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condello pasquale effdi Giorgio Bongiovanni
Nella scia dei messaggi sibillini lanciati dalle organizzazioni criminali, come ad esempio le parole di Riina jr durante la trasmissione “Porta a Porta” della scorsa settimana, ad entrare in scena è uno degli storici capi della 'Ndrangheta, Pasquale Condello (detto anche “Il Supremo”), oggi detenuto al 41 bis nel carcere di Parma.
Nei giorni scorsi, durante l'udienza dinanzi alla Corte d’appello di Reggio Calabria del processo “Meta”, che vede imputati i capi della ‘Ndrangheta del “mandamento Centro”, il capo del gruppo degli “scissionisti” (Condello, Imerti, Serraino, Rosmini) che negli anni'80 iniziò una guerra contro gli altri clan storici De Stefano-Libri-Latella, si è reso protagonista di un vero e proprio “show”.
Condello avrebbe voluto presenziare al processo vestito da straccione con maglia e pantaloni strappati e un sacchetto della spazzatura in mano. La polizia penitenziaria lo ha subito bloccato dopo avere avvertito la Corte d’Appello, la Dda e il suo avvocato. Quindi, una volta uscito, è rientrato dopo essersi cambiato.
Immediatamente gli investigatori hanno avviato delle indagini anche per comprendere il significato di un tale atto. Certo è singolare che questo sia stato fatto nella prima udienza del processo d'appello nato dall'inchiesta “Meta”, condotta dal pm Giuseppe Lombardo, e che, nel 2010, oltre a scardinare le cosche reggine ha fatto luce su alcuni punti cardine per comprendere l'organizzazione criminale ma, soprattutto, chi c'è dietro.
Qual'è, dunque, il messaggio che si nasconde dietro ad un'azione tanto eclatante? Cosa voleva dire uno dei capi supremi della 'Ndrangheta? A chi era diretto il messaggio? Quale il significato dietro al cambio di vestiti e di quel sacchetto della spazzatura? Forse che si devono buttare via i “vestiti vecchi” per tornare poi “alle origini” alla vecchia forma di invisibilità ed intoccabilità? O che le famiglie devono “gettare nella spazzatura” (quindi eliminare) qualcuno, riferendosi a qualche vecchio referente della politica, dell'economia, o peggio gli elementi scomodi? In questo senso non può essere visto come un caso che vi siano state vere e proprie condanne a morte sia sul fronte siciliano, con il pm Nino Di Matteo nel mirino, che su quello calabrese, con i magistrati Giuseppe Lombardo e Nicola Gratteri.
Certo è che il gesto di Condello non può essere semplicemente letto come quello di un uomo che, dopo i sei ergastoli definitivi sulle spalle, non ha nulla da perdere e le tenta tutte. Né può essere visto come un pazzo in quanto non risulta che abbia problemi di salute. I controlli medici effettuati dimostrano che si tratta di un “soggetto lucido e razionale”.
Condello per anni è stato un punto di equilibrio tra due mondi, quello della 'Ndrangheta e quello degli “Invisibili”. Gli stessi che, forse, gli hanno garantito per tanti anni la latitanza. Oggi il Supremo, dopo otto anni al 41 bis, torna a far sentire la propria voce ricordando, forse, proprio quegli accordi che erano stati presi.
E in tutto questo, poi, ci sono gli ostacoli che vorrebbero eliminare. Quell'asse Palermo-Caltanisetta-Reggio Calabria dove magistrati ed investigatori cercano di approfondire i collegamenti esterni e sui mandanti delle stragi. Indagini convergenti e delicate come quelle condotte da Di Matteo e Lombardo. Un asse che cerca proprio gli “invisibili” che sono collegati alle mafie, appartenenti a quel sistema criminale integrato, sempre più evidente nella gestione del potere e degli affari.
Certo è che non può essere un caso che in questo momento storico, dove in Parlamento si torna anche a discutere di 41 bis, di riforma della giustizia, della Costituzione, da dentro e fuori le carceri arrivino segnali. C'è un nuovo fermento, come negli anni delle stragi. E le parole dette e non dette dal figlio di Riina e dal boss “Supremo” possono pesare più di tanti discorsi. Per questo l'allerta deve essere massima, senza abbassare la guardia o sottovalutare i rischi.

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