Massima allerta
Intanto, a un aumento degli uomini che scortano Di Matteo, non corrisponde la fornitura di mezzi adeguati. Le auto in dotazione del magistrato sono quattro: una è il mezzo di bonifica su cui viaggiano due militari, quindi c'è una “Jeep” superblindata ma con centinaia di migliaia di chilometri percorsi. Un mezzo che pare abbia anche difficoltà di movimento. A questa si aggiunge la macchina concessa dalla Procura, la cui blindatura è inadeguata e tutt'altro che impenetrabile. Infine vi è una quarta macchina, fino a qualche tempo fa anch'essa piuttosto datata negli anni e solo di recente sostituita con un mezzo più nuovo ma comunque non sufficiente nella blindatura per la sicurezza del magistrato.
È il 20 dicembre 2013 e nuovamente la società civile si dà appuntamento a Palermo, a solo un mese di distanza dal primo corteo, per manifestare ancora una volta solidarietà al magistrato palermitano. Tra gli organizzatori un cartello di società antimafia, tra cui le Agende rosse di Salvatore Borsellino, che darà vita nel tempo a una serie di eventi e iniziative per tenere desta l’attenzione sui pericoli corsi da Di Matteo.
Proprio per dare un’ulteriore segnale di vicinanza al pm ed ai colleghi del pool trattativa, a gennaio nasce il movimento Scorta civica, che dà vita ad un presidio davanti al Tribunale di Palermo che per quasi tre anni rappresenterà un segnale importante della società civile.
Nel frattempo il livello di tutela per Di Matteo si alza: il pm ha ora a disposizione un elicottero per gli spostamenti più delicati, mentre ai nove carabinieri che viaggiano con lui si aggiungono, in alternanza, oltre trenta militari che si occupano della vigilanza dell'abitazione del pm e della bonifica delle strade. È il 20 dicembre 2013 che una delegazione del Csm giunge a Palermo per esprimere solidarietà ai magistrati antimafia minacciati. Eppure il Consiglio superiore della magistratura non incontra il pool trattativa, ma solo Silvana Saguto, presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale, poi indagata per corruzione e abuso d’ufficio proprio per la gestione dei beni confiscati a Cosa nostra. La spiegazione del Consiglio superiore della magistratura aggiunge ulteriore amarezza alla mancata visita.
“L’incontro non era previsto e nessuno ci ha chiesto di partecipare. Non siamo noi gli organizzatori” / La delegazione del Csm
“Siamo molto amareggiati, non ci aspettavamo che il Csm venisse a Palermo per esprimere solidarietà ai magistrati minacciati e non ci incontrasse” / Francesco Del Bene
Intanto le minacce contro i magistrati palermitani si inaspriscono: a gennaio 2014 è la volta di Teresa Principato, procuratore aggiunto impegnata nelle indagini sull'ultimo superlatitante di Cosa nostra: Matteo Messina Denaro. Un confidente ritenuto affidabile rivela che il capomafia di Castelvetrano sta cercando del tritolo per un attentato eclatante nei confronti della Principato. Sono nuove minacce che contribuiscono ad aumentare lo stato di tensione respirato tanto a Palermo quanto a Trapani e Caltanissetta.
Nel frattempo la figura di Alberto Lorusso (trasferito a Rebibbia) assume contorni sempre più inquietanti. Gli inquirenti ritrovano nella sua cella una lettera scritta con l'alfabeto fenicio. E le prime parole codificate sarebbero “Attentato”, “papello” e “Bagarella”. Lorusso, sentito a fine dicembre dal pool della trattativa, è indagato per false dichiarazioni a pubblico ministero. “Sono messaggi senza senso, uno scherzo per dimostrare di essere più intelligente degli investigatori” racconta ai pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. Ma non è ancora chiaro se quella lettera sia stata scritta da Lorusso per recapitare un messaggio all'esterno, se ciò è già stato fatto, o se invece sia stata inviata da qualcuno che voleva “suggerire” argomenti da sostenere con Riina. Due ipotesi entrambe gravi.
Il procuratore aggiunto Teresa Principato
Ci sono però anche altri aspetti su Lorusso che fanno sorgere sospetti ai pm. Ad esempio non è chiaro come possa essere venuto a conoscenza del fatto che i sostituti procuratori di Palermo volevano presenziare tutti insieme all'udienza sulla trattativa per manifestare solidarietà a Di Matteo, dopo le prime notizie delle minacce di Riina. Ai pm risponde di averlo saputo dai giornali e dalle tv, ma quella notizia non è mai stata divulgata né messa in pratica. Chi può aver riferito al boss pugliese un tale fatto, se la proposta era circolata soltanto nelle mail interne dei pubblici ministeri? Interrogato dai pm sui possibili rapporti con uomini dei servizi il capomafia della Sacra Corona Unita ha candidamente risposto: “È meglio non parlare di queste cose”.
La fine del tonno
Riina, nel frattempo, è un fiume in piena: "E allora organizziamola questa cosa! Facciamola grossa e non ne parliamo più". Totò u’ curtu gesticola e mima il gesto di fare in fretta. E soprattutto fa intendere di non avere minimamente timore del dottor Di Matteo.
"Vedi, vedi, si mette là davanti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce... Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo... Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari" / Totò Riina
"Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono", prosegue Riina con Lorusso. "Questo pubblico ministero di questo processo che mi sta facendo uscire pazzo". Perché il “capo dei capi” ce l’abbia tanto con Di Matteo è lo stesso Riina a spiegarlo: “Perché Di Matteo tutte, tutte, tutte le cosa le impupa lui. (…) questo, ci macina a tutti e ci mette a tutti sotto i piedi, a tutti…”. "Io penso che lui la pagherà pure... - aggiunge, sempre riferendosi al pm tanto odiato - lo sapete come gli finisce a questo la carriera? Come gliel'hanno fatta finire a quello palermitano, a quello... Scaglione (il procuratore di Palermo assassinato dalla mafia nel 1971, ndr), a questo gli finisce lo stesso". Per poi concludere con un invito rivolto all’esterno a “divertirsi”, che nel gergo mafioso si traduce in azioni delittuose: “Intanto… intanto io ho fatto il mio dovere, ma continuate continuate, qualcuno, non dico magari tutti, ma qualcuno divertitevi… una scopettatona (fucilata, ndr) nella testa di questi cornuti”.
Ucciardone. L'ingresso in aula del Capo dei Capi Salvatore "Totò" Riina © Reuters
Totò Riina si dimostra loquace ma quando si tratta di parlare della trattativa e del papello ecco che “dice e non dice”. “La cosa si fermò... tre-quattro mesi... ma non è che si è fermata... comunque il... (parole incomprensibili)... io l’appunto gliel’ho lasciato”. E se Riina si riferisse al “papello”? Paradossalmente, le parole di u’ curtu non fanno altro che alimentare il clima di delegittimazione vissuto da Di Matteo. E certa stampa (Il Giornale, Libero, Il Foglio e il Venerdì di Repubblica, poi querelati da Di Matteo) porta avanti una vera e propria campagna diffamatoria nei suoi confronti, sminuendo la portata delle conversazioni tra il boss corleonese e Lorusso.
“È iniziata quella che ritengo una vera e propria campagna di stampa che, partendo dal chiaro travisamento dei fatti, tende ad accreditare versioni che mi indicano quale autore di condotte e comportamenti che non ho mai tenuto. Non posso accettare che si continui a speculare impunemente perfino su vicende che tanto incidono anche sulla mia vita personale e familiare” / Nino Di Matteo
Questioni che Di Matteo solleva anche in occasione della visita della Commissione antimafia a Palermo. “Assistiamo a degli attacchi nei confronti della nostra attività e, soprattutto, dell'impianto accusatorio del processo per la trattativa che riteniamo immotivati” è la denuncia del pm, che ribadisce: “Abbiamo intenzione di dimostrare la fondatezza della nostra ipotesi di accusa”.