni avrà dato l’ex Cavaliere - che oggi parla di astensione “benevola” al futuro governo con i pentastellati - al partito fondato da Bossi? Nel tempo, poi, saranno accertati i contatti Berlusconi-Cosa nostra per tramite di Marcello Dell’Utri - condannato per concorso esterno in associazione mafiosa - che fu il garante “decisivo” dal 1974 al 1992. Inoltre, ricordava la sentenza di Cassazione per il braccio destro di Berlusconi, “la sistematicità nell'erogazione delle cospicue somme di denaro da Marcello Dell'Utri a Cinà (Gaetano Cinà, boss mafioso, ndr) sono indicative della ferma volontà di Berlusconi di dare attuazione all'accordo al di là dei mutamenti degli assetti di vertice di Cosa nostra”. Un accordo che non è stato mai denunciato dall’ex Cavaliere.
Tornando alla nascita della Lega, ci permettiamo di ricordare a Di Maio le dichiarazioni del pentito Leonardo Messina - contenute nell’inchiesta sui Sistemi Criminali, ma anche emerse al processo trattativa Stato-mafia - su un “crescente interesse di Cosa Nostra nei confronti del movimento leghista”. Fu l’uomo d’onore Borino Miccichè, si legge nelle carte, a spiegare a Messina “che la Lega Nord, e all’interno di essa non tanto Bossi, che era un ‘pupo’, quanto il senatore Miglio, era l’espressione di una parte della Democrazia Cristiana e della Massoneria che faceva capo all’On. Andreotti e a Licio Gelli. Il Miccichè spiegò ancora che dopo la Lega del Nord sarebbe nata una Lega del Sud, in maniera tale da non apparire espressione di Cosa Nostra, ma in effetti al servizio di Cosa Nostra; ed in questo modo ‘noi saremmo divenuti Stato’”. Dichiarazioni alle quali si aggiungono quelle dell’altro collaboratore, Giovanni Brusca, che racconta di aver saputo dallo stesso Riina che tra i soggetti che nel tempo avevano mostrato interesse a dialogare con Cosa nostra c’era anche Umberto Bossi. “Ma in quel momento Riina non mostrò interesse”, indicando però che quantomeno ci sarebbe stata un’apertura nei confronti degli ambienti di Cosa nostra. Il pentito Tullio Cannella, da parte sua, riferisce più di una volta di una riunione a Lamezia Terme “alla quale partecipai personalmente tra esponenti di ‘Sicilia Libera’ e di altri movimenti leghisti o separatisti meridionali, riunione alla quale erano presenti anche diversi esponenti della Lega Nord”.
E non possiamo dimenticare, in questo excursus storico, le dichiarazioni di Pietro Lunardi che, nel 2001, affermava candidamente che “con mafia e camorra bisogna convivere”.
Quanto di questa storia conoscono Di Maio e i suoi consiglieri della Commissione parlamentare antimafia? Alla luce di questi elementi il leader pentastellato prenderà comunque le distanze da un certo modo di intendere la lotta alla mafia? Porterà avanti delle leggi incisive sul contrasto alla criminalità organizzata, alla corruzione, all’evasione fiscale? Oppure l’astensione “benevola” di Berlusconi (garantita in cambio di cosa?) si tradurrà in un sistematico boicottaggio di qualsiasi misura miri davvero a recidere i rapporti tra mafia, politica ed imprenditoria?

Foto © Imagoeconomica

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