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pool-trattativa-csmUna “concessione” stabilita da un nuovo “papello”?
di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo - 6 maggio 2014
Palermo. “In conformità a quanto previsto dall’art. 102 terzo comma i procedimenti riguardanti i reati indicati nell’art. 51, comma 3-bis, c.p.p. debbono essere assegnati a magistrati della Direzione distrettuale antimafia, salvo casi eccezionali”. Il virgolettato parla chiaro. I primi di marzo il Plenum del Csm ha modificato l’art. 8 della circolare sulle Direzioni distrettuali antimafia nelle procure. Di fatto sono stati individuati criteri molto più rigidi per individuare i “casi eccezionali” che consentono la designazione di magistrati non appartenenti alla Dda per procedimenti da assegnare a quel gruppo di lavoro. Al di là dei codici e dei commi la circolare del 5 marzo del Csm potrebbe essere chiamata “anti pool trattativa”. Con un tratto di penna viene tecnicamente impedito ai pm del pool: Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene di poter fare nuove indagini sulla trattativa Stato-mafia in quanto fuori dalla Dda. Di Matteo non vi fa più parte da quattro anni ed è formalmente assegnato al gruppo che si occupa di abusi edilizi, mentre Tartaglia non ne fa ancora parte. Di fatto fino ad ora i due pm erano stati solamente “applicati” al pool del processo Trattativa. Per quanto riguarda Francesco Del Bene, dal primo giugno, scadranno i 10 anni di appartenenza alla Dda. Unico a rimanere: il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, già coordinatore del gruppo, che si ritroverà a dover assegnare ad altri magistrati i nuovi e delicatissimi filoni di indagine sulla Trattativa.

“L’assegnazione di cui al comma 2 – si legge ancora nella circolare del Csm – deve avere riguardo alla necessità di disporre nella trattazione del procedimento di specifiche professionalità ulteriori e diverse rispetto a quelle proprie dei magistrati della Direzione distrettuale antimafia, ovvero di far fronte all’esigenza di un’equa ripartizione del carico di lavoro”. E sono proprio queste “specifiche professionalità” quelle che non devono andare disperse. L’investigazione sulla Trattativa non può essere minimamente equiparata ad altre indagini antimafia. Dall’inchiesta madre è scaturito il processo attualmente in corso davanti alla Corte di Assise presieduta da Alfredo Montalto. Ma sono le inchieste “bis” e “ter” quelle che mirano a fare luce sulle zone d’ombra che sovrastano il processo stesso. Una di queste è indubbiamente rappresentata dalla presenza della cosiddetta “Falange armata” nelle stragi che hanno insanguinato il nostro Paese. Presenza di cui lo stesso Gip Piergiorgio Morosini aveva parlato il 9 marzo del 2013 nel suo decreto di rinvio a giudizio per gli imputati al processo Trattativa. “Dall’esame delle fonti indicate – aveva scritto Morosini – si ricavano elementi a sostegno di una ipotesi di esistenza di un progetto eversivo dell’ordine costituzionale, da perseguire attraverso una serie di attentati aventi per obiettivo vittime innocenti e alte cariche dello Stato, rivendicati dalla Falange Armata e compiuti con l’utilizzo di materiale bellico proveniente dai paesi dell’est dell’Europa”. Quella stessa “Falange Armata” ricomparsa recentemente nella lettera anonima indirizzata a Totò Riina  dopo la pubblicazione sui giornali dei suoi dialoghi, captati durante l’ora d’aria, con il boss Alberto Lorusso. “Chiudi la bocca, ricordati che hai famiglia”, si leggeva nella missiva. Ma sono anche altre piste quelle che dovevano essere seguite dai pm del pool e che ora rischiano di essere bloccate da una circolare dal sapore decisamente “punitivo” nei confronti di chi sta cercando di investigare sul cuore nero dello Stato. Ma se l’indagine sulla Trattativa non è considerata un “caso eccezionale” quali sarebbero allora? Secondo la logica e il buon senso è evidente che una simile inchiesta fuoriesca dai canoni classici e presupponga un coordinamento di magistrati che da anni studiano incessantemente le relative carte. Quegli stessi magistrati che continuano a cercare negli archivi di Stato le tracce rimaste di un “gioco grande” che sta ipotecando il nostro futuro. Ma di questo il Csm pare non tenere conto se, come è noto, tra i “casi eccezionali” predilige inserire i delitti contro l’economia, la pubblica amministrazione, la salute e l’ambiente. Se un magistrato come Nino Di Matteo viene relegato ad indagini su abusi edilizi e se le professionalità specchiate di pm come Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia non vengono utilizzate in queste indagini significa ulteriormente che quella verità sul biennio stragista ‘92/’93 non la si vuole raggiungere. Al di là della preparazione tecnica degli altri magistrati della Dda di Palermo è palese che in questa inchiesta non si può perdere tempo mettendosi a studiare daccapo una mole di carte senza una previa conoscenza storica dei relativi protagonisti e dei loro intrecci con i “sistemi criminali”. Ogni giorno che passa, senza che queste indagini proseguano il loro naturale iter, rischia di vanificare anni di indagini. In questo modo rimarranno impuniti i colpevoli, siano essi uomini di mafia o siano essi uomini di Stato nei confronti dei quali questa circolare del Csm è una vera manna dal Cielo. O dobbiamo forse pensare che si tratta di una “concessione” stabilita all’interno di un nuovo “papello” da rispettare? Togliere queste indagini significa indebolire fortemente un magistrato come Nino Di Matteo, condannato a morte da Totò Riina, così come i suoi colleghi già minacciati pesantemente dalla mafia. Dal canto suo il procuratore di Palermo Francesco Messineo ha il dovere di porre rimedio a questo scempio. E’ comunque lui il capo della Procura che può aiutare o ostacolare l’indagine sulla Trattativa attraverso una presa di posizione verso questa direttiva del Csm. Che, seppur rigida, può dare spazio ad uno spiraglio di “eccezionalità”. Il procuratore potrebbe di fatto sollevare al Consiglio Superiore della Magistratura quello che tecnicamente viene definito un “quesito”. In sostanza potrebbe rimarcare la particolarità dell’inchiesta sulla Trattativa e la necessità assoluta della relativa applicazione di magistrati come Di Matteo, Tartaglia e Del Bene. Poi, se il Csm che – non dimentichiamo – è presieduto dal presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, si caricherà della responsabilità di aver bloccato le nuove indagini sul patto Stato-mafia, sarà la storia a narrarlo. In questo caso il disprezzo della parte sana di questo Paese riguarderà chi si è reso complice di questo disonore e chi non ha fatto nulla per impedirlo.

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