di Giorgio Bongiovanni
Le gravi inesattezze di un laico del Csm
Più volte Antimafia Duemila ha espresso la sua opinione in merito alla necessità di una riforma seria, e soprattutto logica, di cui il Consiglio superiore della magistratura dovrebbe avvalersi. Affinché ciò sia possibile, probabilmente, è necessario un nuovo governo, con volti finalmente diversi e puliti, capace di attuare quelle necessarie, seppur minime, riforme alla Costituzione. Tra le pochissime parti che andrebbero modificate vi è la composizione del Csm - attualmente formato da laici e togati - che dovrebbe essere composto solo da questi ultimi, escludendo dall'organo di autogoverno della magistratura i componenti laici (avvocati e politici). È infatti ormai sempre più evidente la necessità che politica e magistratura restino a debita distanza, pur facendo parte dello stesso sistema di divisione dei poteri che regge il nostro Paese. E qualora un togato volesse entrare in politica, ciò non è da escludere (in quanto diritto di ogni cittadino) ma, come conditio sine qua non, vanno presentate le dimissioni dalla magistratura per esercitare così il proprio potere politico, in caso di effettiva elezione. Non solo, qualora un magistrato voglia candidarsi ciò deve avvenire in una sede distante da quella in cui in precedenza ha esercitato il suo ruolo di magistrato. Aspettando la riforma ad oggi, all'interno del Csm, si continua a mentire e a perseverare nell'errore. È il caso delle recenti dichiarazioni del consigliere laico del Csm Pierantonio Zanettin (Forza Italia) che, dalle colonne del Dubbio, riferendosi alle dichiarazioni, a proposito della trattativa Stato-mafia, pronunciate dal sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia Nino Di Matteo alla festa del Fatto Quotidiano, si domanda: "Può un magistrato parlare di un suo processo attualmente ancora in corso?". Zanettin chiede dunque un intervento del Csm dichiarando: "Il procuratore generale della Cassazione, titolare dell'azione disciplinare e componente del Comitato di presidenza potrebbe attivarsi e decidere di svolgere accertamenti sulle esternazioni". "Il comitato di presidenza - aggiunge - potrebbe anche aprire una pratica in prima Commissione", argomentando che “visto che il suo nome (di Di Matteo, ndr) gira come ministro dell’Interno in caso di vittoria del M5S, pochi in questo momento hanno voglia di esporsi apertamente”. In realtà già da tempo il Csm si è “esposto apertamente”, quando si è trattato di mettere sotto inchiesta alcuni tra i migliori magistrati che lavorano a inchieste scottanti su mafia e collegamenti con altri apparati di potere. Alla berlina sono stati messi gli stessi magistrati che sono sotto il fuoco incrociato di minacce e condanne a morte da parte (solo?) delle organizzazioni criminali. Tra questi vanno ricordati il Procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato ed anche lo stesso Di Matteo, messo assurdamente sotto inchiesta disciplinare in seguito alle dichiarazioni rilasciate in un'intervista a “La Repubblica” in merito alle intercettazioni tra l'ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l'ex ministro Nicola Mancino. Secondo l’accusa il pm aveva rivelato l’esistenza delle telefonate intercettate tra l’ex ministro Nicola Mancino e il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, violando il dovere di riserbo a cui era tenuto. Una menzogna colossale riconosciuta dallo stesso Csm al momento dell'archiviazione del caso. Di fatto il magistrato aveva risposto alla giornalista senza rivelare alcun segreto relativo alle telefonate tra Mancino e Napolitano di cui peraltro era stato Panorama.it a parlarne per primo. Come non tener conto, poi, del silenzio del Consiglio superiore della magistratura nei confronti del pm di Palermo, al quale lo stesso Totò Riina si rivolge quando dice di volergli far fare “la fine del tonno?” Un silenzio durato per anni, prima che si decidesse a nominare il magistrato per uno dei posti vacanti alla Direzione nazionale antimafia. La stessa posizione per la quale, precedentemente, l'organo di autogoverno della magistratura gli preferì altri validi candidati, ma indubbiamente in possesso di carriere non di così alto rilievo nel campo del contrasto alla mafia.
E poiché le menzogne non vanno dette ai cittadini - specie se queste arrivano da una delle istituzioni supreme più sacre del nostro Paese - l'onestà, la sincerità e l'esser privo di condizionamenti deve assumere ancora più valore se si indossa una toga, anche da avvocato.