di Giorgio Bongiovanni
Come ogni 31 dicembre il Presidente della Repubblica ha concluso l'anno trascorso con il tradizionale discorso su tutte le reti unificate. Le parole di Sergio Mattarella, che hanno chiuso il 2016, hanno ripercorso con toccante emozione il ricordo delle vittime del terrorismo e del terremoto, i problemi sociali, il lavoro che è "il problema numero uno", la necessaria solidarietà in una fase difficile del nostro Paese, l'importanza dopo il referendum costituzionale di andare alle elezioni con una nuova legge elettorale, affermando quindi che è "ingiusta l'equazione immigrato uguale terrorista", e poi il monito: "basta all'odio come strumento della politica".
Non un accenno, però, ad una delle piaghe che più ci attanaglia dalla nascita della Repubblica ad oggi in ogni settore economico e sociale: la pervasività delle mafie e l'importanza di un serio contrasto alla criminalità organizzata. Parole che avevano invece trovato spazio nel discorso a cavallo tra il 2015 e il 2016, quando Mattarella aveva ricordato che "contro le mafie stiamo conducendo una lotta senza esitazioni, e va espressa riconoscenza ai magistrati e alle forze dell'ordine che ottengono risultati molto importanti". Come pure nel discorso di insediamento, nel quale aveva evidenziato che "la lotta alla mafia e quella alla corruzione sono priorità assolute".
Il pensiero corre allora a quel lontano 6 gennaio 1980, quando a Palermo Sergio Mattarella tirò fuori dall'auto crivellata di colpi il corpo del fratello Piersanti, presidente della Regione ucciso da Cosa nostra. Come mai trentasette anni dopo il Capo dello Stato, che è anche familiare di una vittima di mafia e dunque più di altri colpito dalla violenza mafiosa, non ha ricordato la criminalità organizzata come uno dei problemi più urgenti da affrontare? Per quale motivo Mattarella non ha sottolineato nuovamente l'urgenza di una "lotta alle mafie" come "priorità assoluta"? Forse Cosa nostra, Camorra, 'Ndrangheta e Sacra Corona Unita sono state definitivamente sconfitte, o il traffico di droga, di cui la quasi totalità è nelle mani delle cosche calabresi, è ormai un ricordo lontano? Oppure i magistrati in prima linea nel contrasto alle mafie - uno su tutti Nino Di Matteo, ma anche Giuseppe Lombardo, Nicola Gratteri ed altri - più volte destinatari di minacce e condanne a morte non corrono più alcun pericolo? Se non è così, potremmo dunque pensare che il presidente Mattarella, così come il suo predecessore Giorgio Napolitano, possa finire per diventare omertoso, omettendo quelle scomode parole che tanto disturbano lo Stato-mafia. La speranza è che si possa nuovamente sentire la voce autorevole del Capo dello Stato esprimere solidarietà ai magistrati, alle forze dell'ordine ed a tutta la società civile, che cercano di contrastare le mafie con il proprio impegno quotidiano, con i fatti e le parole. A costo della propria vita.
Foto © Ansa
Mattarella e la parola (mafia) che mai viene pronunciata
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