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Di Matteo “si è spinto troppo oltre”
Galatolo, intanto, continua a sostenere interrogatori su interrogatori, e i particolari che aggiunge sono sempre più allarmanti. Secondo il neopentito a dare l’input al progetto dell’attentato sarebbe stato il boss latitante Matteo Messina Denaro. “Mi hanno detto che si è spinto troppo oltre” sarebbe scritto in una lettera che il capomafia trapanese manda a Palermo alla fine del 2012 per chiedere formalmente alle famiglie mafiose del capoluogo di organizzare un attentato contro Di Matteo. Chi avrebbe dato queste indicazioni a Messina Denaro? “Gli stessi mandanti di Borsellino”, assicura Galatolo.
Subito dopo l’arrivo della lettera, racconta ancora il collaboratore, i capimafia palermitani si attivano per organizzare il summit in cui vengono messe a parte del piano le varie famiglie, che risalirebbe al dicembre 2012. A quella riunione partecipa anche Galatolo, che poi acquisterà personalmente il tritolo giunto a Palermo e nascosto in un bidone. Di cui gli inquirenti non trovano traccia. Per l’acquisto, attraverso una “questua” in contanti, in poco tempo si raggiunge la somma di 600 mila euro. Tanto basta per acquistare l'esplosivo, centocinquanta chili, necessario per un nuovo “grande botto”.
Ma il tritolo è pronto anche in Calabria: a fine novembre la Guardia di Finanza di Reggio Calabria riceve una telefonata anonima. “Dite a Peppe Lombardo che se non la smette lo ammazziamo. Diteglielo che lo facciamo saltare per aria sul serio, i 200 chili di esplosivo sono sempre pronti”.

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Il giudice Paolo Borsellino in una foto d'archivio


Un fatto grave e inquietante, tanto più che l’interlocutore anonimo si dimostra essere ben informato sugli spostamenti del magistrato, elencando una serie di punti della città nei quali il pm passa quotidianamente per tornare a casa accompagnato dalla sua scorta. Pochissimi giorni dopo, a dicembre, il secondo atto giunge con un'altra chiamata anonima: “Siamo pronti ad ucciderlo”. Questa volta il messaggio è chiaro e conciso e non lascia spazio ad interpretazioni. Lombardo è anche uno dei pochi magistrati che indaga sui rapporti tra ‘Ndrangheta e Cosa nostra. Due organizzazioni criminali che, anche alla luce delle ultime dichiarazioni di Galatolo, sempre di più sembrano apparire facce della stessa medaglia.
Sul versante palermitano Galatolo continua a fornire ulteriori indicazioni sulle fasi di preparazione dell'attentato. Il piano prevede di far saltare in aria Di Matteo colpendolo in prossimità del Palazzo di Giustizia, attraverso l'utilizzo di un'auto imbottita di tritolo da far esplodere al momento del passaggio del corteo di macchine che scortano il magistrato. Un attentato altamente spettacolare, ma che avrebbe potuto coinvolgere troppe persone con il rischio di suscitare l'indignazione della società civile. Un aspetto, quest'ultimo, che i boss di Cosa nostra vogliono evitare ad ogni costo. C'è il problema della preparazione dell'autobomba e in un'ulteriore comunicazione “Diabolik” Messina Denaro fa sapere che “non c'è problema” perché era già pronto “un artificiere” che sarebbe giunto al momento opportuno.
Intanto dagli ambienti istituzionali arriva appena qualche solidarietà sporadica, insieme ad un'interrogazione parlamentare presentata dal senatore Giuseppe Lumia.


“Palermo non deve tornare agli anni bui degli attentati e delle stragi. Bisogna ridurre l'esposizione al rischio del pm Di Matteo e di tutti gli altri magistrati impegnati nei processi contro la mafia ed in particolare sulle attuali indagini intorno alla cosiddetta ‘trattativa’ e sul ‘Protocollo Farfalla’” / Giuseppe Lumia


Il riferimento è anche alle minacce ricevute da Scarpinato. Ma solo in pochissimi romperanno il silenzio caparbiamente osservato sia nei palazzi romani che a Palermo. E del jammer per Di Matteo nemmeno l’ombra.

Il filo dei ricordi
Galatolo, nel frattempo, rivela ai magistrati che l’esplosivo acquistato per il pm di Palermo arriverebbe dalla Calabria. Ma durante la fase di acquisto - avvenuta nel più completo riserbo - una parte del tritolo risulta essere danneggiato da infiltrazioni d’acqua. L’esplosivo rovinato viene rispedito indietro, e poco dopo sostituito da un nuovo carico in buono stato senza che fosse sollevato alcun problema.
Il 16 dicembre 2014 è il giorno dell’arresto di Vincenzo Graziano, considerato “reggente” del mandamento palermitano di Resuttana nonché colui che conservò il tritolo da usare per Di Matteo. Il blitz scatta in vicolo Pipitone, luogo in cui già negli anni ’90 Cosa nostra si riuniva per pianificare attentati. Proprio qui, dice Galatolo, sarebbe stata letta la lettera di Messina Denaro alla presenza dei boss Alessandro D'Ambrogio (capomafia di Porta Nuova) e Girolamo Biondino (capo a San Lorenzo). Galatolo punta il dito contro Graziano: “È lui l'uomo che ha procurato l'esplosivo. Io mi impegnai con 360.000 euro mentre le famiglie di Palermo Centro e San Lorenzo si impegnarono per 70.000 euro. L'esplosivo sarebbe stato acquistato in Calabria da uomini che avevano delle cave nella loro disponibilità e trasferito a Palermo. Dopo seppi che Biondino definì l’acquisto dalla Calabria di 200 chili di tritolo e, una volta arrivato a Palermo circa 2 mesi dopo la riunione, fu affidato a Vincenzo Graziano”. L'ex boss dell'Acquasanta conferma di aver visto con i propri occhi il tritolo, il 16 marzo 2013.


“L'esplosivo, che io vidi personalmente in occasione di una mia presenza a Palermo per dei processi, era conservato in dei locali all'Arenella nella disponibilità di Graziano Vincenzo ed era contenuto in un fusto di lamiera e in un grande contenitore di plastica dura. Sopra questi bidoni vi era uno scatolo di cartone con all'interno un dispositivo in metallo della grandezza poco più piccola di un panetto” / Vito Galatolo


E poi ancora nuovi dettagli: “All'interno era composto da tanti panetti di colore marrone avvolti da pezze di tessuto. Ricordo inoltre che all'esterno, la parte bassa del contenitore di plastica blu era umida e con tracce di salsedine. Per tale motivo infatti Graziano mi disse che questo contenitore umido doveva essere sostituito. So che l'esplosivo è stato spostato da Graziano e penso che sia custodito in una sua abitazione con del terreno intorno in località Monreale”.
“L'intento di organizzare l'attentato non è mai stato messo da parte - assicura il neopentito - una volta ne parlai con Graziano Vincenzo all'interno del Tribunale ed avevamo pensato di posizionare un furgone nei pressi del palazzo di giustizia ma non ritenemmo di procedere perché ci sarebbero state molte vittime. Pensammo anche, data la disponibilità della famiglia mafiosa di Bagheria, di valutare se procedere in località Santa Flavia, luogo dove spesso il dottore Di Matteo trascorre le vacanze estive”. Scartata l'ipotesi dell'attentato al Palazzo di Giustizia i boss, da dicembre 2012 a marzo 2013, si concentrarono in altri luoghi e monitorano gli spostamenti del magistrato, il cui livello di scorta al tempo non era al livello massimo.
In un altro verbale il pentito ricorda che “il 6 maggio (del 2013, ndr) pomeriggio mi incontrai con Vincenzo Graziano, che non affrontò subito il discorso dell’attentato nei confronti del dottor Di Matteo, come credevo, vista l’urgenza con cui mi aveva mandato a chiamare, e fui io quindi a chiedergli notizie. Il Graziano mi disse che la situazione era in stand-by poiché il Biondino Girolamo era stato tratto in arresto. Mi disse anche che l’esplosivo era ancora nella sua disponibilità ed era al sicuro”.

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Il momento dell'arresto di Vincenzo Graziano


Galatolo, tra l’altro, svela un’ulteriore risvolto sulla preparazione dell’attentato a Di Matteo parlando del pentito Salvatore Cucuzza: secondo il collaboratore dell’Acquasanta Salvatore Cucuzza, ex capomandamento di Porta Nuova arrestato nel 1996, avrebbe dovuto giocare un ruolo fondamentale in un piano alternativo all’esplosione del tritolo a Palermo. L’ex boss, deceduto a giugno 2014, avrebbe dovuto attirare Di Matteo a Roma, in una trappola, chiedendo di essere sentito dal pm palermitano riguardo ad alcune rivelazioni sulla trattativa Stato-mafia. E nella capitale il magistrato sarebbe stato ucciso a colpi di kalashnikov o con un bazooka. Un’eventualità che, però, è stata successivamente scartata.
Graziano non si pente, ma le uniche parole da lui pronunciate sono agghiaccianti. "Dovete cercarlo nei piani alti", dice, riferendosi al tritolo non ancora individuato. Forse il boss alludeva a quegli ambienti di potere "alti", della mafia o dello Stato, che effettivamente premono per l'uccisione del pm Di Matteo? “Gli stessi di Borsellino”, come aveva riferito Galatolo? La replica di Graziano al gip è inquietante e sibillina.


“Sono cose da alto livello, stiamo montando una situazione, perché c’è Graziano, ma Graziano è nessuno, nessuno” / Vincenzo Graziano davanti al gip Luigi Petrucci


A gennaio 2015 arriva una nuova lettera anonima contenente indicazioni e dettagliati riferimenti: “è a Porticello”, è scritto, in riferimento al tritolo. Proprio dalle acque del porto di Santa Flavia, secondo il racconto del pentito Gaspare Spatuzza, sarebbe stato recuperato anche il tritolo per la strage di Capaci all’epoca. A febbraio, una nuova missiva annuncia che nei luoghi solitamente frequentati da alcuni magistrati ci sarebbero armi ed esplosivo. Rivelazioni in un certo modo avallate dalle dichiarazioni di un confidente degli investigatori.

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