di Giorgio Bongiovanni e Miriam Cuccu
La ‘Ndrangheta dentro il Sistema criminale: nomi, storie, strategie
Alta finanza: oggi il business è online
La ‘Ndrangheta cresce, si espande, punta sempre più in alto. E sceglie la via dell’alta finanza, (specialmente quella online) dei titoli dematerializzati e delle banche. Sono le nuove direttive della componente riservata che ordina di dirigere i capitali delle singole mafie sui paradisi fiscali in Svizzera, Lussemburgo, Lichtenstein, non tanto perché ne costituiscono una garanzia, quanto perché rappresentano degli snodi fondamentali senza i quali non è possibile operare in questo campo.
Tutto questo lasciando “in secondo piano” gli investimenti sugli immobili, da sempre una delle assi portanti dell’impero economico delle cosche, ora divenuto sempre di più un “agnello sacrificale” per le indagini patrimoniali degli inquirenti perchè più facili da individuare. “Quando loro comprano immobili in Italia e all'estero – ha chiarito Lombardo - sanno che sono aggredibili, prima o poi qualcuno si chiederà a chi appartengono”. Il contrasto patrimoniale continua a salire di livello ed è più difficile schermare gli investimenti immobiliari e i grandi appalti. Un rischio troppo alto concentrarsi prevalentemente sul mantenimento di enormi depositi bancari perfino in quegli stati il cui controllo risulta essere molto più blando, nonostante il livello di attenzione si sia alzato negli ultimi anni.
Dopo molte valutazioni, ha più volte riflettuto il pm reggino, “hanno capito che per controllare il potere politico non era più necessario comprare il singolo esponente di partito”. Un rapporto complicato che non sempre oltre ai costi porta anche benefici (ne è un esempio la vicenda palermitana nel ’92, quando si creò un forte contrasto tra la Cosa nostra di Totò Riina ed esponenti politici ad essa vicina). Due o tre politici al soldo erano niente rispetto ad un’assemblea parlamentare, senza contare il rischio che il patto emergesse a seguito di indagini e arresti.
Per questo è stata individuata un’alternativa: l’acquisto di titoli di Stato. Un investimento che ha fatto gola non solo alle mafie ma anche ai paesi emergenti, prima il Medioriente poi l’India e la Cina, che hanno investito i loro capitali acquistando titoli di Stato negli Stati Uniti e nei paesi occidentali più affidabili. Così, anche le mafie hanno riversato gli enormi capitali di cui dispongono nell’acquisto di titoli pubblici, riuscendo oggi a raggiungere un considerevole peso negoziale. “Significa - ha precisato Lombardo - che se oggi in una situazione come la nostra uno Stato come l'Italia emette titoli che vengono comprati dalle mafie, queste a un certo punto avranno un potere nelle mani sconfinato, perchè portando all’incasso tutto insieme quello che è stato acquistato provocano il default finanziario”.
Oggi il pilastro principale degli affari della ‘Ndrangheta è l’alta finanza. Insieme al traffico di droga e in particolare di cocaina, per il quale la mafia calabrese si qualifica ancora una volta come la regina incontrastata avendo nelle mani il monopolio della polvere bianca in tutto l’Occidente.
La ‘Ndrangheta si trova attualmente in una posizione finanziaria incredibile, tale da far spostare milioni con un click per investire (e così ripulire) il denaro proveniente dalle attività illecite. Uno dei più recenti esempi è l'operazione scattata lo scorso 4 gennaio contro la cosca Grande Aracri e in particolare contro il presunto capo della Locale di Cutro, Nicolino. Oltre ai 16 arresti, gli inquirenti hanno individuato un conto corrente intestato al boss calabrese contenente 200 milioni di euro per aver realizzato ingentissime operazioni finanziarie all’estero. “Si tratta - è scritto nell’ordinanza - per lo più della realizzazione di cambio valute estere, operazioni di investimento con la formula ‘blocca fondi’, acquisizione di fidejussioni per partecipare ad investimenti edilizi all’estero”. Nicolino Grande Aracri è finito nel mirino della magistratura già con l'inchiesta Aemilia, che ha messo in luce gli interessi del clan di Crotone in Emilia Romagna. Ora secondo le indagini la cosca stava tentando di entrare in contatto con esponenti del Vaticano e della Cassazione, oltre a curare i già esistenti legami con la massoneria. E nonostante i Grandi Aracri non si configurino tra le famiglie della Reggio Calabria che conta, il loro impero economico si sta considerevolmente espandendo.
Droga: una palestra per la “fanteria” delle cosche
Le cosche calabresi, ha riflettuto Lombardo nel corso di più incontri, hanno letteralmente portato avanti una campagna acquisti nei paesi produttori di coca in Sud America, comprando tutti i centri nevralgici che servono alla ‘Ndrangheta nella gestione internazionale degli stupefacenti. Perché per far passare tonnellate di droga da una frontiera all’altra non basta un via vai di anonime valigette. Si tratta di un’operazione raffinata per la quale è necessario avere determinati agganci all’interno di ambienti istituzionali, posta in essere anche grazie all’acquisto di porzioni di debito pubblico degli stati economicamente più forti.
“Sono più affidabili, sono come noi”, diceva sempre “El Chapo”, il boss messicano del narcotraffico internazionale arrestato l'8 gennaio dopo una serie di fughe “spettacolari”, parlando degli uomini della ‘Ndrangheta. Joaquìn Guzman Loera, alias “El Chapo” (il Corto, ndr) fino a poco tempo fa uno dei criminali più ricercati, era il padrino indiscusso del cartello narcos di Sinaloa, il più potente in Messico. Il boss è stato nuovamente catturato dopo un’intensa e sanguinosa sparatoria tra i marines messicani e le forze del narcotraffico. A tradire El Chapo è stata l'intenzione di realizzare un film autobiografico per il quale aveva preso contatto con attrici e produttori. Durante la sua carriera criminale ha sempre cercato di dimostrare la propria affidabilità nel traffico di qualsiasi genere di droga. E tra i partner prediletti spiccava proprio la 'Ndrangheta, grazie ai rapporti prima coi narcos colombiani e con uno dei più forti cartelli della droga messicani, Los Zetas, oltre che con lo stesso El Chapo, che in seguito divenne il principale fornitore delle cosche calabresi.
È evidente che i seppur considerevoli sequestri di droga ottenuti di recente (lo scorso dicembre 700 chili in una sola settimana) sono briciole a confronto con le tonnellate che passano per lo più inosservate via mare, terra e aria.
Qui il problema, ha spiegato più volte Lombardo, sta nel considerare o meno il collegamento superiore, ovvero partire sempre da un dato di fatto: che la ‘Ndrangheta ha una struttura unitaria nonostante le varie ramificazioni nel mondo. E che all’interno della struttura ci sono dei singoli comparti di base: chi si occupa delle estorsioni sul territorio, chi di quel “sistema bancario parallelo” (emerso una volta di più nell’inchiesta “‘Ndrangheta banking”) chi cura i grandi appalti e persino settori apparentemente minori come il traffico dei prodotti contraffatti. Poi c’è anche chi è istituzionalmente incaricato di gestire i traffici internazionali di stupefacenti. Così, all’interno di quel sistema criminale integrato nel quale le menti pensanti comunicano ai grandi interlocutori delle mafie “tradizionali” le linee economiche da seguire, quelle centinaia di chili sequestrati costituiscono la parte già messa in conto da sacrificare a magistrati e forze dell’ordine. “Sono partite sacrificate - ha rimarcato Lombardo - così come hanno una schiera, paragonabile alla fanteria, che deve cadere sotto i colpi della magistratura”. Non si tratta, ha spiegato ancora il magistrato parlando dei soggetti fermati nei blitz antidroga “del sistema criminale circolare integrato” ma di una struttura “che si espone molto, sia in Italia che all’estero le batoste arrivano, le condanne sono molto serie e i sequestri pesanti” ma non coinvolgono le “menti pensanti”, quelle che comunicano direttive e strategie solo ai grandi interlocutori delle famiglie mafiose, coloro i quali all'interno della struttura hanno il ruolo “visibile” di gestire traffico di stupefacenti. “Ecco dov'è la miopia di chi minimizza una serie di operazioni (i sequestri di droga, ndr) apparentemente banali – ha concluso Lombardo - non si rendono conto che quella è una palestra”.
L’asse Calabria-Lombardia
La ‘Ndrangheta si espande e sembra non conoscere limiti, allungando le sue propaggini nel resto dell’Italia e del mondo. Ma il rapporto tra centro e periferie, di profonda sudditanza, rimane pressochè invariato. E questa sudditanza si rispecchia anche nel fatto che le cosche lombarde, piemontesi o stabilitesi in altri territori non conoscono, per il ruolo che ricoprono, gli appartenenti alla componente riservata e invisibile. “Quell’ordine che sembra provenire dall'esponente apicale del Crimine di Polsi – ha spiegato il sostituto procuratore – in realtà non è altro che il messaggio di un semplice portavoce” che non può però manifestare il suo ruolo di tramite.
La massiccia presenza calabrese al Nord Italia è stata definitivamente registrata a Milano con il processo “Infinito” e a Torino con “Minotauro”, due dibattimenti che hanno confermato la reale impostazione della ‘Ndrangheta, assai più unitaria di quanto si credesse. Perché dalla Calabria, ha evidenziato il pm, “non si può diventare autonomi. Puoi diventare qualcos'altro, e allora ti devi assumere il rischio di quello che vai a creare”. “La mia preoccupazione principale – ha aggiunto Lombardo parlando della magistratura – è che si superino tutte queste incongruenze e incomprensioni. Se non si fa un gioco di squadra coerente e chiaro ci facciamo del male da soli” evidenziando l’importanza di opporre alla struttura della mafia calabrese un approccio altrettanto unitario.
È stato il caso di “‘Ndrangheta banking”, inchiesta che nasce dall’unione di due indagini nate separatamente, una a Milano (con il pm Venditti) e una a Reggio Calabria (con il pm Lombardo). Man mano che andava avanti la pista investigativa, ha raccontato il magistrato reggino, “ci si è resi conto che era una forzatura continuare le indagini a Milano se tutte le direttive e le strategie provenivano da qui”. L’inchiesta ha svelato un “sistema bancario parallelo” grazie al quale le cosche calabresi trapiantate in Lombardia erano entrate nei circuiti dell’imprenditoria locale. Al centro dell’indagine lo spessore criminale di Gianluca Favara (imprenditore e diretta emanazione della cosca reggina dei Bellocco) la cui trasversalità era data dall’essere anello di collegamento tra le cosche, nonchè a disposizione degli interessi di più famiglie di 'Ndrangheta. Nome già emerso nelle indagini “Meta” e “Reggio Nord”, quello di Favara è anche ricorrente nelle vicende che riguardano i potenti Lampada di Milano.
Nelle indagini portate avanti dai pm Alessandra Cerreti e Giuseppe Lombardo sarebbero emerse le intimidazioni perpetrate dal gruppo Favara contro l'imprenditore Agostino Augusto e i suoi familiari.
Racconta l’imprenditore, descrivendo un episodio per gli inquirenti emblematico della caratura criminale di Favara: “Dopo svariati discorsi, e secondo me per evidenziare il suo spessore criminale, mi rappresentò la possibilità di mostrarmi qualsiasi tipo di arma, invitandomi ad indicarne una qualsiasi. Gli chiesi quindi di mostrarmi una 44 Magnum, al che Favara fece una telefonata, mascherando il termine pistola con altro loro convenzionale, a seguito della quale arrivò un giovane con una scatola contenente la pistola richiesta. Fu dopo tale dimostrazione di forza che Favara, dopo essersi rinchiuso in una stanza dapprima con Avallone (Carlo Avallone, in stretto contatto con Favara per una serie di operazioni immobiliari e finanziarie, ndr) per circa mezz'ora, poi con Codispoti (Giuseppe Codispoti, uno dei collaboratori di Favara, ndr) più o meno per lo stesso tempo, mi convocò insieme a Codispoti e mi elencò gli assegni che io non avevo pagato”.
Tutte dinamiche che, secondo Lombardo, testimoniano ad ogni modo “mere azioni esecutive. Le strategie vengono sempre fissate qui, a Reggio Calabria”. Ed è sempre questa regione a vantare il più alto numero di affiliati, “notevole, - ha commentato il pm - nonostante la Calabria non sia uno spazio fisico identificabile perché i calabresi sono ovunque nel mondo. Qui a Reggio si stima un livello di affiliazione che arriva intorno alle 10mila unità” mentre a Palermo, quasi quattro volte più grande del capoluogo calabrese, la densità di affiliati è stimata intorno alle mille unità (tale e quale a Rosarno, comune del reggino di 15mila abitanti).
Minacce ai magistrati: “Così perdiamo forze operative”
“Io ed altri colleghi della Procura di Palermo ci siamo resi conto che a volte si ha la sensazione che Cosa nostra abbia un ruolo sovraordinato, e che a volte ce l'abbia la 'Ndrangheta. Non è che voglia togliere rilievo al lavoro di altri - ha chiarito Lombardo - dicendo che la 'Ndrangheta conta di più, a me interessa solo che si faccia una ricostruzione obiettiva”. Il sostituto procuratore di Reggio Calabria è uno dei pochi che attualmente si occupa del livello “invisibile” superiore alle singole mafie, e sono molti i punti di contatto con le indagini sulle vicende palermitane. Dall’inchiesta “Sistemi criminali” a quella sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, il cui processo è rappresentato dai pm Nino Di Matteo (per il quale è stata scoperta l’organizzazione di un vero e proprio piano per la sua eliminazione) Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia.
C'è ancora molto da fare e da indagare, ma le difficoltà non sono poche: “In apparenza andiamo nella stessa direzione, poi però quando l’accertamento diventa complicato arrivano delle risposte ridicole” ha protestato Lombardo, per il quale sono “ridicole e perverse” anche certe logiche interne alla magistratura: “Un ufficio serio come questo dovrebbe gestire in un anno cinque o sei grosse indagini per poter dare delle risposte importanti. Invece io solo sono affogato da 120/130 indagini. Negli altri stati questo non avviene, in Svizzera o in Francia un sostituto procuratore segue un processo alla volta, ed è chiaro che cura anche le virgole”. Qui, invece, indagare su tutto significa rischiare di non indagare su niente.
Qual è allora il rischio corso da quei pochi che non si fermano? “Loro non mandano un messaggio a me – ha spiegato il magistrato reggino, che di messaggi intimidatori ne ha ricevuti tanti - ma a chi anche solo potenzialmente avrebbe voglia di lavorare con me. Sanno perfettamente che il singolo magistrato, che hanno conosciuto e pesato, non si fermerà. Però perderà una serie di capacità operative. Molti davvero possono avere paura, ma altri lo fanno per convenienza. Quando arrivi a un determinato livello capisci perfettamente che la gente scappa perchè non vuole sentirne parlare. Sono disponibili a fare dei lavori lunghi ed estenuanti per anni pur di non rischiare di andare a cozzare con quelle entrature politiche che poi diventano per le loro carriere una sanzione immediata. Questo può essere vissuto come isolamento, allora potresti iniziare a interrogarti su quello che stai facendo, anche se a me per fortuna non è capitato”.
E' importante invece che le indagini proseguano nel migliore dei modi. “In sei mesi – ha raccontato Lombardo – sono arrivate risposte che neanche io potevo mai immaginare, con delle parole che sembrano provenire da una sceneggiatura scritta da me. Perché quando vai nella direzione giusta è evidente che il risultato arriva. Spesso e volentieri – ha proseguito – andiamo a raccontare che abbiamo fatto tutti gli sforzi possibili. Ma puoi intercettare per dieci anni determinati soggetti e avrai la prova che sono delle educande, perché per telefono si danno sempre e solo appuntamenti. Se una forza di polizia vuole fare questo lavoro chiusa quella telefonata deve partire e arrivare sul posto prima di loro”.
Purtroppo, al di là dei notevoli sforzi di parte della magistratura e delle forze dell’ordine, da parte della politica non è mai stata registrata l’intenzione di avviare un serio contrasto alle mafie ed ai circuiti ad esse collegati. E così, quei centocinquanta miliardi di euro (tale è il fatturato annuo “solo” della ‘Ndrangheta, ricavato in massima parte dal traffico di droga) rimangono pressochè intatti.
Nessun governo, però, può rimanere indifferente. Perché fino a quando non sarà inserita la lotta alla criminalità organizzata al primo posto dell’agenda politica, questa nazione verrà proiettata inesorabilmente verso una forma di Stato-mafia. (fine)
ARTICOLI CORRELATI
Non di sola mafia (Prima parte)
'Ndrangheta, Cosa nostra e il sistema criminale integrato