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messineo-c-samuele-firrarello-2007Di Matteo si rivolge all’Anm dopo le gravi esternazioni di Marcelle Padovani
di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo - 27 maggio 2014
Palermo. La notizia è di oggi, anche se il fatto è di tre giorni fa. Il 24 maggio scorso il pm Nino Di Matteo ha scritto all’Anm dopo le gravi esternazioni della giornalista francese Marcelle Padovani (rilasciate alla commemorazione per Giovanni Falcone) sul processo Trattativa e sulle teorie del giurista Giovanni Fiandaca che a suo dire sarebbero state appoggiate dallo stesso Falcone. “Non mi complimento – ha esordito Di Matteo nella sua missiva – con la Giunta per la scelta fatta per commemorare i nostri colleghi uccisi. Credo che la presa di posizione della relatrice abbia sorpreso i componenti della nostra Giunta, ma non qualche altro che ha propiziato, o approvato per tempo, il contenuto delle sue affermazioni. Spero di sbagliarmi, ma temo di no!”. Nel testo traspare tutta l’amarezza di un magistrato troppo spesso isolato dai suoi stessi colleghi. “D’altra parte se ieri (per la prima volta da quando faccio il magistrato) – ha evidenziato – non sono sceso alla nostra commemorazione è proprio perché avevo fiutato il tranello. Spero che la Giunta, con un comunicato Ufficiale, ritenga opportuno evidenziare pubblicamente la sua posizione e che, ancora una volta, al contrario, il silenzio non valga a rafforzare il convincimento che il candidato Fiandaca ha più volte ribadito nei suoi interventi elettorali; e cioè che il novanta per cento dei magistrati condivide le sue (e della Padovani) prese di posizione”. La gravità di quanto accaduto il 23 maggio nell’aula magna della Corte di Appello è sotto gli occhi di tutti. Una giornalista completamente a digiuno delle indagini sulla trattativa si permette di commentare il relativo processo in corso, avallando le teorie del candidato Giovanni Fiandaca – a due giorni dalle elezioni europee –, per poi far passare il messaggio che Giovanni Falcone sarebbe stato d’accordo con lo stesso Fiandaca. Un’oscenità. Che doveva essere censurata immediatamente. In quella occasione, dietro il tavolo dei relatori, c’era anche il Segretario  Generale dell’Anm, Rodolfo Sabelli, che si è invece ben guardato dal prendere le distanze dalle affermazioni di Marcelle Padovani. Solo il presidente distrettuale dell’Anm, Matteo Frasca, a margine dell’incontro, ha timidamente osservato che le dichiarazioni della Padovani erano di carattere “personale”. E ora cosa farà la presidenza dell’Anm? Redigerà un comunicato ufficiale o continuerà ad isolare con le proprie azioni ed omissioni magistrati come Nino Di Matteo?

Messineo invia il “quesito”, ora la palla passa al Csm
Se da una parte l’Anm si presta nuovamente a fare da grancassa agli attacchi al processo Stato-mafia, dall’altra si apre uno spiraglio in merito all’applicazione dei pm del pool alle nuove indagini sulla trattativa. La lettera del procuratore di Palermo Francesco Messineo, indirizzata al Consiglio Superiore della Magistratura, è giunta (finalmente) a destinazione. Come è noto, ai primi di marzo di quest’anno il plenum del Csm aveva modificato l’art. 8 della circolare sulle Direzioni distrettuali antimafia nelle procure. In questo modo erano stati indicati criteri molto più rigidi per individuare i “casi eccezionali” che consentono la designazione di magistrati non appartenenti alla Dda per procedimenti da assegnare a quel gruppo di lavoro. Con un tratto di penna quella circolare estrometteva di fatto magistrati come Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene dalle nuove indagini sulla trattativa Stato-mafia. Subito dopo la divulgazione della notizia di questa circolare si era sollevata un’indignazione popolare. Dal canto suo Salvatore Borsellino aveva esortato l’opinione pubblica a ribellarsi “contro chi metteva il bavaglio ai pm”. Rispondendo ad una nostra osservazione in merito lo stesso Messineo aveva quindi assicurato che avrebbe scritto al Csm attraverso la procedura del “quesito” per chiedere esplicitamente una via di uscita. Ed ecco finalmente che quella lettera è stata ufficializzata. In un punto della missiva si fa riferimento all’affaire trattativa (pur senza nominarlo) in merito alla coassegnazione di nuovi filoni investigativi tra magistrati Dda e magistrati non Dda. Messineo si sofferma quindi sui casi in cui dovessero emergere “elementi indiziali a carico di nuovi e diversi soggetti rispetto a quelli per i quali si procede e tuttavia per il medesimo fatto ascritto a questi ultimi, con conseguente necessità di stralcio onde procedere separatamente alle relative indagini”, come è il caso appunto del procedimento sulla trattativa. Di fatto “in ossequio al principio di continuità nella assegnazione delle indagini per un medesimo fatto” viene sottolineata l’importanza di non disperdere il patrimonio conoscitivo dei magistrati che non fanno parte della Dda.
Proprio per questa esclusione dalla distrettuale antimafia un filone dell’inchiesta sulla trattativa è stato materialmente tolto ai pm Di Matteo e Tartaglia (lo stesso discorso vale per il pm Del Bene). L’istanza di Messineo è quindi l’ultimo tentativo di evitare che indagini delicatissime si arrestino ripartendo da zero nelle mani di nuovi magistrati che devono leggere centinaia di migliaia di pagine, con i rischi della prescrizione (e non solo). E’ del tutto evidente che non si sarebbe dovuto arrivare a questo punto, e che lo stesso Messineo avrebbe potuto applicare comunque i pm in questione lasciando, se mai, al Csm il compito di pronunciarsi al riguardo. Ma ormai i giochi sono fatti e non resta che riparare al più presto al grave errore della rigidità di questa circolare.
Per quale motivo il Csm dovrebbe allora ostinarsi a far applicare alla lettera la nuova circolare estromettendo così il pool di Palermo dalle nuove indagini sulla trattativa? Se la logica non è un’opinione è evidente che la richiesta del procuratore di Palermo ha un suo fondamento: l’inchiesta sulla trattativa rientra a pieno titolo tra i casi “eccezionali” e quindi necessita di quegli stessi magistrati che la conoscono fin dalle origini. Escludere i componenti del pool da quelle indagini sortisce una serie di effetti a catena. In questo modo l’isolamento del giudice Di Matteo si acuisce ulteriormente con conseguente suo indebolimento agli occhi di Cosa Nostra e di quei poteri (che “deviati” non sono) che non aspettano altro per realizzare la condanna a morte di Totò Riina. Per non parlare dello svuotamento investigativo: importantissime indagini rischierebbero di finire su un binario morto, in totale spregio verso i familiari delle vittime di mafia e verso la verità stessa. Davvero il Csm si vuole caricare di questa gravosa responsabilità - che rimarrà nella storia - come le precedenti infamie compiute dall’“organo di rilievo costituzionale” in tempi più o meno recenti? Davvero i pregevoli consiglieri che sceglieranno di non accogliere le osservazioni di Messineo intendono affrontare il disprezzo dell’opinione pubblica, che inevitabilmente scaturirà, qualora il quesito del procuratore di Palermo dovesse essere bocciato? “Si chiede pertanto – conclude il procuratore di Palermo nella sua lettera – che il Consiglio Superiore della Magistratura, con l'urgenza che il caso richiede, voglia dare autorevole soluzione ai suindicati quesiti”. Questa volta il Csm ha la possibilità di dimostrare, una volta per tutte, che i rappresentanti dell’organo di autogoverno delle toghe hanno fatto tesoro degli errori dei loro predecessori nei confronti di Giovanni Falcone. Lo possono fare in un unico modo: rispondendo positivamente, con saggezza e coscienza, alle osservazioni del Procuratore di Palermo, applicando quindi Di Matteo, Tartaglia e Del Bene alle nuove indagini sulla trattativa.
La parte sana di questo Paese chiede con altrettanta “urgenza” che il Csm trovi subito la “soluzione” all’empasse che la sua stessa circolare ha creato. Prima che sia troppo tardi.

Foto © Samuele Firrarello

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