di Giorgio Bongiovanni
Signor Giuseppe Graviano, Le scrivo dopo aver letto con grande attenzione le trascrizioni delle conversazioni che lei ha intrattenuto con il suo compagno di ora d’aria, il camorrista Umberto Adinolfi. Ho letto anche le risposte che il 28 marzo scorso ha dato ai pm della Procura di Palermo che sono venuti ad interrogarla. Ancora una volta, così come aveva fatto al processo del suo compaesano, Marcello Dell’Utri, ha preferito mantenere il silenzio, avvalendosi della facoltà di non rispondere. Eppure ha voluto dare uno spiraglio di apertura dicendo che “quando sarò in condizioni sarò io stesso a cercarci e a chiarire alcune cose che mi avete detto”. La causa, a suo dire, riguarda le “condizioni di salute che oggi non mi consentono di potere sostenere un interrogatorio così importante ed anche a causa del mio stato psicologico derivante dalle condizioni carcerarie che mi trovo costretto a vivere”. “Io - ha detto ancora ai pm - sono distrutto psicologicamente e fisicamente con tutte le malattie che ho, perché da 24 anni subisco vessazioni denunciate alle procure e le procure niente. Da quando mi è arrivato questo avviso di garanzia, entrano in stanza, mi mettono tutto sottosopra. I documenti processuali sono strappati. Mi hanno fatto la risonanza magnetica perché mentre cammino perdo l’equilibrio e hanno trovato una patologia che mi porterà a perdere la memoria, sarà tra cinque o dieci anni. Io assumo ogni giorno cinque capsule di antidepressivi, solo di antidepressivi e subisco vessazioni dalla mattina alla sera. Entrano in stanza e mi fanno tre perquisizioni a settimana”.
Vede Signor Graviano, c’è qualcosa che lei, capomandamento di Brancaccio assieme a suo fratello Filippo, deve comprendere: voi non avete alcun potere. Voi siete appartenenti ad una struttura denominata Cosa nostra, è certo che siete al vertice di uno dei mandamenti più “importanti” della città di Palermo e assieme al vostro “Capo dei capi”, Totò Riina (Bernardo Provenzano è ormai defunto) indubbiamente vi siete macchiati di crimini efferati, avete ucciso ed ordinato la morte di decine di persone. Non solo. Avete compiuto le stragi in Continente, ucciso bambini (su tutti le ricordo Nadia e Caterina Nencioni, di nove anni ed appena 50 giorni di vita che hanno perso la vita in via dei Georgofili nel maggio 1993) e per quanto lei ne dica ci sono prove più che sufficienti che dimostrano le responsabilità sue e della sua famiglia mafiosa di Brancaccio, nelle stragi del 1992. In particolare in quella di via d’Amelio.
Lei è perfettamente a conoscenza dei segreti sui rapporti che Cosa nostra ha con lo Stato italiano e con i poteri forti del nostro Paese.
Lei è membro del livello riservato della mafia e assieme a lei ne fanno parte Riina, Bagarella, Messina Denaro (ancora in libertà) e il defunto Antonino Gioè, morto in circostanze misteriose in carcere nell'estate del 1992. E sempre lei era in strettissimi rapporti con i pari grado calabresi, passando dai De Stefano ai Piromalli fino ai Nirta Pelle, anche detti Nirta La Maggiore.
Una componente riservata che dialogava con pezzi delle istituzioni, del mondo dell’imprenditoria, delle libere professioni ed appartenenti infedeli dei servizi di sicurezza. Indubbiamente uomini di potere.
Alcuni di questi vengono “svelati” dalle sue stesse parole, intercettate nel carcere di Ascoli Piceno. Lei, nei primi anni Novanta, ha avuto contatti diretti, o indiretti, con Silvio Berlusconi, uno degli uomini più potenti del nostro Paese, tramite quel suo “compaesano” Marcello Dell’Utri che, lei sa bene, sta scontando la pena dopo la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa.
Al suo compagno di passeggio ha raccontato le sue “tragedie familiari”, le sue “difficoltà economiche” e tutta una serie di mali dovuti a questi personaggi che l’hanno abbandonata al suo destino. Che è quello di marcire in galera.
Lei deve comprendere che Cosa nostra non è quella potenza che crede. Lo dico a lei ma sono in molti, anche tra gli addetti ai lavori (politici, magistrati, intellettuali, professori e giornalisti) che in questo momento fanno finta di non sapere questa verità. C’è chi sostiene che, nascondendosi dietro al velo delle parole, il “terzo livello” altro non sia che una fantasia. Anche Giovanni Falcone, sul punto, ha rilasciato alcune dichiarazioni, in un tempo in cui la lotta alla mafia era agli albori. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno gettato le fondamenta per sconfiggere l’organizzazione criminale ma entrambi avevano anche intuito che esisteva qualcosa oltre la mafia. Paolo Borsellino diceva: “Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”. Chi sono questi altri? Lei può dircelo signor Graviano. Chi era quell’uomo all’interno del garage di Villasevallos quando i suoi uomini hanno caricato la Fiat 126 di esplosivo? Anche Giovanni Falcone, intervistato da Saverio Lodato su L’Unità dopo l’attentato fallito all’Addaura, aveva dichiarato: “Menti raffinatissime tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l’impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi... Sto assistendo all’identico meccanismo che portò all’eliminazione del generale Carlo Albero dalla Chiesa... Il copione è quello. Basta avere gli occhi per vedere”. Lei può spiegare questo meccanismo signor Graviano, ma deve accettare che questa struttura di potere non ha fatto solo affari con voi. In realtà non ha fatto altro che usarvi, comandarvi, gestirvi a loro piacimento. Un operato che prosegue ancora oggi. Vi hanno fatto credere di trattare alla pari con voi, di essere i padreterni della Sicilia se non anche dell’Italia intera. Me non è stato così. Se voi siete quello che siete è solo perché qualcuno ve lo permette. Queste entità esterne, servizi segreti di Stato, servizi deviati, banche, politici, uomini della finanza, composta da uomini di potere di gran lunga peggiori di voi, delinquenti ed assassini, vi hanno fatto vivere in una bolla per poi gettarvi via alla prima occasione.
La prova di quello che dico? Che lei marcisce in carcere assieme agli altri membri della Cupola. Eccezione unica sono quei membri che hanno collaborato con lo Stato, quello vero. Quelli che hanno deciso di aprirsi e dire ciò che sanno su quei capitoli oscuri del Paese, con magistrati integerrimi che hanno ereditato le idee di Falcone e Borsellino.
Dunque non è vero che la mafia ha trattato alla pari ma è stata sottomessa e schiacciata dai poteri forti. Quei poteri, italiani e stranieri (in particolare legati agli Stati Uniti d’America) che la controllano e che se ne servono.
C’è una grande finanza che volentieri si adopera per riciclare il vostro denaro ma per farlo detta le condizioni.
Lei stesso sostiene di essersi seduto con Berlusconi e di aver fatto affari (“Sì, 30 anni fa mi sono seduto con te, giusto è? Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi è successa una disgrazia, mi arrestano, tu cominci a pugnalarmi, per che cosa? Per i soldi, perché a te ti rimangono i soldi”). Se ciò è accaduto, e lei è stato arrestato nonostante quella “copertura favolosa”, è evidente che Berlusconi appartiene ad un potere più forte del vostro. E lei continua a trincerarsi dietro a quel silenzio in ossequio a quella controproducente e fanatica regola di Cosa nostra di “non parlare”.
Lei dice che il suo “unico pensiero è uscire dal carcere”.
Non creda di poterlo fare a suo piacimento. Ha solo una possibilità. Quella di raccontare tutto quello che sa collaborando con la magistratura. Riscattando i suoi crimini contribuendo a dare giustizia a tutte quelle persone che ne sono prive anche a causa del suo nefasto operato. Lei ha l’opportunità di cambiare il suo percorso di vita in modo che quei personaggi potenti dal volto coperto possano essere smascherate. Solo allora potrà, forse, riabbracciare i suoi cari in maniera “dignitosa”.
In attesa di risposta
Giorgio Bongiovanni
Direttore di ANTIMAFIADuemila
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