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arcangioli agenda rossa valigetta 500a cura di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo
“Già si cominciava a parlare della scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino. Lavoravamo al nostro archivio, volevamo catalogare le immagini più emblematiche delle stragi di mafia. Quella foto in realtà era una diapositiva, con le lenti d’ingrandimento passavamo in rassegna gli scatti di via D’Amelio prima di scansionare e conservarli in formato digitale. La nostra attenzione si fissò su quella borsa, invitammo alcuni colleghi a visionarla. Il responso fu unanime, poteva trattarsi della borsa di Borsellino. Non si fece in tempo a venderla (la foto, ndr), avevamo contatti con L’Espresso, Panorama e Repubblica per la cessione in esclusiva ma un collega giornalista ci tradì, la notizia uscì su Antimafia 2000 a firma di Lorenzo Baldo. Pochi giorni dopo bussarono alla porta dello studio gli uomini della Dia e sequestrarono la foto. Ci fu proibito persino di parlare del sequestro”. A parlare al Gazzettino di Sicilia è il fotografo Michele Naccari, collega di Franco Lannino (colui che materialmente ha scattato la foto che ritrae l’allora capitano dei Carabinieri Giovanni Arcangioli). Una precisazione: il primo lancio della notizia di quella fotografia non è uscito sul nostro giornale, bensì su l’Unità. La vicenda della scomparsa dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, che ci ha visto testimoni diretti per quanto riguarda il ritrovamento dell’immagine di Arcangioli, merita quindi di essere raccontata per intero. A futura memoria.

La foto ritrovata
«Esiste una foto dove si vede un ufficiale dei carabinieri che si allontana da via d'Amelio pochi minuti dopo lo scoppio della bomba reggendo la borsa di Paolo Borsellino». Per un attimo rimango in silenzio**. Ma poi torno alla carica. «E chi sarebbe questo carabiniere?». «Giovanni Arcangioli, nel '92 aveva il grado di capitano». Sono gli ultimi mesi del 2004 quando ricevo questa segnalazione da una persona decisamente attendibile che conosciamo da diversi anni. Gli chiedo altri dettagli. Voglio vederci chiaro. «La foto è custodita dal fotografo palermitano Franco Lannino». La conversazione finisce lì. Dopo una rapida consultazione in redazione telefono al funzionario della Dia di Caltanissetta Ferdinando Buceti. Il vice questore si occupa delle nuove indagini sui mandanti occulti nelle stragi del '92 sotto il coordinamento della procura nissena. Non mi interessa fare alcun tipo di “scoop” per Antimafia Duemila. La precedenza va all'autorità giudiziaria. Punto. Buceti prende nota per poter verificare gli elementi ricevuti. Nel frattempo mi accorgo che Giovanni Arcangioli è lo stesso ufficiale che nell'estate del 2004 ha freddato a Roma il serial killer Luciano Liboni, soprannominato «il lupo»***. Un osso duro, Arcangioli, che nel frattempo è diventato tenente colonnello. Successivamente il funzionario della Dia scopre da riscontri incrociati che il 19 luglio 1992 risulta confermata la presenza di Arcangioli in via d'Amelio. Ma è il secondo passo quello determinante. In una sorta di «irruzione» vera e propria cinque agenti della Dia piombano nello studio dal fotografo Franco Lannino. Devono visionare il suo archivio. Subito. La cartellina delle immagini della strage di via d'Amelio viene analizzata minuziosamente fotogramma per fotogramma. La foto del carabiniere che regge la valigetta di Borsellino esce fuori dall'album. E' stata scattata tra le 17,20 e le 17,30 del 19 luglio 1992. E' lui. E' Giovanni Arcangioli, all'epoca comandante della sezione Omicidi del Nucleo Operativo dei Carabinieri di Palermo. Il reperto fotografico viene acquisito immediatamente dall'autorità giudiziaria. E' la prova documentale della segnalazione giunta in redazione. La macchina investigativa ha acceso i suoi motori.

Inizia la maratona
E' l'alba del 27 gennaio 2005 quando parto per Roma. L'appuntamento è per le ore 11 agli uffici della Dia. La verbalizzazione ufficiale della nostra segnalazione sulla fotografia di Arcangioli è prevista per quella mattina. L'indicazione fornita telefonicamente poche settimane prima al dott. Buceti viene trascritta in un verbale che confluisce nel fascicolo sulla scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino. In quel momento l'opinione pubblica ignora ancora la notizia del ritrovamento della foto. Ma è solo questione di un paio di mesi. Il 26 marzo l'Unità pubblica un articolo a firma di Marzio Tristano. Il ritrovamento della foto del carabiniere con la valigetta di Paolo Borsellino diventa di dominio pubblico. Da un dispaccio Ansa del 19 maggio si scopre che Giovanni Arcangioli è stato interrogato un paio di settimane prima per una foto che lo ritrae con in mano la borsa del giudice Borsellino. Domenica 5 febbraio 2006 le agenzie diramano la notizia che la Dna ha segnalato alla procura di Caltanissetta l'esistenza di un vecchio verbale del 1998 di Giuseppe Ayala sul ritrovamento della borsa del giudice Borsellino. I dispacci riportano che Ayala e Arcangioli sono stati sentiti sul punto specifico dall'autorità giudiziaria. Passano solamente quattro ore e le agenzie battono la notizia di un nuovo interrogatorio di Giovanni Arcangioli previsto nei giorni successivi. Ed è nella data di martedì 8 febbraio che quell'interrogatorio avviene negli uffici romani della Dia. Quello stesso giorno viene sentito nuovamente anche Giuseppe Ayala. I due verranno messi a confronto e le rispettive versioni non coincideranno. Inizia così una sfida a colpi di memoria. Giocata su più tavoli. Primi vagiti di un depistaggio. Consapevole o non. Ma di certo non innocente. Cinque mesi dopo, nell'edizione delle ore 20, il Tg1 trasmette un servizio di Maria Grazia Mazzola sulla strage di via d'Amelio. Per la prima volta in assoluto un canale nazionale, nell'edizione di punta del proprio telegiornale, manda in onda il video di quel frangente. Nel filmato il capitano dei carabinieri avanza spedito reggendo in mano la borsa di cuoio di Borsellino. Dietro di lui si intravedono le auto in fiamme e i pompieri che si affannano a spegnerle. La telecamera insiste implacabile sull'ufficiale. Ma è questione di pochi secondi. Con grandi falcate Arcangioli esce dal quadro delle riprese allontanandosi da via d'Amelio. Riparte il filmato, questa volta a rallentatore. Il volto del carabiniere non tradisce alcuna emozione. La valigetta è stretta nella sua mano destra. Poi più nulla. Nel servizio l'intera vicenda viene sintetizzata sotto la scure dei tempi televisivi. Ma è la novità di quel video ad attirare tutta l'attenzione. La consacrazione definitiva a livello pubblico della scomparsa dell'agenda rossa è avvenuta. Nell'immaginario collettivo la figura di colui che preleva la valigetta di Paolo Borsellino ha finalmente un volto, un corpo e un'anima.

(continua)

*tratto dal libro “Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino” (G. Bongiovanni e L. Baldo, Aliberti)
** il racconto in prima persona è di Lorenzo Baldo
***Luciano Liboni è stato ucciso materialmente dall’appuntato dei carabinieri Alessandro Palmas del Nucleo Operativo di via in Selci comandato all’epoca dal maggiore Giovanni Arcangioli

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