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martelli claudio 500
di Giorgio Bongiovanni
Le parole profetiche di Giorgio Gaber “il tutto è falso e il falso è tutto”, “è misterioso e assai più oscuro se è mescolato a un po’ di vero” si addicono perfettamente al discorso farsa che l’onorevole Claudio Martelli ha tenuto lunedì scorso nell'incontro pubblico con Felice Cavallaro e Alfonso Giordano a Palermo a Villa Filippina. 
Non possiamo non condividere la considerazione di Martelli sulla responsabilità della magistratura e del Consiglio Superiore della magistratura “sulla morte morale di Falcone per averlo denigrato e quasi perseguitato”. Testimonianza avvallata dai documenti desecretati a venticinque anni dalla strage di Capaci, dove emerge come il sinedrio della magistratura umiliò e percosse ingiustamente Falcone quando era in vita. Ciò che non condividiamo e ci disgusta però, è che la verità venga mescolata a falsità o omissioni. 
Sarebbe stato interessante per il pubblico di Villa Filippina se Martelli avesse approfondito le dichiarazioni di un anno fa, quando, sentito come teste al tanto criticato processo trattativa Stato-mafia, disse: “Non è la prima volta che si scambiano favori tra la mafia, associazioni tipo la P2, servizi deviati, massoneria deviata”.
Invece l'ex ministro della Giustizia ha preferito tacere la sua valutazione sul perché la mafia e la massoneria e altri poteri lo avrebbero eliminato politicamente come Ministro della Giustizia. Così come non ha voluto spiegare alla platea la verità sul Conto Protezione a lui intestato ai tempi di Craxi, una storia mai chiarita che coinvolgerebbe tangenti, P2, Licio Gelli, e il Banco Ambrosiano. Oppure chiarire i possibili rapporti di alcuni soggetti del partito socialista in Sicilia con la mafia.
Claudio Martelli ha ricordato Falcone come un migliore amico “di cui tiene la fotografia sulla scrivania assieme alle foto di famiglia” ma non ha rilevato se Giovanni Falcone gli fece delle dichiarazioni sull'uccisione di Salvo Lima, uno dei più famosi dei politici siciliani vicino alla mafia ammazzato pochi mesi prima della strage di Capaci.
Non si è trattenuto invece nell'esprimere un giudizio sul lavoro dei magistrati Ingroia (ora non più in magistratura) e Di Matteo, padri del processo trattativa Stato-mafia, dando lezioni di diritto e indagine: “C'è stato un cedimento da parte dello Stato - ha spiegato Martelli - io non uso la parola trattativa perché l'idea che si mettono al tavolo Stato e mafia è ridicolo ma un cedimento c'è stato”. E ancora: “Non capisco perché Ingroia e Di Matteo non hanno seguito la pista offerta dall’ex ministro Conso” quando “disse che, non rinnovando il carcere duro per i mafiosi, si volle dare un segnale di disponibilità all’ala moderata di Cosa nostra nel tentativo di far cessare le stragi. Non una trattativa ma un dichiarato cedimento, una responsabilità politica che dubito fortemente possa avere una qualsiasi valenza penale”.
Non ci sono migliori parole di quelle utilizzate dallo stesso Falcone per mettere dei punti fermi nelle traballanti peripezie dialogiche di Martelli. Nel libro “Cose di Cosa Nostra” scritto con Marcelle Padovani, Falcone supera il concetto di trattativa e parla addirittura di “dialogo Stato-mafia” che, “con gli alti e i bassi tra i due ordinamenti, dimostra chiaramente che Cosa nostra non è un anti-Stato ma piuttosto un'organizzazione parallela”.
Frasi concrete e chiare perché quando due soggetti dialogano significa si riconoscono reciprocamente e quindi lo Stato riconosceva uno status di potere all'organizzazione criminale. Un concetto che già prima delle stragi Falcone aveva individuato chiaramente e di cui, dopo, alcuni pentiti di mafia hanno parlato. Ma ancora dal fronte della politica non c'è alcuna voce che ha tolto l'ultimo velo di Maya. In attesa di un pentito di Stato ci sentiamo di consigliare a Martelli, visto la sua poca simpatia per la parola trattativa, di utilizzare le parole di Falcone, “dialogo tra Stato e mafia”.

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