di Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
“I servizi segreti deviati? Non esistono”. “L'intelligence italiana? Si occupa solo di 'corna' e 'marmellata'”. “I nostri politici? Non hanno idea di cosa sia un Servizio. L'unico che capiva il nostro lavoro era Cossiga”. Sono queste le parole del generale Mario Mori, ex comandante del Ros dei carabinieri e direttore del Sisde dal 2001 al 2006, intervenuto giovedì pomeriggio alla libreria Feltrinelli di Palermo per presentare il suo ultimo saggio “Servizi segreti - introduzione allo studio dell'intelligence”. Il concetto che ha espresso (“Ho sempre lavorato per lo Stato”) è chiaro quanto perverso ed è molto simile a quanto sostenuto in passato da Bruno Contrada, ex poliziotto e numero 3 del Sisde (servizio segreto civile) condannato a 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa.
Ovvia, comoda e scontata la scelta di non parlare dei fatti giudiziari che lo riguardano alla domanda di un cronista, proprio sui servizi deviati, sui dubbi che lo riguardano ecco che è sbottato in maniera sprezzante: “Un servizio non può essere deviato perché è un'istituzione e l’istituzione è fatta di uomini...Caso mai ci sono da individuare le deviazioni rappresentate da uomini e nel campo delle istituzioni e dei politici”. E poi ancora: “Dire la parola deviati è comodo perché non identifica nessuno e nessuno può replicare e nessuno ti può querelare, perciò si va avanti così. Allora a questi buffoni.. dimmi chi sono, mi fai i nomi, i cognomi e le occasioni dove c'è stata la deviazione, dopodiché andiamo in tribunale”.
Stragi e depistaggi
Evidentemente Mori dimentica (o fa finta di dimenticare) che nella lista di quasi mille nomi degli affiliati alla loggia “massonica P2” di Licio Gelli vi erano politici, vertici dei servizi segreti e delle forze dell'ordine, magistrati, giornalisti, imprenditori e che vi è più di un sospetto che accanto a quei nomi ce ne fossero altri, ancora più riservati.
Erano appartenenti alla P2 quei vertici dei Servizi che nel 1980 avrebbero dovuto indagare sulla strage di Bologna del 2 agosto, una delle tante stragi d'Italia ancora senza verità, e che invece s'impegnarono in prima persona a depistare le indagini.
Quella tessera della loggia era posseduta dal direttore del Sismi Giuseppe Santovito e dal suo vice Pietro Musumeci, entrambi feroci sostenitori della falsa pista internazionale. Musumeci è stato condannato in via definitiva ad 8 anni e 5 mesi di reclusione per calunnia aggravata (in Italia per assurdo non esiste il reato di depistaggio, ndr) e Santovito se l'è cavata perché è morto prima della sentenza. Tessera della P2 posseduta anche dal capo del Sisde, il servizio segreto civile che aveva individuato da subito la pista neofascista salvo poi “adeguarsi” all'idea della pista internazionale su “suggerimento” di Licio Gelli, anche lui condannato per il depistaggio delle indagini sul 2 agosto, che si è portato nella tomba i suoi segreti.
Gelli, il generale Musumeci, il col. Giuseppe Belmonte e il faccendiere Francesco Pazienza furono anche imputati per aver creato, all'interno del servizio segreto militare, una super-struttura occulta, (il cosiddetto Super Sismi), addirittura sospettata di aver operato in collegamento con elementi della criminalità organizzata.
E cosa dire delle ombre su fatti gravi della storia d'Italia come la strage Piazza Fontana (con il Sid che si adoperò anche per agevolare la latitanza di alcuni imputati, ndr), la strage dell'Italicus o ancora quelle del '92 e del'93?
Più di un sospetto fa presupporre che furono uomini delle istituzioni a sottrarre l'agenda rossa dalla borsa di Paolo Borsellino nel giorno dell'attentato, mentre i corpi del magistrato e degli agenti di scorta erano stati dilaniati e le auto erano ancora fumanti.
Ci sono poi quelle “singolari coincidenze” raccontate in aula al processo trattativa Stato-mafia dall'Ambasciatore Francesco Paolo Fulci, ex segretario del Cesis, l’ufficio di coordinamento dei servizi segreti, tra il maggio 1991 e l'aprile 1993. Questi aveva parlato in maniera chiara dell'esistenza di due cartine “perfettamente sovrapponibili” dove erano segnate le ubicazioni delle sedi periferiche del Sismi ed i luoghi da dove partivano le telefonate targate “Falange Armata”, utilizzata ad intermittenza per rivendicare stragi e omicidi eccellenti, poi scomparsa e ritornata alla luce nel febbraio del 2014 all’interno di una strana lettera di minacce indirizzata a Totò Riina.
In particolare Fulci aveva presentato una denuncia, poi archiviata dal pm Ionta, in cui si faceva il nome di quindici ufficiali e sottufficiali della VII divisione del Sismi (quella di “Gladio” per intenderci) che facevano capo, in parte, al nucleo «K», inserito nella Sezione addestramento speciale (Sas), dislocato al di fuori della VII divisione, presso il Centro di intercettazione e trigonometria di Cerveteri. “Quei 15 erano gli unici addestrati per manovrare esplosivi – ha detto lo scorso 25 giugno in aula - L'obiettivo era verificare se questi soggetti erano presenti a Roma e Firenze la notte delle stragi”.
“Gladio” e la “Rosa dei Venti”
E cosa dire anche di quelle strutture più o meno occulte che hanno avuto lo scopo di impedire l'attuazione della Costituzione Repubblicana, pienamente democratica, impedendo l'assurgere al potere legislativo ed esecutivo di partiti di ideologia socialista?
Esempio può essere la “Rosa dei Venti”, struttura parallela del Sid predisposta dall'ex direttore Vito Miceli finalizzata ad organizzare un colpo di Stato tra il '73 ed il '74.
Un'altra di queste strutture è proprio “Gladio”, tra cui membri spiccano il “solito” Licio Gelli e l'onorevole Francesco Cossiga.
Non è un caso, forse, che Mori, nel suo intervento, citi Cossiga indicandolo come “l'unico politico che capiva il nostro lavoro”. L'ex Presidente della Repubblica in un'intervista sosteneva la necessità di infiltrare le manifestazioni studentesche, nel 2008, per poi usare la violenza: “Un'efficace politica dell'ordine pubblico deve basarsi su un vasto consenso popolare, e il consenso si forma sulla paura, non verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti... L'ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita...Io aspetterei ancora un po' - continua Cossiga - e solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di Bella ciao, devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell'ordine contro i manifestanti”.
L'oscuro passato di Mori
Dalla trattativa Stato-mafia alla mancata cattura di Bernardo Provenzano, passando per la mancata perquisizione del covo di Riina (per cui è stato assolto), il generale Mori ha scelto di non parlare delle vicende che lo riguardano salvo un'eccezione. Ha infatti dato una propria versione, rispondendo a una domanda sul momento più difficile della sua vita, sui motivi del suo allontanamento dal Sid (Servizio Informazioni difesa, ex Sismi, attuale Aise, ndr) nel'75, per ordine di Gianadelio Maletti: “Sono stato cacciato perché ritenevo che Maletti fosse una persona non degna di ricoprire quella carica, e gliel’ho detto in faccia. Ci sono momenti in cui bisogna avere il coraggio delle proprie decisioni”.
Su quanto avvenuto in quegli anni, però, sta indagando la Procura di Palermo partendo dalle dichiarazioni di Mauro Venturi, ex 007 (poi deceduto), che aveva accusato proprio Mori di aver avuto, durante quegli anni vissuti al Sid, rapporti con diverse personalità grigie come Mino Pecorelli, Licio Gelli ed i fratelli Ghiron, oltre a tracciare uno spaccato operativo alquanto spregiudicato tra la redazione di anonimi e l'attività investigativa abusiva sui propri superiori come il generale Maletti.
Mori, che è stato successivamente capo del Sisde dal 2001 al 2006, ha sostenuto che oggi i Servizi segreti si occupano solo di “corna” e “marmellata”, che i politici non comprendono le potenzialità (“Il premier Renzi è stato in Medio Oriente, ho chiesto a una persona di Palazzo Chigi se avesse fatto una relazione da dare ai Servizi per facilitare le relazioni. Mi ha guardato sbigottito. Allora mi chiedo che ci state a fare, perché spendete i soldi”). E' forse nostalgico del “modus operandi” perpetrato da certi Servizi e che spesso andava oltre la legalità?
Di tutto questo Mori dovrebbe dare una spiegazione. Conoscere la storia dell'intelligence dall'antica Roma ai giorni nostri può essere anche di interesse ma è un argomento vuoto se poi si tace che gli stessi servizi segreti hanno coperto, non episodicamente, gravi reati, depistato giudici, posti in salvo i presunti attentatori, al fine di lasciare impunite le stragi più efferate.
Quei servizi americani che a detta di Mori “valgono poco” e “ottengono risultati perchè sono decine di migliaia di persone e sono in possesso di un budget indefinito”, sono gli stessi che negli anni'40 hanno gettato le basi di quell'accordo con la mafia siciliana e determinati settori politici per la “liberazione” dal fascismo. L'ex generale del Ros ha poi dettato la “via da seguire” per una “resurrezione” dei Servizi, oggi a suo dire troppo imbrigliati, rimarcando la differenza che a suo parere ci dovrebbe essere con la polizia giudiziaria: “Non si può aspettare giorni per autorizzare una cosa che si deve fare in cinque minuti. Nessuno si prende la responsabilità”. Una rivendicazione della libertà di manovra che quando era a capo dei servizi di sicurezza aveva rimarcato con l'instaurazione del “protocollo farfalla”, l’accordo segreto stipulato con il Dipartimento di amministrazione penitenziaria per gestire le informazioni provenienti dalle carceri di massima sicurezza alle spalle dell'autorità giudiziaria.
Quali sono le logiche che hanno portato a queste azioni? Se, come sostengono Mori e Contrada, la logica è quella di aver sempre “servito lo Stato” è evidente che qualcosa non torna.
O meglio torna ma in un'altra logica: quella del Sistema criminale integrato, divenuto Stato.
I fatti, i nomi ed i cognomi sono sul tavolo. Ignorarli e far finta che non esistono è sì da “buffoni”, “buffoni” di Stato.