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Il falso assai più oscuro se mescolato ad un po’ di vero
In molti hanno sostenuto che il “depistaggio” era stato messo in atto per mettere al sicuro dalle proprie responsabilità la famiglia mafiosa di Brancaccio che, in seguito alle rivelazioni dei pentiti Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, vede invece un coinvolgimento diretto. Ecco però l’anomalia investigativa con Scarantino che nelle sue dichiarazioni ha anche riferito particolari poi confermati dallo stesso Spatuzza.
Il picciotto della Guadagna aveva dichiarato agli inquirenti che il mezzo era stato ricoverato per essere imbottito di esplosivo nella autocarrozzeria di tale Giuseppe Orofino. Al Borsellino (uno) Orofino, che aveva denunciato la sparizione delle targhe solo lunedì 20 luglio, era accusato di essersi procurato la disponibilità di queste e dei documenti di circolazione e assicurativi falsi che furono apposti sulla 126 per consentirne la sicura circolazione e la collocazione sul luogo della strage. Sarà il pentito di Brancaccio Gaspare Spatuzza, diversi anni dopo, a spiegare che in quell'officina andarono veramente a rubare le targhe di macchine che erano in riparazione e che tra queste vi era quella usata per metterla nella macchina dell'autobomba.
Come poteva Scarantino essere a conoscenza del luogo di provenienza della targa ritrovata in via d'Amelio? E del fatto che è stata rubata proprio una 126 per la bomba del 19 luglio ’92? Durante il dibattimento del Borsellino quater Scarantino ha raccontato ciò che avvenne durante il primo riconoscimento fotografico del luogo, il 29 giugno '94, davanti ai magistrati Petralia, Tinebra, Saieva e Boccassini. “Io non ho riconosciuto la carrozzeria, poi mi hanno fatto vedere le foto, dopo parlai con i magistrati, però se non vedevo le foto a loro non dicevo niente”.

scarpinato 610 dossier

Il pg Roberto Scarpinato


Può essere dunque la vicenda Orofino uno di quei frammenti di verità fatti dire al pentito per rendere “credibile” il suo racconto?  Lo stesso si può dire per quelle accuse fatte da Scarantino contro esponenti della famiglia di Brancaccio, come i fratelli Graviano, Renzino Tinnirello, Fifetto Cannella e Francesco Tagliavia.
Se è stato imboccato, guidato parola per parola, istruito ad imparare a memoria falsi elementi, chi gli ha suggerito quelli giusti? Scarantino ha raccontato che in diverse occasioni alla fine degli interrogatori ispettori e funzionari di polizia come Michele Ribaudo, Fabrizio Mattei e Mario Bo andavano a casa sua per fare il punto sulle contraddizioni che c'erano nelle sue dichiarazioni. E poi ancora ha puntato il dito contro il Capo della Mobile, Arnaldo La Barbera (“La Barbera mi chiede dove era stata fatta la riunione, io indicai Calascibetta. Così lui mi fa vedere l’album chiedendomi chi c’era a quella riunione. E io rispondevo. Come sono infame per uno sono infame per 20 e io li ho accusati. Queste persone erano nelle sue indagini e lui me lo faceva capire”).
Sentito come teste nel 2015 al processo Borsellino quater, il pm Di Matteo ha spiegato il criterio usato nella valutazione delle dichiarazioni di Scarantino da parte dei magistrati: “Noi credevamo che Scarantino fosse a conoscenza di alcuni segmenti dell'organizzazione materiale e della preparazione dell'attentato e che avesse detto la verità nei primi tre interrogatori, quelli precedenti al 6 settembre '94 dove si parla della riunione nella casa di Calascibetta. Pertanto nel 'Borsellino Bis' avevamo chiesto di non utilizzarlo quando non era riscontrato”. Per questo, aveva aggiunto, “Quando Scarantino parlava di Scotto, ricollegando quanto dichiarato dai parenti di Borsellino, ecco che le perplessità venivano superate. Vi erano elementi di convergenza delle prove”. E parlando di Arnaldo La Barbera, uno dei protagonisti del depistaggio, aveva detto: “Con l'ex questore non ho mai avuto rapporti. Quelle volte che lo vedevo la sera con la dottoressa Boccassini il La Barbera nemmeno salutava. Casomai aveva buoni rapporti con Tinebra, la Palma e Petralia”.


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