di Lorenzo Baldo e Giorgio Bongiovanni - 18 dicembre 2014
E’ l’ultima vittoria del Presidente della Repubblica. O forse tra le ultime prima delle sue dimissioni. Certo è che Giorgio Napolitano si può dire soddisfatto. Un magistrato considerato “vicino” ad ambienti del Quirinale è diventato il nuovo Procuratore di Palermo. Senza nulla togliere all’onestà personale e alla preparazione professionale di Franco Lo Voi, la sua nomina a Capo della Procura più importante d’Italia è uno schiaffo alle regole più basilari. Che sono state stracciate dall’ingerenza politica all’interno di un Csm già piagato da logiche correntizie. O meglio: da logiche di potere. Quando questa estate il Colle è entrato a gamba tesa per impedire la nomina dell’attuale procuratore di Messina, Guido Lo Forte, dato per favorito alla reggenza della procura palermitana, lo scenario che si prospettava era quasi del tutto delineato. Certo, mancavano le “chicche” come il voto a favore di Lo Voi partorito dal “tecnico” scelto dal M5s Alessio Zaccaria (Grillo non dice nulla a proposito?), ma le linee guida di un diktat quirinalizio c’erano tutte. L’avversione – financo fisica – che Napolitano ha nutrito in questi mesi nei confronti del processo sulla trattativa Stato-mafia si è tradotta in veri e propri attacchi nei confronti del pool che investiga su questo pactum sceleris. Attacchi più o meno mascherati da conflitti di attribuzioni o, più semplicemente, da moniti, avvertimenti, e soprattutto da gravissimi silenzi.
Nei libri di storia Napolitano verrà ricordato come un Presidente della Repubblica incapace della benchè minima solidarietà umana nei confronti di un magistrato condannato a morte da Cosa Nostra. Ma soprattutto come colui che ha contribuito a indebolire un’inchiesta tanto delicata arrivando a imporre un vero e proprio braccio di ferro con il pool di Palermo pur di non essere interrogato davanti ad una Corte di Assise. E, una volta che (bontà sua) ha dato il benestare alla sua deposizione, ha annacquato i suoi ricordi in merito alle confidenze del suo ex consigliere giuridico Loris D’Ambrosio. La sua ultima mossa è stata quella di “ventilare” la candidatura di Franco Lo Voi all’interno di una metodologia che, paradossalmente, è del tutto “coerente”. Perché mai Napolitano avrebbe dovuto preferire Guido Lo Forte? Per il suo ruolo di pubblico ministero al processo contro Giulio Andreotti (che invece Lo Voi aveva rifiutato)? O perché Lo Forte aveva lavorato sull’inchiesta “Sistemi criminali” che di fatto aveva anticipato quella sulla trattativa Stato-mafia? Forse il “patto del Nazareno” prevedeva anche “l’assestamento” della Procura di Palermo? Il Capo dello Stato – grande sostenitore di quel patto – conta i giorni che lo separano dalle sue prossime dimissioni e si diletta a lanciare altri moniti. Ma sono anche i cittadini onesti a contare i giorni che restano fino alla fine del suo mandato. In questo disgraziato Paese, corrotto fin nelle sue fondamenta, c’è ancora una parte sana di società che auspica il ritorno di un Presidente al di sopra di ogni sospetto, che abbia realmente a cuore la ricerca della verità. Nel frattempo il nuovo Procuratore di Palermo viene chiamato ad un compito che in un altro Paese rientrerebbe nell’ovvietà: sostenere un processo dall’importanza storica. In Italia, invece, il Capo di questa Procura si ritroverà sotto il fuoco incrociato di gran parte delle istituzioni e di una larghissima fetta del mondo della politica del tutto ostili al raggiungimento della verità. Il neo Procuratore di Palermo sarà quindi di fronte ad un bivio: fare il proprio dovere seguendo i dettami della Costituzione, oppure entrare lentamente nel “gioco grande” come semplice pedina che verrà utilizzata a tempo determinato.
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