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di Giorgio Bongiovanni
Che quella del processo trattativa Stato-mafia sia una sentenza “storica” non ci sarebbe neanche bisogno di ripeterlo, talmente la pronuncia del giudice Alfredo Montalto (giudice a latere Stefania Brambille, insieme ai giudici popolari) abbia tracciato una sorta di spartiacque, condannando per lo stesso reato i boss di Cosa nostra Bagarella e Cinà (non i capi Riina e Provenzano, perché deceduti) insieme ad alti funzionari di Stato, gli ufficiali del Ros (Mori, Subranni, De Donno) e i politici (Dell’Utri).

Questo, però, non può essere che l’inizio di un percorso di ricerca della verità che avalla quanto già “teorizzato” da addetti ai lavori di tutto rispetto. Parliamo di un “Principe” che da sempre si serve delle organizzazioni criminali nostrane per fare politica a colpi di delitti eccellenti, per dirla con le parole di Roberto Scarpinato nel volume scritto a quattro mani con Saverio Lodato (Il ritorno del Principe, Chiarelettere). O di una mafia-braccio armato dello Stato, quando l’allora procuratore di Palermo Pietro Grasso (sperando non abbia cambiato idea) riferiva al coautore Saverio Lodato che “Cosa Nostra, molto spesso, è stata lo Stato. E ha sempre avuto la tendenza ad avere uomini delle istituzioni che potessero via via farla partecipare al sistema di potere” (La mafia invisibile, Mondadori).
La mafia, insomma, nei suoi 150 anni di vita non è mai stata sola. E la sentenza di Palermo è un ulteriore tassello che, senza mezzi termini, stabilisce che “trattativa ci fu”. Nonostante le condanne dei singoli imputati debbano ancora passare al vaglio dei due successivi gradi di giudizio, da qui si può ripartire per raccogliere ulteriori piste che portino dritte ai mandanti esterni delle stragi. Un lavoro che è già nelle mani delle procure competenti - Caltanissetta per le stragi del ’92, Firenze per quelle del ’93, Palermo per il filone “bis” sulla trattativa - che deve avvalersi del coordinamento della Procura nazionale antimafia. Perché, per smascherare chi da dentro lo Stato volle e ordinò le stragi, di materiale dal quale partire per cercare ulteriori riscontri non manca.
Abbiamo le dichiarazioni di Giovanni Brusca su un contatto cercato con Dell’Utri e Berlusconi per tramite di Vittorio Mangano Insieme a quelle in cui il pentito accusa l’ex ministro Nicola Mancino (assolto per falsa testimonianza) di essere “l’ultimo destinatario del papello di Riina”.
Abbiamo la “tastata di polso” di Cosa nostra verso l’esterno, raccontata dal collaboratore Nino Giuffrè, per “sondare” la reazione rispetto al proposito di eliminare Falcone; una attività ricognitiva che aveva riguardato non solo le posizioni di ambienti imprenditoriali operanti in settori allora controllati da “Cosa Nostra”, ma anche una parte “occulta” e “deviata” del mondo massonico.
Abbiamo le dichiarazioni del pentito, ormai deceduto, Salvatore Cancemi: il primo, al processo Borsellino ter (pubblica accusa Nino Di Matteo e Anna Maria Palma) ad accusare Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri di avere contatti diretti con i vertici di Cosa Nostra.
Abbiamo Gaspare Spatuzza, considerato anche dai procuratori più moderati il collaboratore dei collaboratori, la cui garanzia di affidabilità è stata certificata da tutte le procure che l’hanno ascoltato, e che ha fatto i nomi di chi, esterno a Cosa nostra, sarebbe coinvolto nella strategia stragista. Anche in questo caso, tornano i nomi di Berlusconi e Dell’Utri: “Graviano disse che con Berlusconi e Dell'Utri c'avevamo il Paese nelle mani”. E sono solo alcuni dei nomi di collaboratori di giustizia che hanno riferito del “capitolo” mandanti esterni.
Ancora, abbiamo le intercettazioni di Riina in carcere: le esternazioni di odio per i magistrati di ieri (Falcone, Borsellino, dalla Chiesa, Chinnici) e quelli di oggi (Di Matteo, “ti farei fare la fine del primo tonno”) tanto da ordinarne l’eliminazione: “Ed allora organizziamola questa cosa. Facciamola grossa e dico e non ne parliamo più”. Un ordine di morte che si sovrappone in maniera inquietante a quello - a parlarne è il pentito Vito Galatolo - emanato dalla “primula rossa” Matteo Messina Denaro. Il Capo dei capi, intercettato, si spinge persino a parlare, seppur per enigmi, di “trattativa”: “La cosa si fermò... tre-quattro mesi... ma non è che si è fermata... comunque il...(parole incomprensibili)... io l’appunto gliel’ho lasciato”. E se questo “appunto” fosse stato il “papello”? Parole sibilline, come quelle pronunciate di fronte agli agenti di polizia penitenziaria (“erano loro che cercavano me per trattare”).
Per concludere una lista che comprende solo alcuni tra gli spunti investigativi che occorre passare sotto la lente d’ingrandimento, abbiamo le parole dell’altro boss di Cosa nostra, Giuseppe Graviano: in carcere riferisce al compagno di ora d’aria Adinolfi di come “Berlusca mi ha chiesto una cortesia” mentre nelle dichiarazioni spontanee al processo ‘Ndrangheta stragista, oltre a spiegare che è grazie “ad alcuni siciliani” se in Italia non ci sono stati attentati terroristici di matrice estera, il capomafia chiede “di acquisire tutte le intercettazioni che ci sono state tra me e Adinolfi”.
Sono pezzi di un mosaico ben più ampio, che però arrivano dalla bocca di personaggi che, quegli alti livelli, li hanno vissuti, frequentati, a volte anche influenzati. E non è poco.
La sentenza di Palermo ci spinge dunque ad insistere con determinazione nella ricerca dei mandanti esterni alle stragi. Una richiesta alla quale, all’indomani delle condanne del trattativa Stato-mafia, non cessano di fare eco nemmeno i familiari di Paolo Borsellino - i figli insieme ai fratelli, Salvatore e Rita - i quali chiedono a gran voce di indagare a fondo per scoprire i nomi eccellenti di chi volle la morte del giudice. Così come chiede giustizia Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Gerogofili: “Aspettiamo che chi fino a ieri ha cercato mille scuse per non fare il proprio dovere, ora con indagini accurate proceda a rinvio a giudizio dei ‘concorrenti di Cosa nostra’ per la strage di via dei Georgofili e per le stragi del 1993”.
Ora è il momento di una presa di posizione per le forze dello Stato, quello vero. Cioè dalle forze politiche che andranno al governo e che per ora assicurano (a parole) che l’Italia cambierà in meglio, e presto.
Ora è il momento, a partire dal futuro ministro della giustizia e da quello degli interni, di conferire maggiori agevolazioni alle procure, soprattutto agli avamposti della lotta alla mafia ed allo Stato-mafia, affinché non restino schiacciati dalla scarsità numerica di magistrati a dispetto di centinaia di processi ordinari che inevitabilmente rallentano il filone dei mandanti esterni.
È il momento di creare una nuova Commissione parlamentare, che in un’ottica di supporto delle procure della Repubblica si dedichi alla ricerca di quei personaggi che con Cosa nostra condivisero gli obiettivi e le strategie. E, con uno sguardo più ampio, dare vita ad una Commissione parlamentare antimafia che riprenda le fila dei misteri insoluti di stragi e delitti eccellenti di matrice mafiosa consumati negli anni ’80 e ’90. Occorre che le forze dello Stato convergano le proprie energie per porre fine alla latitanza, finora protetta dalle alte sfere di potere, di Matteo Messina Denaro, papabile detentore di quei segreti di Riina e Provenzano che l’Italia deve conoscere.
Ora, per questo Paese, è il momento di avere un “pentito di Stato” che rompa il silenzio istituzionale e spieghi come e perché ci si è piegati alla trattativa con la mafia. Sul punto, la prima voce della lista vedrebbe un ulteriore approfondimento delle dichiarazioni di Claudio Martelli. L’ex ministro già in aula di tribunale ha detto che "non è la prima volta che si scambiano favori tra la mafia, associazioni tipo la P2, servizi deviati, massoneria deviata” e che "potrebbe esserci stato anche in questo caso", quando, cioè, il collaboratore dell'ex presidente Bettino Craxi "mi coinvolge nel Conto Protezione" intestato allo stesso Martelli e sul quale nel 1980-1981 il Psi ricevette sette milioni di dollari dal Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, finanziamento ottenuto proprio grazie a Gelli. Fatto per il quale Martelli riuscirà ad evitare la condanna versando dei cospicui risarcimenti che hanno garantito all'ex ministro socialista le “attenuanti prevalenti” indispensabili per far cadere in prescrizione il reato di concorso nella bancarotta fraudolenta dell'Ambrosiano. E ancora, tornando agli anni delle stragi, Martelli ha aggiunto: “Possiamo sicuramente essere certi che si è aperta una dialettica, bombe-concessioni, bombe-concessioni”, parlando, più che di trattativa, di un “cedimento unilaterale da parte dello Stato”. Parole che varrebbe la pena passare ancora una volta al setaccio, insieme a quelle dei testimoni che al processo trattativa si sono susseguiti in questi cinque anni.
Questi saranno i compiti del governo che si appresta ad essere formato: se non riporterà ai primi posti della sua agenda la lotta alle mafie, alla corruzione, e dunque una seria ricerca sui mandanti esterni alle stragi, altro che passaggio dalla seconda alla terza Repubblica. Semmai, saremo di fronte al solito, vecchio adagio gattopardesco: “tutto cambia perché nulla cambi”.

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