di Giorgio Bongiovanni
Il sinedrio della magistratura deve cambiare
La bufera ha inizio solo una settimana fa. Piercamillo Davigo, l’ex pm di Mani Pulite oggi presidente della seconda sezione penale della Cassazione, ha lasciato la Giunta insieme alla sua corrente (Autonomia e Indipendenza). Una presa di posizione che ha a che fare con le scelte “incomprensibili” del Consiglio superiore della magistratura sugli incarichi direttivi. “Non è tollerabile - questa una delle sue dichiarazioni - che dopo un documento da parte dell'Anm” che prende una posizione dura sui magistrati in politica, “uno che viene da due mandati parlamentari venga proposto come presidente di tribunale, saltando un collega con più anzianità”.
Davigo, magistrato tutto d'un pezzo che con Mani pulite ha fatto condannare corrotti, corruttibili e corruttori, non è certo la prima toga onesta a sbottare contro le logiche profondamente correntizie del Csm.
E come non mai, a venticinque anni di distanza dalle stragi di Capaci e via d'Amelio, risuonano le parole di Giovanni Falcone, che nel 1990 in un'intervista a La Repubblica disse: “Il Csm è diventato, anziché organo di autogoverno e garante dell’autonomia della magistratura, una struttura da cui il magistrato si deve guardare… (con) le correnti trasformate in cinghia di trasmissione della lotta politica”.
Così come quelle di Paolo Borsellino, che nel ricordare l'amico ucciso, il 25 giugno 1992 parlò dello “schiaffo” del Csm a Falcone, nel momento in cui “con motivazioni risibili” gli preferì Antonino Meli come capo dell'Ufficio Istruzione di Palermo, contribuendo alla sua morte professionale.
Oggi le dichiarazioni di Davigo confermano come all'interno del Csm nulla è cambiato, fatte poche e lodevoli eccezioni. Solitarie meteore che tentarono di difendere i principi di verità e giustizia in quel sinedrio che è il Consiglio superiore della magistratura. Così come allora fecero Giuseppe d'Arimatea e Nicodemo, in un altro e ben peggiore sinedrio dove condannarono Gesù Cristo.
Affinchè il Csm si affranchi dal potere di governo e parlamento serve una riforma che preveda l'abolizione dei tre membri laici, così da assicurare la sua stessa autonomia. Al contrario, dagli anni '80 in poi, assistiamo ad un attacco continuo, sistematico ed unilaterale contro la magistratura - in particolare quella inquirente, in minima parte quella giudicante - da parte delle forze politiche e parlamentari, di tutti gli schieramenti e dei governi succedutisi negli ultimi quarant'anni.
Il Csm, che dovrebbe essere “garante” dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura, non può continuare ad essere così fortemente politicizzato, privilegiando le nomine in virtù dell'appartenenza correntizia. In un Paese come il nostro non possiamo permetterci che a capo delle Procure in prima linea contro la criminalità organizzata prevalgano i nomi di chi è espressione di una scelta politica, anziché meritocratica, e magari non si è mai nemmeno occupato di inchieste di mafia. Quanto alle correnti, queste sono da abolire in quanto rinsaldano il legame tra politica e magistrato: se quest'ultimo ha intenzione di scendere in campo, deve necessariamente e definitivamente abbandonare la toga.
Ancora, per un Csm diverso servono commissioni serie, in primis sul contrasto alla mafia, e commissioni disciplinari che non ripetano più un errore come fu quello di processare duramente Falcone e Borsellino, rei di aver sollevato la questione del progressivo “smantellamento” del pool antimafia; poiché il rischio della storia sta proprio nel suo ripetersi. L'abbiamo riscontrato anche recentemente, assistendo alla sfilza di clamorose bocciature nei confronti del pm Di Matteo - prima della sua effettiva nomina - per la Procura nazionale antimafia.
Proprio per preservare il patrimonio di esperienze accumulate da parte dei magistrati che si occupano di mafia, è necessario che i pm possano proseguire il loro lavoro all'interno della Dda per un adeguato tempo che tenga conto dei risultati da perseguire, anziché dover sottostare al limite dei soli otto anni di permanenza. Ancora, il magistrato indipendente non avrà le mani legate nel momento in cui riceverà da parte del procuratore capo non dei tassativi aut aut, ma degli indirizzi generali in tema di indagini, affinchè poi egli stesso possa autonomamente procedere negli sviluppi investigativi.
Per chi come noi, che non crediamo più nella politica com'è intesa oggi, la magistratura e la passione civile dei cittadini sono l'ultimo baluardo di speranza per un'Italia finalmente libera dalla presenza criminale, fin dentro il cuore delle istituzioni. L'ultima speranza politica rimane comunque nei nuovi movimenti, rappresentati da volti giovani, puliti ed onesti che potrebbero contribuire ad un cambiamento positivo e di respiro nazionale, affinchè nel nostro amato Paese possa finalmente trionfare la giustizia e la libertà.
In foto: Giovanni Falcone davanti alla commissione disciplinare del Csm
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